Una nuova Ostpolitik è necessaria

Di Oriano Giovanelli

11 marzo 2021

Sono passati 50 anni dal premio Nobel per la Pace assegnato a Willi Brandt per l'efficace e lungimirante visione che lo guidò nella sua leadership della SPD tedesca, allora al 45% dei consensi, e nel suo ruolo di Cancelliere della Repubblica Federale di Germania dal 1969 al 1974. Allora era il futuro della "questione tedesca" il centro del problema europeo. Non si trattava solo di una questione umanitaria e di disinnescare una potenziale polveriera fra gli Alleati che si erano divisi le spoglie di Berlino. Nessun progetto europeo degno di questo nome sarebbe stato possibile senza risolvere la questione tedesca. Il suo realismo e la sua fiducia nei valori che interpretava spinsero Willi Brandt ad abbandonare la linea privilegiata dagli USA , dalla CDU e da parte del suo stesso partito che consisteva nel non riconoscere l'altro da se. Non riconoscere la Repubblica Democratica Tedesca, non riconoscere il ruolo dell'Unione Sovietica, rimanere ancorato ad eredità politiche imperiali già sfruttate dal nazionalismo nazista come la questione dei tedeschi dei Sudeti, portava solo all'irrigidimento delle politiche dei governi al radicamento di sentimenti ostili e al conseguente dolore delle popolazioni divise dal Muro. La Ostpolitik, che mai diventò una politica maggioritaria nel Parlamento della Repubblica Federale, spezzò questa inerzia pericolosa. Ma Brandt non fu solo. Una linea analoga vide protagonista il pontificato di Paolo VI, con il Segretario di Stato Agostino Casaroli, il quale sviluppò l'elaborazione maturata con il Concilio Vaticano II e diede continuità ai primi passi che Papa Giovanni XXIII aveva già mosso fin dal 1964. Non tragga in inganno che già dal 1974 la stagione della Ostpolitik sembrò entrare in crisi. Ad ogni proiezione in avanti in politica segue un riflusso soprattutto quando la proiezione in avanti è letteralmente "visionaria". Ma il seme gettato, come nel vangelo di Giovanni, continuò a dare buoni frutti.

(Copertina) Willy Brandt e Willi Stoph a Erfurt 1970, il primo incontro di un Cancelliere federale con la sua controparte della Germania dell'Est. (Sopra) Paolo VI riceve in Vaticano l'allora capo di Stato bulgaro Todor Zivkov.

Sarà stato lo spirito dei tempi ma non per caso poco dopo si ebbe il tentativo dell'Eurocomunismo e il dialogo a distanza fra Willi Brandt e Enrico Berlinguer sulle grandi contraddizioni epocali che il capitalismo già evidenziava. Il fatto che poi la chiusura di quella fase storica vide protagonista un Presidente della destra americana come Ronald Reagan e il leader della CDU Helmut Kohl fa parte di quella sorta di "contrappasso" abbastanza frequente in politica, per cui per concretizzare una cosa di sinistra a volte serve un leader di destra e specularmente per farne una di destra a volte serve un leader si sinistra. Rimane il fatto che se dall'altra parte quindici anni dopo il lancio della Ostpolitik Michail Sergeevic Gorbacev, anch'egli premio Nobel per la Pace e da pochi giorni novantenne, poté condurre a termine seppur caoticamente una vera e propria rivoluzione senza che un solo cittadino della Unione Sovietica morisse lo si dovette al suo autentico pacifismo ma anche alla convinzione che la leadership sovietica aveva maturato sul fatto che di qua non ci sarebbero state azioni tali da minacciare la sicurezza e l'integrità del paese ma governi con cui dialogare e collaborare. Il dialogo avviato con la Ostpolitik aveva messo radici. Poi le cose non andarono esattamente così sia causa della sciagurata politica di Boris Eltsin e dei così detti oligarchi desiderosi di smantellare il potere politico e impossessarsi delle grandi ricchezze naturali del paese. Anche il comportamento della Nato non fu coerente con gli impegni assunti da Reagan mentre si dava corso alla più grande politica di disarmo della storia. Va detto fra parentesi a chi si meraviglia del consenso di Vladimir Putin nel suo paese e della sostanziale stima che ne ha lo stesso Gorbacev che rileggere criticamente quella fase aiuterebbe a capire molte cose. Chiusa parentesi.

Il presidente Ronald Reagan alla visita di stato del cancelliere Helmut Kohl della Repubblica federale di Germania alla cerimonia di arrivo al South Lawn, 1982

Dopo quei fatti sembrò che il mondo dovesse andare verso una unica direzione e invece per fortuna la storia ci ha stupito. Un unico dominatore del mondo non soltanto dal punto di vista militare ma neppure economico e ancora di meno un pensiero unico egemone non c'è stato prima, non c'è oggi e non ci sarà domani. Ma le contraddizioni e le preoccupazioni che occuparono Il pensiero di Brandt nell'odierno mondo globale se è possibile si sono aggravate rispetto ai tempi della "guerra fredda". Forse non è un caso che di nuovo un Papa ne sia schietto e straordinario interprete. Ciò che impedisce un lavoro efficace per farvi fronte non è la mancanza di risorse, di tecnologie, di conoscenza, è la mancanza di volontà di riconoscere l'altro da se, la sua storia le sue ragioni le sue esigenze. La presunzione di omologare sistemi metodi di governo sistemi e metodi di regolazione economica; la mancanza di fiducia sul fatto che sia il dialogo la cooperazione lo scambio a introdurre nei sistemi quei fattori evolutivi che solo possono portare ad una reale centralità dell'uomo e dei suoi bisogni. Manca la capacità visionaria di Brandt e di Gorbacev di rompere l'inerzia dei comportamenti politici, buttare all'aria le piccole rendite di potere che nell'inerzia si coltivano. Quell'inerzia ha il volto di un dissennato riarmo, di una guerra da combattere nello spazio, la pretesa di un dominio unilaterale. E' uno spreco enorme oltre che essere una incombente minaccia per il futuro dell'umanità. Per me l'Ostpolitik di Brandt e la stessa esperienza di Gorbacev possano essere tranquillamente iscritte in un profilo identitario di una vera sinistra europea moderna. Questa oggi l'identità l'ha persa e la può ritrovare solo se saprà rilanciare la lezione di quei due grandi leader dentro a questo mondo globale gravido di rischi . Il mondo se ne gioverebbe grandemente e ringrazierebbe.