Salvi un borgo salvi l'Italia...e dai una mano alla salute

C'è una relazione fra questa realtà molto densa di uomini, fabbriche, reti stradali, concentrazioni urbane, cementificazione dilatata a macchia d'olio e la proliferazione del virus.

Di Oriano Giovanelli

24 marzo 2020

Guardo la mappa del contagio, quella Tau rossa, il suo asse trasversale lungo la pedemontana lombardo-veneta con i suoi vertici fra Milano e Padova, a ovest piega in basso, proprio come la lettera dell'alfabeto greco, verso la provincia di Torino. L'asse verticale allungato messo quasi in corsivo che scende giù sulla via Emilia fino a Rimini/Pesaro.

Ha una miriade di significati simbolici la Tau in biologia molecolare, ingegneria, fisica, matematica. E ha un forte significato religioso perché nella Chiesa delle origini veniva a simbolizzare la croce di Cristo (Passa in mezzo alla città, in mezzo a Gerusalemme e segna un Tau sulla fronte degli uomini che sospirano e piangono...(Ezechiele 9,4). Un simbolo adottato dai frati Ospitalieri di S. Antonio e, come tutti sanno, dai Francescani.

Ma nella nostra storia novecentesca quella Tau segna un territorio e una realtà molto più prosaica.
È l'Italia del PIL, l'Italia della fabbrica, delle grandi famiglie industriali e della miriade di aziende della subfornitura. L'Italia del capitalismo più avanzato che ha saputo reagire alle crisi cicliche e poi a quelle “straordinarie” sempre rialzandosi a tal punto da collocarsi ai vertici del benessere e della competitività mondiale. L'area che fa gola alle multinazionali e tante vi hanno già messo radici perché lì davvero “italians do it better”. È lo spazio entro cui si sono affermati a seguito di grandi lotte operaie e contadine i più avanzati livelli di welfare e di servizi pubblici creando un contesto favorevole alla imprenditorialità.

C'è una relazione fra questa realtà molto densa di uomini, fabbriche, reti stradali, concentrazioni urbane, cementificazione dilatata a macchia d'olio e la proliferazione del virus.

Io credo di si, ma il mio pensiero non è scientifico bensì induttivo. Il virus si muove con le persone e quella è un area di grandi relazioni, fiere, meeting, di grande mobilità casa lavoro. Un movimento di persone e mezzi che è stato anche in questi giorni di blocco troppo forte tanto da richiedere nuove restrizioni.

Certamente quella conurbazione ha una relazione con la produzione di "pm10" quelle micro polveri che sono state combattute senza grande successo negli ultimi 20 anni.

A proposito, uno studio della Società italiana di Medicina Ambientale, del Centro Interdipartimentale per la ricerca industriale (CIRI), Fonti Rinnovabili, Ambiente, Mare ed Energia (FRAME) dell'Alma Mater Studiorum di Bologna e della Università degli studi Aldo Moro di Bari conclude che "la specificità della velocità di incremento dei casi di contagio che ha interessato alcune zone del Nord Italia potrebbe essere legata alle condizioni di inquinamento da particolato che ha esercitato un'azione di carrier e di boost. Una possibile concausa quindi, espressa con formula dubitativa ma la letteratura in materia comincia ad essere significativa e convergente. Direi che anche gli scettici dovrebbero quanto meno prestarvi attenzione se non altro per un principio di cautela.

Una riflessione si impone anche per chi come me non vede altra via d'uscita dalla crisi ambientale se non attraverso il concorso di una azione pubblica e il parallelo cambio di paradigma del modello industriale per iniziativa di imprenditori portatori di una nuova coscienza pubblica e non nella deindustrializzazione felice.

Danilo Taino sul Corriere della Sera del 21 marzo scorso riflette "su che mondo dopo il coronavirus" e conclude suggerendo 5 campi di iniziativa: lotta alla povertà; i sistemi di welfare (la sanità pubblica dico io!); il rapporto con la natura e la qualità delle città; scienza e istruzione; voglia di libertà nella cultura e nelle arti.

