Primato Tecnologico, Geopolitica e Democrazia

27 febbraio 2023

Di Vincenzo Pisani

I temi al cuore del dibattito e del white paper “The Race to Disruptive Technologies: Nations as Ecosystems of Knowledge” 

In un articolo apparso nel 1965 sulla pubblicazione Advanced in Computers (Speculations Concerning the First Ultra intelligent Machine, Academic Press Inc., 1965, New York), il matematico e crittografo britannico Irving John Good affermava “Assumiamo come definizione di “macchina super-intelligente” quella di uno strumento in grado di superare di gran lunga qualsiasi essere umano, per quanto intelligente, in ogni tipo di attività intellettuale. Dal momento che la progettazione di macchine è una di queste attività, tale macchina sarebbe in grado di progettare sue simili ancor più performanti. Ci sarebbe senza dubbio un’esplosione dell’intelligenza, tanto che l’ingegno umano verrebbe di certo lasciato indietro. Ne consegue che questo tipo di invenzione sarebbe l’ultima di cui l’Uomo avrebbe bisogno, a patto che essa fosse così docile da spiegarci come tenerla sotto controllo”.

A quasi sessant’anni da questa riflessione l’Intelligenza Artificiale è, nelle parole del tecnologo Martin Ford, autore del saggio Il dominio dei Robot (Il Saggiatore, Milano, 2022), la “nuova elettricità”. Quella forza che, considerata ai suoi albori “fonte di divertimento in trucchi ed esperimenti destinati a strappare l’applauso al pubblico”, è poi diventata il cardine dello sviluppo tecnologico e industriale della civiltà moderna. Con la stessa forza pervasiva un tempo associata all’elettricità, oggi l’I.A. esercita un forte impatto su ogni settore: dall’agricoltura di precisione alla digitalizzazione dell’industria manifatturiera, dalle transazioni finanziarie al mondo dell’informazione, arrivando a rivoluzione le tecniche e le strategie di warfare. Non c’è praticamente ambito – compresa l’arte contemporanea – in cui questa innovazione non trovi forme di applicazione. Proprio come le menti umane si nutrono di esperienze e nuove conoscenze per crescere e trovare nuove soluzioni, così oggi le macchine “apprendono” e continuano ad alimentarsi di dati e nuove competenze attraverso il machine learning, scambiandosi “esperienze”, auto-correggendosi e superandosi ad ogni prestazione. 


Eppure, come ammoniva Good – una voce controcorrente nei lontani anni Sessanta, l’epoca forse più ottimista e fiduciosa nel progresso di tutto il Novecento - ogni innovazione tecnologica dovrebbe nascere e svilupparsi nella consapevolezza che il limite da non oltrepassare resta il controllo umano. Quel man-on-the-loop che tutt’ora, sulle rive del Potomac, è alla base delle scelte strategiche dell’esercito più potente del mondo. Un limite che – di fronte alle capacità sempre più avanzate delle “nuove intelligenze” – potrebbe spingersi, in un futuro non così lontano, verso territori sconosciuti. Oltre frontiere che suscitano interrogativi etici e morali. 


