Quel perimetro dell'Esploratore

Di Paolo Armaroli

03 febbraio 2021

Nei giorni scorsi ci si è domandato perché il capo dello Stato ha conferito un incarico esplorativo al presidente della Camera dei deputati e non al presidente del Senato, che ai sensi della Costituzione supplisce l’inquilino del Quirinale in caso di assenza o di impedimento. Per rispondere all’interrogativo, talora espresso in termini polemici, non occorre essere costituzionalisti con tanto di tocco e toga. A conclusione del primo giro di consultazioni Sergio Mattarella ha reso il 29 gennaio una dichiarazione nella quale afferma tra l’altro: “Dai colloqui, svolti qui al Quirinale – in queste trentadue ore – con le forze politiche e parlamentari, è emersa la prospettiva di una maggioranza politica, composta a partire dai gruppi che sostenevano il governo precedente. Questa disponibilità – a me manifestata nel corso delle consultazioni – va peraltro, doverosamente, verificata nella sua concreta praticabilità. A questo scopo adotterò – con immediatezza – un’iniziativa”.

Detto, fatto. Poco dopo, lo stesso 29 gennaio, affida a Roberto Fico “il compito di verificare la possibilità di una maggioranza politica a partire dai gruppi che sostenevano il governo precedente”. Un incarico esplorativo doppiamente limitato. Perché doveva partire dalla maggioranza che appoggiava il governo dimissionario e doveva svolgersi nel giro di pochi giorni: dal 29 gennaio al 2 febbraio. Proprio perché l’esplorazione era doppiamente limitata, la personalità più adatta era un esponente autorevole dei Cinque stelle, vale a dire del partito di maggioranza relativa. D’altra parte, nessun pregiudizio nei riguardi dell’omologa di Palazzo Madama. Si potrebbe infatti dire: unicuique suum. Perché, dopo due giri di consultazioni, il 18 aprile 2018 Mattarella conferì un mandato esplorativo proprio a Maria Elisabetta Alberti Casellati, esponente di spicco di Forza Italia, al fine “di verificare l’esistenza di una maggioranza parlamentare tra i partiti della coalizione di Centrodestra e il Movimento Cinque Stelle e di una indicazione condivisa per il conferimento dell’incarico di Presidente del Consiglio”. Ma qualche giorno dopo, il 23 aprile, puntò invece su Roberto Fico per verificare la possibilità di un’intesa tra M5S e Pd. Opzioni oculate, l’una e l’altra, ma che non dettero l’esito sperato. Perciò Mattarella, nella sua veste di commissario alle crisi di governo, sbrogliò la matassa in prima persona.

Roberto Fico, Presidente della Camera dei Deputati

Se è stata facile la risposta alla domanda dalla quale siamo partiti, più complessa è la questione relativa al perimetro entro il quale l’esploratore è tenuto a muoversi. Si dirà, per dirla con un Niccolò Machiavelli apocrifo, che il fine giustifica i mezzi. Pertanto, pur di portare felicemente a temine la missione conferita dal capo dello Stato, l’esploratore sarà tentato di muoversi a trecentosessanta gradi. Potrebbe mettere sul piatto, d’intesa con i partiti di centrosinistra, un documento programmatico e magari azzardare un cenno alla struttura di governo. Sennonché quando Fico ha accennato a quest’ultima cosa, Nicola Zingaretti ha giustamente obiettato che tale questione verrà affrontata con il presidente del Consiglio incaricato. E anche sul documento programmatico occorre muoversi con i piedi di piombo. Altrimenti Giuseppe Conte o chi per lui si troverà nelle medesime condizioni nelle quali si trovò all’inizio della legislatura l’avvocato del popolo venuto dall’Università di Firenze, al quale fu posto da Luigi Di Maio e Matteo Salvini il dilemma di mangiare la minestra programmatica da loro preparata o di saltare dalla finestra.

Fatto sta che al giorno d’oggi un aut aut del genere non sarebbe accettabile né da Conte né da Cottarelli né da Draghi e da nessun altro. Dopo tutto, la Costituzione parla chiaro. All’articolo 95 stabilisce che “Il Presidente del Consiglio dei ministri dirige la politica generale del Governo e ne è responsabile. Mantiene l’unità di indirizzo politico ed amministrativo, promuovendo e coordinando l’attività dei ministri”. In tanto bailamme Matteo Renzi si guarda bene dal pronunciare un rotondo no, che potrebbe portare dritti dritti a elezioni anticipate. Alla scuola di Ugo La Malfa, procede invece a colpi di “sì, ma”. I sì sono piccini picciò e i ma grandi come grattacieli. Pretende un documento scritto allo scopo di legare le mani al prossimo inquilino di Palazzo Chigi. E in omaggio a quella partitocrazia denunciata a suo tempo da uno storico delle istituzioni geniale come Giuseppe Maranini, il leader di Italia viva non disdegnerebbe di spartirsi già da subito la torta dei dicasteri.

E allora la “filosofia” del senatore di Scandicci è presto detta: se proprio non si potrà fare a meno di insediare a Palazzo Chigi per la terza volta di seguito e con maggioranze parlamentari l’una diversa dall’altra Giuseppe Conte, un Agostino Depretis vestito e calzato, che almeno sia costretto a far proprio il motto di Filippo Turati: “Sono il loro capo e li seguo”. Non soggetto ma puro e semplice oggetto della storia altrui. Come dire, dalle stelle (una, due, tre, quattro, cinque…, dopo tanti dpcm e compagnia bella) alle stalle. E c’è chi già parla, con sprezzo del ridicolo, di riforme costituzionali prossime venture. L’ennesimo libro dei sogni.