I ragazzi davanti al domani e a una domanda: che fare? La ricerca "2030-2040 Futuri Probabili"

27 gennaio 2023

Di Marco Casu

Fonte: https://www.huffingtonpost.it/dossier/futuro/2023/01/27/news/2030-2040_futuri_probabili_non_ho_leta_giovani_e_politica-11177335/

Un progetto di ricerca transdisciplinare, intergenerazionale e multimediale sulla vita e il lavoro nei prossimi decenni promossa da Fondazione Leonardo – Civiltà delle Macchine con il sostegno di Intesa Sanpaolo

Non tanto "cosa accadrà?", ma, ancora e sempre, "che fare?". La domanda che apre il presente alla pluralità dei futuri probabili non è coniugata al futuro. 2030-2040 "Futuri probabili" è il nome del progetto di ricerca promosso da Fondazione Leonardo – Civiltà delle Macchine con il sostegno di Intesa Sanpaolo che ha intrapreso un'indagine transdisciplinare, intergenerazionale e multimediale sulla vita e il lavoro nei prossimi decenni. Un progetto che ha come coordinatore Marco Casu, dottore di ricerca in Filosofia presso la Sapienza Università di Roma, che qui di seguito illustra i principali risultati della ricerca.

 

Non ho l'età: giovani e politica
Negli ultimi trent'anni, l'astensionismo giovanile (18-34 anni) è salito di quasi trenta punti percentuali, dal 9% del '92 (3 punti sotto la media generale) al 37% del 2022 (1 punto sopra). Il trend non riguarda ovviamente solo i giovani, e 5 milioni di studenti fuorisede meritano tutte le attenuanti del caso (italiano): nell'Unione europea siamo gli unici a non predisporre modalità di accesso al voto che non implichino il ritorno a casa. Solo altri due paesi, Cipro e Malta, non si pongono il problema, che però da noi si misura in migliaia di km. E non è l'unico problema.

Pesa innanzitutto l'equilibrio demografico: oltre il 23% degli aventi diritto al voto, in Italia, ha più di 65 anni. Sono numeri da grande coalizione. Ma pesa anche una diffusa sfiducia giovanile verso le dinamiche istituzionali. I giovani si mobilitano per grandi questioni globali, per l'ambiente, ma non vedono più nel voto il vettore del cambiamento. E poi c'è un terzo punto, il più doloroso, quello che riguarda chi non si mobilita affatto.

Siamo andati in giro per le scuole, a parlare di politica e di voto, ma anche di lavoro, di ambiente e di futuro, con ragazze e ragazzi delle medie e delle superiori, GenZ e GenAlpha, nel lessico attuale. "Voteresti a 16 anni? E a 14?". I più giovani sono i più propensi, come Giuliano di Ceglie (Brindisi), 11 anni, o Sara di Roma, 14 (Liceo Digitale): "Se non votiamo noi, che dovremo viverci in questo paese, non ci sarà nessuno che ci rappresenta". O come Giulia, 16 anni (Liceo Artistico): "a 16 anni si è troppo piccoli, ma è anche vero che i grandi sono fermi nel passato. Dove sta andando a finire questo mondo?". La risposta cambia con l'età. Ed è unanime tra i più prossimi al voto: "non siamo pronti". Marta, 17 anni (Liceo Classico) propone addirittura di posticipare il primo voto a 21 anni, o anche oltre: "l'esame di maturità è una cosa, la maturità civica e politica un'altra".

La scuola non fa abbastanza, non basta, ma è solo una parte della formazione. Formazione e informazione, per GenZ e GenAlpha, sono fenomeni soprattutto digitali. E i nativi dell'infosfera digitale sono i primi a conoscerne i problemi. Innanzitutto perché li hanno vissuti sulla loro pelle: disinformazione, fake news, cyberbullismo, anoressia nervosa indotta da irraggiungibili canoni estetici, dipendenza da social, ma soprattutto carenza di stimoli etici, civici e politici nella finestra multimediale che hanno sempre a portata di mano. Lamentano un deficit di formazione e informazione, un deficit di orientamento. Ma è una mancanza che rivela una certa consapevolezza. Un loro desiderio, un nostro compito.