Ed è proprio intorno a tali interrogati e, più in generale, alle migliori scelte che possono intraprendere al riguardo i decision maker che si è sviluppato il dibattito “The race to disruptive technologies: nations as ecosystems of knowledge", organizzato da Fondazione Leonardo-Civiltà delle Macchine e Centro Studi Americani in collaborazione con l’Ambasciata degli Stati Uniti in Italia. L’evento, tenutosi lo scorso 22 febbraio, si è aperto con gli interventi di Gianni De Gennaro, Presidente del Centro Studi Americani, Courtney Nemroff, Ministro degli Affari Economici dell’Ambasciata statunintense in Italia, Luciano Violante, Presidente della Fondazione Leonardo-Civiltà delle Macchine e la relazione introduttiva del Prof. Enrico Prati, Professore associato presso Dipartimento di Fisica dell’Università degli Studi di Milano. A seguire, Riccardo Luna, giornalista e Direttore Italian Tech e Green & Blue;da  Barbara Carfagna, giornalista e conduttrice RAI e Barbara Gasperini, giornalista e autrice televisiva, hanno rispettivamente animato i dibattiti dei tre panel - il primo incentrato sullo stato dell’arte nell’innovazione tecnologica, il secondo sulle relazioni economiche e commerciali per l’approvvigionamento delle risorse, il terzo sulle sfide normative internazionali moderati – e dato voce al punto di vista dell’Industria, del mondo accademico e della Difesa e Sicurezza. Tra i relatori, Cosimo Accoto, Research affiliate & Fellow del Massachusetts Institute of Technology di Boston; Clementine Starling, Direttrice del Forward Defense Program, Scowcroft Center for Strategy and Security, Atlantic Council; Anna Puglisi, Director of Biotechnology Programs and Senior Fellow del Georgetown’s Center for Security and Emerging Technology (CSET), Francesco Marradi, Colonnello 4° Reparto di Stato Maggiore Aeronautica (Eurofighter Typhoon Programme Office); Andrea Billet, Ammiraglio, Capo del Servizio Certificazione e Vigilanza dell’Agenzia per la Cybersicurezza Nazionale; Pietro Alighieri, Contrammiraglio, Capo dell’Ufficio Supporto e coordinamento all’attività decisionale del Segretariato Generale della Difesa/D.N.A. in materia di politica e programmi agli armamenti; Andrea Gilli, Senior Researcher, Research Division, NATO Defense College; Giancarlo Granero, Capo Unità di coordinamento e relazioni interistituzionali del Defence Industry and Space (DG DEFIS), Antonio Malaschini, già Segretario generale del Senato, Francesco Di Sandro, Senior Vice President Strategic Planning-Strategy and Market Intelligence Office di Leonardo, Dario Pagani, Head of Digital and Information Technology di ENI, Alessandro Curioni,  IBM Fellow, Vice President Europe and Africa and Director, IBM Research Zurich e Marco Bellezza, Amministratore Delegato di Infratel Italia. L’intervento conclusivo è stato quello di Luca De Angelis, esperto per la microelettronica e l’innovazione del Ministero delle Imprese e del Made in Italy.


Come evidenziato da molti dei relatori intervenuti, nessuno è in grado oggi di prevedere con esattezza quali saranno tra trenta o quarant’anni le ricadute del salto tecnologico determinato dall’impiego delle nuove tecnologie. Tuttavia, già nel presente, la determinazione con cui governi e grandi imprese stanno investendo nel loro sviluppo è un chiaro indicatore della loro percezione globale come fattore essenziale per conquistare un posto al sole nella nuova mappa del potere. La Cina arriva quasi a insediare l’attuale primato statunitense e dichiara di volerne conquistare la leadership entro il 2030. Gli Stati Uniti, caratterizzati da un’economia sempre più basata su colossi di mercato come Google, Amazon, Facebook, IBM e Microsoft e da una forte capacità militare rappresentata dal DARPA (il Dipartimento della Difesa Americano) dimostrano la chiara volontà di continuare a detenere il loro vantaggio. Ne sono prova l’indiscussa capacità di attrarre talenti da tutto il mondo (verso il loro mondo accademico e verso le loro imprese) e il sostegno a programmi di ricerca su tutti i paradigmi dell’IA.
Ma se Washington e Pechino aprono la fila dell’agone, da Est a Ovest del mondo – in Israele, India, Corea del Sud, Singapore, Taiwan, Giappone, Australia ed Emirati Arabi Uniti – si sviluppano progetti e strategie per la ricerca e le applicazioni dell’Intelligenza Artificiale tanto in ambito civile quanto in quello militare. L’Europa, al centro geografico e politico di tale competizione, vanta eccellenze nelle singole industrie e nei centri di ricerca nazionali. Tuttavia, per la mancanza di una politica comune estera e della difesa, non esprime una visione ed una strategia integrata per competere adeguatamente. 
E mentre il Vecchio Continente fatica a inseguire i primati del duopolio sino-statunitense, la crescente "geo-politicizzazione" della tecnologia intensifica i rischi derivanti da catene di approvvigionamento poco diversificate, come nel caso dei semiconduttori. Le strutture di mercato monopolistiche e oligopolistiche nell'economia digitale globale contribuiscono inoltre all’aumento dei costi dei beni, ostacolano l'innovazione e, non ultimo, minano i processi democratici in tutto il mondo. 


“Il concetto di autonomia strategica è tornato all'attualità a causa della pandemia prima e poi della guerra, che ci hanno posto di fronte alla questione energetica e a quella alimentare. La corsa alle nuove tecnologie è causata dalla scomposizione della globalizzazione” - afferma Luciano Violante, che spiega “stiamo assistendo ad un forte processo di deglobalizzazione. E questo pone un problema di indipendenza su risorse e tecnologie. Occorre valutare bene quali sono i costi e quali i benefici di queste nuove tecnologie. Dobbiamo ricordarci quel che disse il presidente Obama: "Ogni Stato deve essere in grado di difendere la sua libertà". Le nuove tecnologie determineranno gli imperi del futuro: Putin è stato esplicito nel suo ultimo discorso. Le armi nucleari si sapeva cos'erano e dov'erano, con le nuove tecnologie le cose stanno diversamente. Diventa perciò decisiva una unità tecnologica europea, perché nessun paese da solo ce la può fare. ".