Sono punti convincenti, anche se entrando nel merito di ognuno ci si accorgerebbe che le variabili sono tante e con esse le differenze di opinione. Ma le prendo per buone e stimolanti.

A questi accompagnerei altri tre temi che possono essere anche considerati una modulazione dei suoi cinque:

- diffusione delle tecnologie per lavorare in modo diverso. La spinta obbligata di questi giorni allo smart working, al lavoro agile negli uffici, nelle aziende, nelle banche, negli studi professionali, nei giornali è estremamente interessante e sarebbe colpevole farla cadere. Il salto di qualità non si fa senza diffusione della fibra, senza sicurezza negli accessi, nel trasferimento dei dati. Noi siamo molto indietro ma ora abbiamo cominciato e dobbiamo essere conseguenti.

- forte investimento in intelligenza artificiale per governare fenomeni complessi che richiedono potenza di calcolo, comunicazione sicura, sicurezza del lavoro degli operatori in condizioni di pericolo. Questa situazione del personale sanitario esposto al contagio mi suona come una inaccettabile arretratezza quando sono convinto che la tecnologia militare in merito alla tutela dai contagi avrà già a disposizione risposte tecnologicamente avanzate.

Civita è una frazione di 11 abitanti del comune di Bagnoregio, in provincia di Viterbo, nel Lazio, facente parte dei borghi più belli d'Italia, famosa per essere denominata "La città che muore"

Da ultimo, ma solo per dargli maggiore forza ed evidenza: contrastare e invertire la tendenza alla concentrazione urbana, riprenderci i borghi spopolati, rendere possibile che si possa tornare a vivere e vivere bene in realtà a basso livello di antropizzazione, riprenderci le valli, le colline. Guardo i dati del contagio comune per comune della mia provincia e vedo le differenze. Vedo il paradosso per cui siamo costretti a riaprire ospedali dell'entroterra che erano stati chiusi nella logica perversa della razionalizzazione e della concentrazione verso le più grandi aree urbane.

L'Italia può farlo, può marcare la differenza con altre realtà europee e mondiali. Nonostante la stupidità della politica che ha detto per legge che in Italia esistono 14 città metropolitane, (al massimo sono 3), in verità la ricchezza del nostro paese sta nel non averne e saggezza vorrebbe di non indulgere a tentazioni che vadano verso quella direzione. Non vorrei essere equivocato io amo le città, so bene che la densità è il luogo della moltiplicazione dell’innovazione, dello scambio culturale, della mescolanza. So altrettanto bene che vi sono aree estese e contigue il cui governo va coordinato. Ma le forme del vivere se vogliono tendere alla qualità non possono evitare di rispondere alla domanda: quanti in verità godono degli effetti positivi della densità e quanti invece ne sono succubi e amerebbero potersene emancipare.

Vista aerea di Roma

Anche qui è la tecnologia che può fare la differenza. Non è una idea pastorale che ci deve guidare ma una idea iper-moderna fattibile con le tecnologie già oggi esistenti e come parte di quel "green new deal" fatto proprio anche dalla Commissione Europea.

Cosa abbiamo perso non invertendo la tendenza allo spopolamento dell’Italia cosiddetta minore che in verità copre la maggioranza territorio nazionale riguarda nonostante tutto 10.000.000 di abitanti per un totale di 5488 comuni. È una domanda che dobbiamo farci guardando non solo la bella corona alpina ma soprattutto la lunga spina dorsale appenninica e le nostre splendide isole. Storicizzando il fenomeno si può certo dire che non vi fossero molte alternative immediatamente praticabili, ma oggi non è più così.

Non agire sarebbe uno spreco in termini di sicurezza ambientale, qualità della vita, beni culturali, economia di qualità che non ci possiamo più permettere.

Salvare un borgo, davvero, ancora di più dopo la dolorosa esperienza che stiamo vivendo, può voler dire salvare l'Italia e dare una mano alla nostra salute.