Una bussola per l'avvenire

Forse non è un caso che il verbo di internet sia "navigare". In mare come in rete, e in fondo nella vita, l'orientamento è tutto. Ci si può orientare con il sole e con le stelle, con una bussola, con il GPS. Ma ogni strumento di orientamento, dall'occhio umano allo Star Tracker (il sensore stellare che guida le sonde spaziali), esige due requisiti fondamentali: una certa stabilità dei sistemi di riferimento e una chiara determinazione della rotta da seguire.

In altre parole: per poter usare la mia bussola e la mia mappa, ho bisogno che la stella polare, il Nord magnetico e i rilievi del paesaggio restino fermi al loro posto, e poi ovviamente devo sapere dove voglio andare. Queste due semplici condizioni, che costituiscono la base di ogni progetto esistenziale, sono proprio ciò che manca alla nostra "epoca", un'epoca di transizione, o per lo meno di accelerazione.

La recente pandemia è stata certo un vettore, una fonte, ma anche e soprattutto una maestra, di accelerazione. Ci ha abituato a maneggiare espressioni come "crescita esponenziale", "picco", "plateau": ci ha insegnato a leggere le curve. E ora tutte le curve sono all'estremo della torsione.

Nei prossimi vent'anni il climate change è destinato a trasformare la terra, la space economy il cielo, l'automazione il lavoro, l'intelligenza artificiale la nostra percezione dell'umano, del fisico e del digitale, forse la stessa percezione della realtà. E ogni curva sempre più ripida, ogni fattore di accelerazione comporta una conseguente obsolescenza. Cambiano i sistemi di riferimento, e dunque le bussole, e le mappe, vanno aggiornate.

SRU (Stellar Reference Unit) Star Tracker della missione Cassini destinata all’esplorazione di Saturno e delle sue lune. È il primo Star Tracker costruito da Leonardo S.p.A. Lo strumento ha consentito di individuare la posizione dell’astronave in base alle mappe stellari memorizzate, inviando al centro di controllo a terra le informazioni necessarie per le correzioni di rotta durante il viaggio interplanetario dal 1997 all’arrivo a Saturno nel 2004 (Archivio Museo della Tecnologia).

Il futuro è transdisciplinare

Il progetto di ricerca 2030-2040 Futuri Probabili, promosso da Fondazione Leonardo - Civiltà delle Macchine con il sostegno di Intesa Sanpaolo, nasce da questa esigenza. È un'esigenza storica, che ogni generazione in varia misura affronta, ma che si fa tanto più pressante nell'odierna, inedita, compresenza di 5 o persino 6 generazioni. Riunirle in un dialogo che affronti oggi i temi rilevanti per il domani: questo è il principale proposito del progetto.

Nel corso della fase di set-up, tra il gennaio e il febbraio 2022, la Fondazione ha ospitato numerosi incontri preliminari, volti ad approcciare un tema tanto complesso da richiedere l'impiego del plurale, tanto nel titolo e nell'oggetto della ricerca (futuri) quanto nelle competenze e nelle discipline necessarie alla sua analisi. Sono state coinvolte voci esperte in ogni campo: dalla ricerca (Maria Chiara Carrozza) all'urbanistica (Carlo Ratti), dalla geopolitica (Lucio Caracciolo) alla sociologia e alla filosofia (Derrick de Kerkhove, Domenico De Masi, Alberto Castelvecchi, Luciano Floridi), dalla sfida energetica e ambientale (Roberto Cingolani, Ermete Realacci, Giuseppe Zollino) all'esplorazione dello spazio (Roberto Vittori), dalla religione (Vincenzo Paglia) alla meccatronica (Ferruccio Resta, Bruno Siciliano). Perché una ricerca sul futuro prossimo non conosce confini disciplinari. Deve tener conto di tutto, dalla demografia globale a quella locale, dalla composizione sociale a quella atmosferica, dalle più recenti innovazioni in campo energetico, tecnologico e aerospaziale ai vuoti normativi dello spazio cosmico e di quello cibernetico, dall'esplosione economica dell'industria del Gaming alla quotidianità dell'abitare nelle smart cities dei prossimi decenni, dalle disuguaglianze globali all'impatto onnipervasivo dell'intelligenza artificiale. Ma il suo nucleo principale, oggi, è un problema etico e, in fondo, pedagogico. Il presente si trasforma velocemente e le competenze che ogni generazione può, e vuole, tramandare rischiano di rivelarsi saperi obsoleti trasmessi in linguaggi obsoleti. Come facciamo a preparare i giovani ad un tempo che è loro molto più che nostro? E mediante quale linguaggio?

