05 novembre 2020
Il suo nome è Giulietta. Non so se l’hanno chiamata così poco più di quarant’anni fa pensando a Shakespeare o alla mitica Alfa Romeo di cui si legge nell'articolo sul numero 2/2019 della rivista Civiltà delle Macchine ma poco importa. Giulietta è di Urbino, insegna a Rimini ed è una artista di rara sensibilità.
Dei suoi lavori mi sono rimasti molto impressi quelli ispirati alle Metamorfosi di Ovidio che ho visto esposto nei locali della Data a Urbino.
Poi il progetto di un lavoro pensato per Matera dedicato alla figura di Ipazia. Ovviamente non se ne fece nulla; più facile fare una mostra di opere di Salvador Dalì che dare spazio ad una giovane artista italiana, e come lei magari tanti altri, nell’anno della Matera capitale europea della cultura. Quel lavoro su Ipazia, matematica astronoma filosofa del IV secolo trucidata da fanatici cristiani, sarebbe stata una performance straordinariamente coinvolgente e densa di cultura mediterranea.
Non da meno è questa performance di cui narrano inequivocabilmente le foto. Di cui parla la solitudine del luogo prescelto, la stessa solitudine della morte, in un’ora di un primissimo mattino di settembre a far contrasto con il rumore della folla che poco dopo avrebbe riempito quella spiaggia di Rimini. Di cui parla infine lo scontrarsi della profonda consapevolezza del gesto artistico e la coscienza del naufrago di dover morire con l’inconsapevole incoscienza dei bagnanti, tutti uniti in un drammatico flusso continuo dall’elemento acqua.
Il tema dei migranti è violentato ogni giorno da banalizzazioni e strumentalizzazioni, cavalcato per opposti scopi e disumanizzato in grafici e contabilità.
La bellezza struggente dell’opera di Giulietta Gheller che si scioglie in acqua è un vero colpo allo stomaco e una scossa salutare al cervello.
Scrive l’artista: "Si è trattato di una performance in cui una mia scultura in terra essiccata è stata immersa in riva al mare e lasciata liquefarsi fino alla sua completa sparizione. La scultura rappresentava una donna africana, la performance la sua dissoluzione in mare: questo non ha bisogno di commenti. L’intensità di quella esperienza è stata sostenuta dall'intervento sonoro di Francesca Qoya e immortalata da due fotografi, Andrea Shinigami e Debora Vendemini e da due operatori, Andrea Laquidara e Angela Cervellieri. In queste settimane Andrea Laquidara, regista che io stimo tantissimo, ne sta montando il cortometraggio, secondo me, bellissimo."