Editoriale
C’è un fervoroso affollamento mediatico sulle avventure orbitali di Jeff Bezos della Blue Origin (spin-off astrale di Amazon), Richard Branson della Virgin Galactic, ed Elon Musk di SpaceX.
Visto con gli occhi dell’Occidente la qualità dei protagonisti ha qualcosa di famigliare e confortante, una parentela con le grandi avventure dei magnati americani a cavallo dei due secoli precedenti, il genere Henry Clay Frick e Andrew Carnegie della United States Steel, il commodoro Vanderbilt della ACT, John D. Rockefeller della Standard Oil.
Verso le stelle, in una specie di ridefinizione radicale dell’orizzonte del capitalismo. Perché c’è un aspetto nuovo in questa frontiera che oltrepassa l’animalesca energia dei tre pionieri. Riguarda il significato della visione che li accomuna, il ruolo dell’uomo nello Spazio. Con sfumature diverse, i protagonisti di questa seconda avventura spaziale dell’uomo guardano lo Spazio non come opportunità economica (non solo), ma come luogo del futuro. Colonizzare lo Spazio assorbe gli slogan hollywoodiani, rimastica avventure interstellari, azzera gli incubi ufologici, e si pone come una prospettiva con molte complicate implicazioni, a partire dal destino della Terra. Origine blu, mito fondante da salvaguardare, secondo Bezos. Oppure, per i pessimisti, futuro simulacro della arrogante cultura umana, come il Colosseo di una civiltà che in fuga dai disastri compiuti, rinnega sé stessa, ma – turisticamente quasi – ne conserva le rovine.
In questo numero “Civiltà delle Macchine” prova a raccontare alcuni degli elementi nuovi che lo Spazio 2.0 impone alle classi dirigenti in discipline molto diverse, il diritto, la medicina, l’economia, l’antropologia, la fisica, la religione, la politica, l’arte. Sull’arte, una nota specifica. Lo Spazio l’ha contaminata per almeno metà del Novecento. Il corredo di immagini che abbiamo scelto per queste pagine è un piccolo estratto del potere fascinatorio dell’infinito sulle composizioni umane: ad esempio l’autoritratto di Jean Cocteau in un accumulo di coni, o le forme circolari che ricorrono in una buona parte di questa galleria.
Se veramente lo Spazio sarà il luogo della colonizzazione, come sarà la vita che verrà? Naturalmente non ci sono risposte, perché non ce ne sono ancora. Troverete spunti, idee, suggestioni, quasi tutte ottimistiche: rispetto alle prospettive della medicina, o ai progressi che la geosservazione dai satelliti in orbita consente riguardo alla salvaguardia dell’ambiente terrestre, e più in generale rispetto al significato di tutte le cose grandemente nuove che abbiamo davanti. È un ottimismo non programmatico, è semplicemente il risultato spontaneo delle parole di chi ha contribuito a questo numero. In fondo, quello che dovrebbe orientarci nelle trasformazioni che osserviamo è il punto di vista sul moderno, quello che di moderno c’è nella estenuante, necessaria migliorativa trattativa tra la scienza e l’umanità.
In copertina: Superficie lunare, Giulio Turcato, 1967, poliuretano espanso, olio, acrilico e microsfere vitree, Collezione Paneghini, Campus Reti, Busto Arsizio
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