Il futuro è in-formazione

La formazione è il problema del millennio, e il caso italiano è esemplare. L'Italia è il paese dei NEET, siamo primi in Europa. 3 milioni di giovani, in maggior numero ragazze, non studiano e non lavorano: non progettano il proprio avvenire. Quasi 1 su 3, nella fascia tra i 20 e i 24 anni. Se incrociamo i dati della disoccupazione giovanile con i dati dell'abbandono scolastico (che tocca livelli preoccupanti nel Sud e nelle isole, in Sardegna supera il 4% degli alunni) e con quelli del calo demografico nazionale, otteniamo un'istantanea della questione fondamentale di un'indagine italiana sul futuro. È un problema anche economico, ma soprattutto sociale e culturale, che tocca le istituzioni ad ogni livello, a partire dal primo che incontriamo nella vita, quello della scuola e della formazione, e che poi si concretizza in una diffusa sfiducia, e una crescente distanza, tra i giovani e le dinamiche politiche e istituzionali. L'obsolescenza dei corpi intermedi tradizionali sta producendo, più che una completa disintermediazione, una reintermediazione su nuove basi, condotta da nuovi mediatori (su tutti Google, Apple, Amazon, Microsoft e Meta), con nuove regole. Regole per lo meno poco trasparenti (dagli algoritmi impiegati all'impiego dei dati personali ottenuti) rispetto alle quali le contromisure normative democratiche si dimostrano in evidente ritardo e in evidente difficoltà. Una difficoltà forse costitutiva: le contromisure normative democratiche, per essere tali, devono essere condivise. E in gioco, oggi, sono soprattutto le modalità della condivisione, dell'informazione e, di nuovo, della formazione di una coscienza critica, tanto a livello individuale quanto a livello collettivo. È un problema che riguarda tutti ma che colpisce soprattutto le coscienze in fase di formazione, i più giovani, esposti più di altri alle ultime ondate digitali, ad esempio Instagram e TikTok, e alla viralità di "contenuti" raramente formativi. Una sorta di diffuso rumore cognitivo, l'obsolescenza dei tradizionali canali di formazione-informazione e la connessa mancanza di progettualità si candidano al ruolo di cifra dell'epoca.

Il futuro è intergenerazionale

Cambiano i sistemi di riferimento, e dunque le bussole, e le mappe, vanno aggiornate. Ma chi deve aggiornarle? Innanzitutto coloro che dovranno usarle. L'attuale reintermediazione richiede una risposta condivisa, e cioè certamente anche una risposta normativa e istituzionale, ma esige soprattutto una risposta dal basso.
In effetti, talvolta, un problema nasconde, e insieme rivela, un'occasione. In questo caso l'occasione di un cambio di paradigma nell'idea tradizionale di formazione e trasmissione culturale: da un paradigma verticale a un paradigma orizzontale o dialogico.

La sempre più rapida obsolescenza dei saperi e dei linguaggi comporta innanzitutto due fattori degni di nota. Il primo è una tendenziale trasformazione dell'allievo in maestro, una sorta di scambio di ruoli, una trasformazione che in fondo è da sempre il fine ultimo di ogni istruzione, ma che oggi produce di per sè non tanto la chance quanto proprio la necessità di un dialogo intergenerazionale.

