In Svezia l’anno scolastico è cominciato con una eclatante novità: sui banchi i bambini hanno trovato carta e penna per imparare a scrivere. Il governo svedese ha, infatti, dato seguito alla proposta del ministro dell’Istruzione, Carlotta Edholm “più libri di testo e meno computer” e ha mandato in soffitta pc e tablet, fino a ora vanto di uno dei sistemi scolastici in Europa più permeabili alle novità pedagogiche.
Non si sa quale sia stata la reazione del bambino della generazione ultima dell’era digitale – la riforma svedese interessa la scuola materna- la cui manualità e attrazione visiva derivano sempre più dalle immagini trasmesse dai cellulari e dai tablet di mamma e papà. La genAlpha è, infatti, la prima generazione che non usa il dispositivo ma lo vive. Sul touch screen i bambini imparano il tatto: sono abituati a sfiorare più che ad afferrare e gli antropologi stanno riflettendo sull’evoluzione della loro capacità prensile come già hanno registrato le modifiche nella postura dei loro genitori Z.
Ma la questione sollevata dal ministro Edholm più che dall’evoluzionismo è stata dettata dall’analisi dei risultati dell’indagine PIRLS 2021 (Progress in International Reading Literacy Study). Dall’indagine, che mette a confronto le abilità di “leggere per imparare” degli studenti tra i nove e i dieci anni, risulta una contrazione della media degli studenti svedesi di quasi dieci punti rispetto al precedente rilevamento: 544 punti nel 2021 contro i 555 del 2016. Se si guarda al dato italiano, “In Italia, gli studenti di quarta primaria ottengono un punteggio medio pari a 537 punti, un risultato superiore a quello medio internazionale di tutti i Paesi partecipanti e superiore al punteggio medio dei Paesi europei partecipanti” (dal rapporto pubblicato da Invalsi) ma inferiore a quello svedese.
Le scuole italiane, però, restano almeno nell’area meridionale indietro rispetto alla presenza di dotazioni tecnologiche e il problema semmai si affronta nelle scuole superiori con esempi virtuosi come l’Istituto Tecnico Mattei di Rho con la creazione di aule immersive.
L’inversione di rotta della Svezia rispetto alle scelte precedenti pone, tuttavia, una serie di interrogativi e non solo di natura politica, pedagogica o di visione economica nello specifico svedese. Anzi, la questione centrale investe tout cour il rapporto tra tecnologia e umanesimo. Per tornare a McLuhan bisogna fare i conti con il profilo contemporaneo dell’idiota tecnologico: di fronte all’esplosione della tecnologia digitale diventa sempre più sterile contrapporre contenuto e messaggio. Se esiste un’emergenza didattica in termini di acquisizione di competenze sempre più complesse - emergenza che nel lungo periodo potrebbe alterare e compromettere il mercato del lavoro sul fronte della qualità dell’offerta - è pur vero che il progresso tecnologico e l’avanzamento dell’Intelligenza Artificiale possono diventare l’opportunità per un nuovo umanesimo di cui protagonista giocoforza sarà proprio la Generazione Alpha, cui servono regole più che divieti, peraltro anacronistici.
Cervantes diceva che la penna è la lingua dell’anima. Può l’anima esprimersi anche con una penna touch? In “Confidenze digitali” il sociologo Massimiano Bucchi riflette sulla necessità della sedimentazione dell’innovazione nella società e nei comportamenti individuali. Per Bucchi l’innovazione non può essere al centro di “visioni distorte o focalizzate solo sul breve periodo”. A proposito dell’evoluzione della comunicazione fa notare come il passaggio dal foglio al display ha avviato un percorso bidirezionale ossia dalla oralità della telefonata alla messaggistica scritta dei telefoni cellulari e dalla scrittura all’oralità con la crescita vertiginosa dei messaggi vocali. In ogni caso, i moti dell’anima trovano il locus verborum. Per parafrasare Bucchi, l’hybris tecnologica può servire anche a focalizzare l’attenzione sulla qualità della ricezione delle innovazioni oltre che sulla quantità.
Nel suo saggio Bucchi ricorda il flop di Clippy, l’assistente vocale pioniere di Microsoft degli anni ’90 del secolo scorso programmata sull’idea erronea che vi fosse una connessione tra le aree del cervello preposte all’uso del mouse e quelle preposte alle emozioni. Può esservi una distorsione della connessione tra le prime aree e quelle preposte all’apprendimento? Save the children, negli studi di dati sull’uso dei dispositivi digitali da parte dei bambini da 0 a 6 anni, rileva quanto proprio la sfera emotiva venga compromessa dagli ambienti digitali che usano suoni e colori per agganciare gli utenti e, come nel caso di bambini troppo piccoli, tali ambienti agiscano sulla cosiddetta mente assorbente. Spostando la questione all’ambito scolastico, da una parte i pedagogisti paventano la scomparsa del corsivo e dell’apprendimento tattile senza il quale il bambino tarderebbe a riconoscere oggetti e peso degli stessi, registrano bassi livelli di attenzione e di destrezza manuale, dall’altra c’è chi sostiene l’uso di alcuni videogiochi per facilitare lo sviluppo delle capacità logiche.
E’ innegabile che la scuola non può né deve restare fuori dall’innovazione tecnologica. Il 2023 è stato dichiarato l’anno delle competenze digitali e i banchi di scuola devono diventare il luogo in cui, anche in merito all’attendibilità delle fonti da cui trarre le conoscenze, l’apprendimento su carta possa trovare un fecondo compromesso con il digitale. Il compromesso spetta agli educatori e occorre trovarlo prima che i piccoli Alpha facciano come Pinocchio. Vendono l’abbeccedario intonso per abbonarsi a ChatGTP.