Le quattro stelle del DNA illumineranno il futuro firmamento dell’archiviazione dati

14 marzo 2023

Di Alessandra Fassari

"Sembra che i Druidi scegliessero di non affidare le proprie conoscenze alla scrittura per il fatto che questa avrebbe indebolito la memoria umana", così annotò Cesare nel De Bello Gallico (Litteris confisos minus memoriae studere: quod fere plerisque accidit, ut praesidio litterarum diligentiam in perdiscendo ac memoriam remittant. De Bello Gallico, libro 6, paragrafo 14).

Una soluzione assolutamente anacronistica oggi, abituati come siamo ad affidare volontariamente e in modo massiccio la nostra memoria a supporti esterni, certo sarà perché la mole d’informazioni è cambiata, dato che l’umanità ha prodotto più dati negli ultimi anni che in tutta la storia umana precedente.  Stando ai dati dell’IDC (International Data Corporation) la quantità di dati creati e archiviati nel mondo ha registrato una crescita insolitamente elevata nel 2020 a causa dello smart working in fase di pandemia e la prospettiva per il 2025 mostra scenari nettamente in crescita. Ma il problema non è solo quantitativo. Il trascorrere del tempo resta un’altra grande incognita, nulla è durevole, soprattutto in ambito tech, dispositivi e supporti digitali divengono obsoleti in un flash. Che fare dunque? Addio agli hardware, la risposta sta nella scienza, le quattro stelle del DNA, adenina, citosina, guanina e timina, illumineranno il futuro firmamento dell’archiviazione dati. Da tempo, infatti, le ricerche lavorano ad un sistema di incameramento sui filamenti di DNA, l’impronta genetica umana nella quale sembra possano essere tradotte anche informazioni digitali.  Se ci fermiamo un attimo a pensare, l’acido desossiribonucleico si svela come il dispositivo di archiviazione più vecchio che esista. Nel 1953 James Watson e Francis Crick, vincitori del premio Nobel, ne scoprirono la struttura, ma quella era solo la punta dell’iceberg. Oggi a 70 anni dalla sua epifania, l’acido desossiribonucleico non smette di stupirci. Pensiamo alla mummia di Oetzi, l’uomo di Similaun rinvenuto nel 1991 in Alto Adige, ci siamo mai chiesti come una mummia risalente a circa 5.000 anni fa possa fornirci, oggi, dati storico-antropologici così precisi? Il sequenziamento del suo corredo cromosomico si è mantenuto parzialmente integro, grazie alle bassissime temperature dei ghiacciai nei quali il corpo è rimasto bloccato per millenni. Certo da Oetzi all’archiviazione dati su DNA il passo non è breve, ma le vie della scienza hanno gambe lunghe e veloci.

Che la Microsoft abbia acquistato 10 milioni di pezzi di DNA artificiale dalla Twist Bioscience, leader nel settore della genomica e della biologia sintetica, ormai è storia, ma oggi sono diversi i colossi del tech alla ricerca dell’archiviazione genetica con un doppio obiettivo: abbassare i costi e diminuire l’impatto ambientale. Pullulano i tentativi di quello che potremmo definire un business sostenibile.  Recentissima l’Ansa secondo cui la  Sampled, giovane società privata operante nel settore della ricerca biotecnologica, è stata nominata un Next-Generation Sequencing (NGS) ProLab, “laboratorio professionale per la sequenziazione di nuova generazione”, sempre per la Twist Bioscience (Ansa Economia, 7/3/2023). E se al momento sembrano ancora troppe le domande e troppo poche le risposte, stando a quanto afferma la stessa azienda di San Francisco, sviluppando l’intersezione della sintesi del DNA delle industrie di biologia sintetica e della tecnologia dell’informazione, la convergenza della ricerca fra i due settori velocizzerà la scoperta in entrambi.