Volkswagen Bulli, il van hippy torna a viaggiare con un'anima tutta elettrica

30 novembre 2021

Di Giovanni Vasso

Si torna sempre. Si trattasse anche di percorrere, per intero, la cintura dell’Equatore, di solcare Oceani schitarrando riff psichedelici a Woodstock per poi sbucare sotto uno Stupa nel misterioso Siam. Il Bulli, il mitico furgoncino della Volkswagen, è tornato. 
Il furgoncino per eccellenza riparte dalle origini e si presenta come una citazione coltissima della storia stessa dell’icona Vw. Nato operaio, per trasportare qua e là tra le linee di fabbrica il materiale per assemblare Maggiolini, si fece una sorta di berlinona di lusso per poi trasformarsi nel mito giramondo e hippy. Prima ha portato gli operai da un reparto all’altro, quindi ha scarrozzato sacerdoti e suore tra conventi, oratori e convitti, infine se n’è andato in pellegrinaggio per il mondo assieme ai figli dei fiori. 
Il nuovo Bulli si presenta, per la prima volta nella gamma Multivan, con la trazione plug-in ibrida che promette fino a cinquanta chilometri d’autonomia con la modalità elettrica. Nuovo sistema di luci intelligenti che, tra le altre cose specialissime e notevolissime, all’avvio “saluta” il proprietario proiettando la sua sagoma così come la Bat-mobile salutava Batman, paladino di Gotham City, col simbolo del pipistrello.


Un passaggio nella galleria del vento ha consentito – seppur nel rispetto della sostanza delle forme – di abbassare i coefficienti aerodinamici consentendogli di rimanere dentro parametri stretti di consumo ed emissioni. È equipaggiato con venti sistemi di sicurezza alla guida, offre i servizi integrati digitali di Alexa di Amazon, punta – decisamente – a ribadire la sua centralità nel suo peculiare segmento. “Smart home”, sussurrano le presentazioni ufficiali. Una lussuosa casa su ruote, così come sognavano diventasse l’automobile i “futurologi” della Bélle Epoque. Tradizione rispettatissima. 
Ciò che, a prima vista, appare stridere con quanto ci si aspetterebbe dal furgoncino è l’addio alla spartanità. Gli interni sono stati ridisegnati per offrire a conducente e passeggeri confort da berlina di lusso. Il tetto traspare concedendo la vista sulle nuvole e al cielo. Ma è un falso problema. Anzi, una considerazione fuorviante. Per arrivare a diventare “spartano”, il Bulli ne ha dovuta fare di strada. 
La citazione che ispira il nuovo Multivan, per chi non l’avesse già colta dalla colorazione bicolore e dal tripudio di finestrini che trova l’acme nelle trasparenze del tetto en plein air, è quella del Samba 23 Vetri. Un mezzo che – giusto per capirsi – è talmente iconico che oggi viene battuto all’asta a centinaia di migliaia di dollari.

Tutt’altro che bohémien, almeno all’inizio. Per capirlo basterebbe notare i dettagli: una modanatura cromata accompagnava la linea di demarcazione tra i due colori della carrozzeria. Un lusso scicchissimo che Volkswagen, all’epoca, quasi non consentiva nemmeno alla sfarzosa e bellissima Carman Ghia. E che oggi riprende con una fascia cromata. 
Come accadde solo a pochissimi gioielli della meccanica, quel mezzo “proletario” seppe conquistarsi uno spazio di eleganza e raffinatezza. Così come, in Italia, accadde al piccolo Ape “calessino”. Fu utilizzato a lungo dalle strutture alberghiere più alla moda, nel Sud Italia e in quell’angolo balneare di Mitteleuropa che ancora è Trieste, per il servizio navetta dei clienti e dei loro bagagli. La comodità e la sua funzionalità indussero priori e badesse a convincersi ad acquistarne flotte, per motorizzare i conventi. Magari per farne mezzi di “comitati civici di assistenza”, come in quella pietra miliare della commedia italiana che è “Le Motorizzate” (1963). Nello sketch “politico-motoristico” de Le Carmelitane Sprint, la democristianissima suor Maria – interpretata dalla bellissima modella franco algerina Marie France Anglade – accompagna al seggio, pigiando forte sull’acceleratore, il vecchio reduce, fascista e sciancato, interpretato dal caratterista Carlo Pisacane (che poi sarà Abacuc ne “L’armata Brancaleone”). Il vecchio, passato dai giorni dell’aquila a quelli più mesti del “pappagallo”, la scandalizza spiegandole come sarebbe riuscito a far votare alla moglie cattolicissima il Msi: non Movimento Sociale Italiano ma “Madonna Santissima Incoronata”. E quando le rivela che la “fiamma” rappresenterebbe il Sacro Cuore di Gesù, la manda totalmente in tilt, facendole tamponare una macchinetta di militanti comunisti. Per nuovi, esilaranti, scontri col sottofondo della contrapposizione politica. 


Dai conventi al ritorno in strada, il passo è stato breve. L’obsolescenza e il declino non ha condannato i Bulli alla scomparsa ma, paradossalmente, ha regalato loro una seconda vita. E anziché far la fine dei Gummiradler di Joseph Roth, ammassati ad arrugginire nei depositi della Vienna decaduta de “La Cripta dei Cappuccini” come simbolo del disfacimento inesorabile di un mondo antico, hanno preso la strada rock della “contestazione”. La vernice bicolore è stata coperta da mandala, simboli della pace, piallate di colori fluo. Quindi la pacificazione, forse il Bulli o meglio il Samba – dopo aver macinato tanti chilometri che forse sarebbero bastati a raggiungere Alpha Centari partendo da Ponza – ha ritrovato se stesso. E il suo posto nella storia sociale e culturale dei motori. 
E oggi Volkswagen assume su di sé la responsabilità di riproporlo al pubblico, ovviamente al passo coi tempi. Una “smart home” che ambisce a pennellare un mondo nuovo, almeno nella motorizzazione e che sappia far coincidere il rispetto per l’ambiente, con tutto quanto ne consegue, alla necessaria della libertà, che è poi la ragione fondativa del successo, non solo del Bulli, ma dell’automobile stessa. Si direbbe: più una questione filosofica e spirituale che tecnica. E non sarebbe banale. Almeno per il mitico furgoncino che ha motorizzato monaci e hippy, donne e uomini che hanno, seppur da vie diverse, tentato (e chissà chi c’è riuscito) l’ascesa alla via dello Spirito, di sicuro non è una cosa da poco.