L’ex direttore della National Security Agency americana, Michael Rogers, di recente ha lanciato un allarme sugli attacchi hacker provenienti da paesi rivali, come Cina e Russia. Fino ad adesso gli attacchi digitali alle infrastrutture civili e militari non vengono considerati al pari di bombardamenti o lanci di missili, ma a breve, ha detto Rogers, i cyber attack potrebbero essere considerati come delle dichiarazioni di guerra. “È solo una questione di tempo prima che si attraversi il Rubicone”, ha detto alla conferenza Digital Future. Secondo Rogers la Cina sta usando i suoi hacker per penetrare nei sistemi degli USA, ma anche di Taiwan e della Corea del Sud, per esplorare le strutture della rete e preparare, eventualmente, un attacco. Il governo americano dovrebbe quindi prepararsi, e costruire delle difese ulteriori a questo genere di attacchi. E adesso, in questa guerra fredda tech, è entrata anche in gioco l’intelligenza artificiale che, dice Rogers, è “un’arma a doppio taglio”, perché può essere usata per migliorare le capacità di rilevamento dei potenziali attacchi o infiltrazioni, ma anche le abilità intrusive degli hacker nemici possono essere potenziate grazie all’AI.
Lo sviluppo dell’AI in Cina è strettamente legato agli Stati Uniti, perché la Cina acquista parte dei chip dagli USA, in particolare i superconduttori, anche per tutta l’industria che riguarda gli smartphone. La Cina è molto avanti sulla ricerca AI che riguarda soprattutto algoritmi di riconoscimento facciale ma l’industria del paese non è ancora in grado di produrre i chip utilizzati in queste tecnologie avanzate. Fino a poco tempo fa le aziende asiatiche potevano acquistare i chip senza la necessità di particolari licenze ma da qualche mese l’amministrazione Biden sta rendendo più restrittivi gli acquisti da parte di società che potrebbero usare queste tecnologie a sfavore degli Stati Uniti, soprattutto per uso militare. Il dipartimento del commercio americano ha annunciato che limiterà ulteriormente la vendita di alcuni chip, restringendo oltre all’esportazione degli H100, i chip più avanzati e fondamentali per l’AI, già in vigore da tempo, anche quella degli A800 e degli H800. Si tratta di tutti prodotti da Nvidia, azienda leader con sede a Santa Clara, principale provider di chip per l’AI per la Cina. La lista di semiconduttori a cui verranno imposti dei limiti nelle esportazioni, dicono a Washington, potrebbe crescere ulteriormente, toccando aziende come Intel e AMD. Allo stesso tempo gli USA stanno cercando di convincere Giappone e Olanda, altri produttori chiave di componentistiche tecnologiche, a limitare la loro esportazione alla Repubblica cinese.
La risposta di Pechino è stata negativa, gli USA sono stati accusati di “contenimento e repressione” in stile guerra fredda. Poi sono stati vietati i chip americani prodotti dalla Micron nei progetti infrastrutturali nazionali, una chiara mossa di ritorsione. Ma la Cina non sembra poter fare a meno della componentistica made in USA per l’AI e quindi molti nel paese stanno comprando tramite intermediari, o passando per altre nazioni. Secondo il Guardian sta anche nascendo un mercato nero dei chip. Ma dalla Cina, dopo le continue restrizioni di Biden, arrivano anche dei messaggi che sembrano positivi. Chloe Wang, vice presidente del grande fondo d’investimento Yang Cheng, all’evento East Tech West organizzato a Guangzhou ha detto che l’ultimo bando USA sui chip è “un’ottima notizia”, perché permetterà alla Cina di creare il “suo ecosistema” senza dover dipendere da nazioni estere. Huawei sta cercando di rubare la fetta di mercato di Nvidia sviluppando nuovi chip.
Ma il cuore della questione resta l’uso eventuale delle nuove tecnologie di intelligenza artificiale in eventuali conflitti tra nazioni. Al Belt and Road Initiative Forum che si è tenuto il 19 ottobre, la Cina ha presentato la sua AI Governance Initiative dove, oltre a criticare le restrizioni occidentali, ha invitato tutti a una collaborazione globale per assicurarsi che “l’Ai resti sotto il controllo umano”. Le tensioni geopolitiche causate dalla corsa a un’AI sempre più sviluppato, dicono alcuni esperti, potrebbe far perdere di vista quello che potrebbe essere il vero problema: un’intelligenza artificiale autonoma, che agisce indipendentemente dal controllo degli esseri umani.