Per ogni giovane su tre che esperisce la difficoltà o l'impossibilità di progettare il proprio avvenire, che resta insomma in balìa della transizione, e degli errori dei padri nell'affrontarla, ce ne sono altri due che stanno letteralmente programmando il futuro. I giovani sono portatori, e anzi creatori, di saperi tecnici e informatici, ma anche di modi o stili di vita, senza i quali gli adulti non riescono a comprendere, e abitare, non solo il futuro, ma già il presente. Già il presente richiede un intreccio e un aggiornamento costante di competenze che sono semplicemente fuori dalla portata di un singolo individuo, di un singolo gruppo, di una singola disciplina, di una singola generazione. Il tempo della transizione, il tempo della complessità è anche il tempo del non-sapere, e dunque del dialogo.

Il secondo risvolto positivo dell'obsolescenza diffusa è proprio l'emergere di questo dialogo, fosse anche nella percezione della sua mancanza, della sua difficoltà e fragilità, l'emergere di un minimo comune denominatore tra tutte queste generazioni e questi saperi, un nucleo etico di comunità che resiste ad ogni innovazione e ogni obsolescenza, ma che resiste solo se lo perseguiamo, se ci lavoriamo. Vivere in comunità è il compito di rinnovarla, di rifondarla su altre basi.
Ma questo diviene chiaro soprattutto nelle fasi di transizione, quando l'abituale cessa di essere tale, e quello che davamo per scontato, la stessa realtà, si dimostra un intreccio di eventi soltanto possibili, al massimo probabili. Non necessari, non immutabili, ma sempre suscettibili di variazione, e cioè anche di intervento. Una verità che la fisica quantistica ci propone dagli anni Venti e che si è inverata nella rivoluzione digitale degli ultimi vent'anni.

Il futuro è multimediale

Come la meccanica quantistica innestava la virtualità e la probabilità nella trama stessa del reale (una particella è anche sempre simultaneamente un'onda, almeno finché non intervengo io con la mia osservazione) così la rivoluzione digitale ha incrinato il dualismo tra reale e virtuale, tra vita online e vita offline. Viviamo già onlife, nella felice formulazione del filosofo Luciano Floridi, ma siamo anche all'origine di un processo che ci porterà in futuro a non percepire più la contraddizione, l'alternativa, la contrarietà non solo tra i due termini del binomio reale/virtuale, ma forse anche tra i termini di molti altri celebri dualismi. Un cambiamento nella configurazione dei rapporti tra uomo e macchina, uomo e animale, uomo e donna, e non solo: questo è un tempo che lavora sui generi, sui dualismi, sull'ibridazione dei contrari. E la cosiddetta generazione Z è espressione di questo tempo.

Il gruppo di ricerca 2030-2040 Futuri Probabili (Marco Casu, Anna Giurickovic Dato, Ginevra Leganza) ha già intervistato centinaia di giovani dagli 11 ai 19 anni, provenienti da tutta Italia, dal centro di Roma alla provincia di Brindisi, da Vasto a Portogruaro, ponendo alternative semplici ("sostenibilità o progresso?", "energia nucleare o rinnovabili?", "il calo demografico italiano dipende da fattori economici o culturali?"), questioni volte a stimolare dibattiti, anche e soprattutto a mezzo social, domande in cerca di dialogo più che di statistiche. Il lavoro di raccolta e di pubblicazione delle video-interviste continuerà fino al giugno 2023, ma alcune tendenze sono già ora sono chiare: di fronte ad alternative secche, più che rispondere in un senso o nell'altro, i giovani tentano risposte complementari. Se indotti al dialogo, fluidificano la "o" dell'alternativa nella "e" dell'insieme. Insomma: non meno degli esperti intervistati, ragazze e ragazzi ragionano, riformulano le domande, intervengono sulle questioni.

Dalle risposte degli esperti e dei ragazzi è nata la prima serie multimediale del progetto 2030-2040 Futuri Probabili, intitolata "Per un dialogo intergenerazionale", in pubblicazione sui canali social (Instagram, TikTok, facebook, Youtube) della Fondazione Leonardo - Civiltà delle Macchine a partire dal dicembre 2022. Docu-film e clip di montaggi alternati, mosaici di futuro, anzi di futuri probabili, che tra i giovani hanno già ottenuto risultati incoraggianti. In fondo, forse, perchè incoraggiano i giovani a prendere la parola, a metterci la faccia, e anche la testa. Per risolvere i problemi di un dialogo interrotto, a volte, basta iniziare a dialogare.