19 giugno 2023
Le emergenze, da sempre, rappresentano il punto di caduta delle società organizzate, degli ordinamenti giuridici e delle garanzie poste a tutela delle libertà. E’ questo uno dei punti di partenza del nuovo libro di Andrea Venanzoni, ‘La tirannia dell’emergenza’ edito in questi giorni da Liberilibri.
Negli ultimi decenni, l’emergenza è divenuta un autentico convitato di pietra, andando incontro ad una piena stabilizzazione tra le pieghe del vivere civile. Venanzoni annota e redige una tassonomia delle emergenze, nel particolare e nel modello generale; risalendo su dal terrorismo politico degli anni settanta a quello di matrice religiosa degli anni novanta e duemila, fino alle varie pandemie e malattie che hanno squassato la società negli ultimi anni, per giungere poi all’emergenza inquinamento/cambiamento climatico.
In ogni emergenza, rileva l’autore, per quanto alcuni dispositivi di contrasto e di governo possano in apparenza differire c’è un filo rosso comune che è la riduzione, fin quasi a zero, del rischio, mediante forme di precauzione e di sterilizzazione di qualunque elemento dissonante.
Lo abbiamo sperimentato in questi ultimi tre anni, nella maniera più evidente possibile. Limitazioni, divieti, imposizioni, comandi, ordini, concessioni, con una aura semantica di purissimo ritorno ad epoche premoderne, in cui erano i sovrani ad autorizzare e concedere qualunque diritto.
L’emergenza, imponendo all’attenzione pubblica un rischio potenzialmente devastante, implica sempre strumenti di contrasto del tutto eccezionali e spesso esorbitanti dal perimetro delle garanzie che un ordinamento si è dato a tutela dell’individuo.
E’ evidente che se primum vivere, come ci è stato ripetuto fino allo sfinimento durante gli anni pandemici e ora che torniamo a confrontarci con le previsioni escatologiche sul clima, tutto il resto, libertà compresa, diventa ancillare, secondario. E in questa faglia preoccupante appare evidente come l’emergenza possa rendersi pretesto o occasione per ingegneria istituzionale o per imporre una qualche agenda politica, azzerando in radice qualunque opinione dissenziente.
Non a caso Venanzoni dedica una parte centrale del volume al ruolo occupato dall’opinione pubblica e dal modo in cui la stessa viene plasmata, in tempi di emergenza, dai pubblici poteri.
Orientata fino a costituire un mantra da mobilitazione totale, con il ricorso a parole di stampo bellico e a insultanti epiteti (‘negazionista’, della pandemia, del cambiamento climatico), sorta di lettera scarlatta della ignominia, nei confronti di chiunque osi, per quanto in maniera motivata e articolata, esprimere concetti dissenzienti e divergenti, l’opinione pubblica non è più spazio di dibattito e di costruzione di un confronto dialettico ma soltanto dispositivo di controllo e di irreggimentazione.
D’altronde, nella società digitale, in cui i canali informativi possono essere molteplici, appare ancora più pervasiva quella dinamica che la sociologa tedesca Elisabeth Neulle-Neumann definiva ‘la spirale del silenzio’: le opinioni veicolate fuori dalla vulgata istituzionale vengono condannate o sotto-rappresentate o ridotte al silenzio. E posto che i media digitali potrebbero disarticolare questo meccanismo ecco che in ogni emergenza avanza sempre la proposta di ‘regolare’, cioè limitare, le libere espressioni su Internet. O peggio, di istituire una sorta di Autorità della verità per stabilire cosa sia vero e cosa sia falso.
L’emergenza, poi, scrive Venanzoni, porta il caos delle forme giuridiche, sequenze stordenti di provvedimenti dal linguaggio opaco e contorto, la cui conseguenza ultima è la frantumazione del principio garantistico della certezza del diritto e l’emersione di un vero diritto della paura.
E, in questa palude, ecco emergere sempre nuovi corpi tecnici, organismi del tutto slegati dal circuito della legittimazione democratica e le cui decisioni spesso si sostituiscono a quelle degli organismi elettivi o degli apparati pubblici connessi al governo.
L’emergenza, passo dopo passo, si inocula nel corpo dell’ordinamento, lo altera, lo cambia, fino a rendersi forma totale, ordinaria, elemento quasi irrinunciabile della società, e divenendo a tutti gli effetti tirannia.