Come ricordato dal Presidente della Fondazione Leonardo-Civiltà delle Macchine, la corsa al primato tecnologico sta infatti assumendo i connotati di una partita molto più ampia, che chiama in causa anche uno scontro etico, valoriale e politico. Il tenore della sfida è ancor più evidente se consideriamo che la competizione più accesa è animata tra due superpotenze, Stati Uniti e Cina - una democrazia e una autocrazia – portatrici di valori e visioni del mondo profondamente differenti. Un agone che con la guerra russo-ucraina acquista un’ulteriore accelerazione.
Le sempre più avanzate applicazioni dell’Intelligenza Artificiale possono essere impiegate – ed è già accaduto – per influenzare gli orientamenti politici, le opinioni, il consenso. Le opinioni pubbliche sono infatti il vero terreno di scontro nella tensione in atto tra autocrazie e democrazie, dove le seconde –aperte al dibattito, al confronto e alla messa in discussione dei loro stessi valori – diventano nell’era della digitalizzazione bersaglio ideale di una guerra dell’informazione. In questo scenario, è sempre più evidente la stretta correlazione che sussiste oggi tra tecnologia, sicurezza e visione culturale. Da un lato, una solida capacità tecnologica rappresenta il prerequisito essenziale per proteggere cittadini e territori da minacce esterne ed interne. Dall’altro, la narrazione politica non può trascurare, nell’equazione “primato tecnologico = deterrenza” una variabile senza la quale si perde il senso di ogni battaglia: che cosa stiamo difendendo? La risposta, nei regimi autocratici, è molto netta. Non si combatte solo per rivendicare il controllo di spazi geografici, fonti energetiche o infrastrutture critiche, ma si difende e si vuole affermare una propria Weltanschauung, un sistema di valori tradizionali che viene considerato sacro, la cui tenuta rende la vittoria o la sconfitta una questione esistenziale. Nelle democrazie occidentali - ne sono un esempio i dibattiti delle opinioni pubbliche nazionali dei Paesi dell’Unione Europea – la percezione dello scontro rispecchia la pluralità di idee e punti di vista che caratterizza le società aperte, libere di confrontarsi, relativizzare e mettere in discussione gli stessi valori che sorreggono la stessa impalcatura democratica che tiene in piedi l’intero sistema. 
Chi vincerà questa partita e che ruolo avranno le nuove tecnologie? Per provare a rispondere, proviamo a riprendere le parole di John Irving Good. Al cuore della sfida non sono mai state le “macchine super-intelligenti”, che speriamo si dimostrino “talmente docili da indicarci come tenerle sotto controllo”. Il vero protagonista dello scontro resta l’intelligenza umana, che – da Est a Ovest del mondo - tali macchine è in grado di progettare, programmare e mettere al servizio dei propri scopi. In quest’ottica, le nuove tecnologie se da un lato rappresentano “un’arma” ad uso delle autocrazie per controllare le loro opinioni pubbliche e cercare di influenzare quelle dei Paesi democratici, possono diventare uno strumento di segno opposto: un alleato per contrastare i tentativi di manipolare l’informazione, di confondere e ingannare i cittadini con narrazioni false e dati alterati. Al contempo, possono rendere più rapide ed efficaci le scelte dei decision maker delle istituzioni democratiche, che possono oggi contare sul supporto delle tecnologie digitali per l’acquisizione e l’analisi di enormi quantità di dati da innumerevoli fonti (dallo Spazio, dalle infrastrutture terresti, dalla rete). Infine, si prestano a diffondere e promuovere una narrazione opposta e contraria a quella delle autocrazie. In questa prospettiva, la rivoluzione digitale può accompagnare e contribuire ad una nuova narrazione, alternativa a quella ingaggiata contro l’Occidente. Certo, ciò sarà possibile solo e se, le società civili in questa parte del mondo, riescano a riscoprire e a sentire l’urgenza di difendere il minimo denominatore comune che, in ultima istanza, dovrebbe unire e superare ogni divisione interna: la difesa dei valori democratici.