L’era dei virtual influencer. I social media verso l’“Internet incarnato”

14 ottobre 2021

Di Francesca Romana Lametti

«L’aspetto è quello di fanciulla vera, e diresti che è viva, che potrebbe muoversi, se non la frenasse ritrosia: tanta è l’arte che nell’arte si cela. Pigmalione ne è incantato e in cuore brucia di passione per quel corpo simulato».

Le Metamorfosi, Publio Ovidio Nasone (43 a.C. - 17 d.C.)

Rozy ama viaggiare, cucinare, fare yoga e bere il tè. La moda è la sua più grande passione e ce la racconta su Instagram. Ci mostra la sua beauty routine, si fotografa con borse firmate e splendidi outfit. La ventiduenne coreana in breve tempo è diventata una delle influencer più celebri del suo paese. Non ha moltissimi follower, ma in pochi giorni dall’apertura, la sua pagina ha già ottenuto centinaia di sponsorizzazioni, raggiungendo in breve tempo gli obiettivi economici fissati per l’intero anno di attività. Cosa rende così interessante la sua pagina agli occhi degli inserzionisti? Il fatto che Rozy, in realtà, non esiste. È un’influencer virtuale creata dalla compagnia coreana Sidus Studio X. Stando alle parole del CEO dell’azienda, Baek Seung Yeop, in due anni Rozy ha già guadagnato 800.000 dollari statunitensi. E si prevede di espandere la sua attività, si guarda al cinema e al mondo dell’intrattenimento.

Rozy non è di certo la prima delle virtual influncer. L’idea di realizzare dei CGI Influencer (Computer-Generated Imagery Influencer) non è una novità. Già nel 1995, l’agenzia giapponese Hori Pro aveva creato Kyoko Date (o DK-96), la prima pop-star virtuale della storia. Kyoko era una giovane ragazza di periferia, studentessa di lingue straniere, che si manteneva con un lavoro part-time in un fast-food e collezionava scarpe. Ha debuttato con il singolo “Love Communication”, riscuotendo un discreto successo. Sempre in Giappone, nel 1999 è uscito il primo album di Adam, virtual idol maschile realizzato dalla Adamsoft. L’artista adorava Eric Clapton e il suo film preferito era Taxi Driver. L’operazione ha incuriosito il pubblico, che ha apprezzato il personaggio.

Nel 2007 compare Miku Hatsune, mascotte virtuale e primo applicativo giapponese del programma VOCALOID2. È una sedicenne con i capelli verde acqua raccolti in due lunghi codini. La diva virtuale del J-pop ha successo in tutta l’Asia e arriva a esibirsi live persino negli USA. Balla e danza, circondata da veri musicisti. La sua voce è frutto di campionamenti audio, lei è un ologramma.

Negli ultimi anni gli avatar virtuali hanno trovato un nuovo terreno fertile su cui prosperare: i social media, uno su tutti Instagram. Nel 2016 nasce Miquela Sousa, nota anche come “lilmiquela”. È una losangelina virtuale di diciannove anni creata dalla Los Angeles Brud, società specializzata in intelligenza artificiale e robotica. Miquela oggi ha 3 milioni di followers e un alto tasso d’engagement. Pubblicizza celebri marchi della moda, crea musica e si dedica all’attivismo politico, sostenendo il movimento #BlackLivesMatter. I suoi ideatori hanno creato anche “blawko22”, un ragazzo di colore, tatuato, con il viso parzialmente coperto da una maschera. Collabora con marchi di lusso, e non solo. Ci racconta anche le sue fragilità e i suoi amori. C’è anche Shudu, la prima digital supermodel scelta da grandi maison come Ferragamo, Louboutin e Balmain. La lista è dei digital influencer è molto lunga, e continua progressivamente a infoltirsi.

Perché negli ultimi anni i virtual influencer hanno riscosso tanto successo? Sicuramente perché rappresentano una relativa novità, in un ambiente saturo come quello dell’influencer marketing, ma non solo. I grandi marchi si affidano a questi avatar perché offrono garanzie uniche nel loro genere. Gli influencer virtuali sono giovani, belli, non si ammalano, non ingrassano e non provano stress. Possono essere impegnati contemporaneamente in più luoghi virtuali. Inoltre, nessuno li potrà mai paparazzare a un festino in atteggiamenti sconvenienti. Sono sempre al posto giusto nel momento giusto. Nessuna fragilità emotiva, non hanno nulla da nascondere. Questo punto oggi è fondamentale per molti brand. Negli ultimi tempi, infatti, molte campagne pubblicitarie sono state ritirate proprio a causa di scandali che hanno coinvolto direttamente i loro testimonial. Ci si riferisce in particolare ad accuse di bullismo, di violenza e di molestie che hanno coinvolto il mondo dello spettacolo a livello globale, basti solo pensare all’eco mediatica del #MeToo nel 2017.

Un’altra caratteristica fondamentale dei virtual influencer sta nel fatto che questi non hanno opinione politiche personali. Possono essere ingaggiati per supportare un movimento, per promuovere una determinata causa politica, tuttavia ogni loro dichiarazione politica è sempre rigorosamente regolata da contratto. Questa è una grande sicurezza per gli investitori. Molti brand internazionali, infatti, negli ultimi tempi hanno incontrato non poche difficoltà quando i loro testimonial si sono espressi pubblicamente sulle elezioni americane, o su temi caldi legati alle politiche di Pechino, e non solo.

Ovviamente i CGI Influencer non invecchiano e non possono morire. A meno che non si decida di “ucciderli”. È il caso di “myfriendsylvia”. La virtual influencer newyorkese è apparsa sui social come trentenne nel maggio del 2020 ed è morta nel novembre dello stesso anno all’età di 80 anni. A crearla è stato Ziv Schneider, ricercatore della Columbia University di New York per il Brown Institute for Media Innovation. Il ricercatore era incuriosito dalle reazioni degli utenti nei confronti della vecchiaia e della morte dell’avatar. Gli utenti, infatti, erano consapevoli della virtualità del personaggio, tuttavia le notizie sulla sua salute e sulla sua morte hanno generato molte manifestazioni di affetto e reazioni sincere.

Il profilo Instagram Sylvia (@myfriendsylvia)

L’esperimento ha confermato l’idea che anche gli avatar virtuali permettono di creare legami umani molto profondi. Si sta indagando molto in questo senso e gli studi sembrano convergere. Gli avatar creano autentico coinvolgimento emotivo. Probabilmente non resteranno solo un fenomeno di social media marketing, ma entreranno a pieno nella nostra vita quotidiana. Già nel 2020, infatti, Facebook ha lanciato sulla sua piattaforma la creazione di avatar personalizzati. Al momento questi avatar permettono piccole interazioni, sono poco più che “adesivi” personalizzati, ma Mark Zuckerberg e la sua squadra stanno lavorando da tempo allo sviluppo di un “metaverso”, un cyberspazio in cui gli utenti entreranno in contatto tra loro sotto forma di avatar. Il fondatore di Facebook si richiama apertamente al mondo immaginato da Neal Stephenson in Snow Crash, testo di culto della letteratura cyber-punk. Ha prospettato un nuovo modo di vivere la rete, un “internet incarnato”. In un’intervista rilasciata a The Verge ha dichiarato: «Nella percezione degli utenti ci trasformeremo da società di social media a società del metaverso». Ha poi specificato: «Spero che questo possa accadere già entro i prossimi cinque anni».

Relazionarsi a degli avatar può sicuramente ispirarci e accendere emozioni autentiche e profonde. Attraverso la digitalizzazione oggi possiamo dare realtà a una fascinazione umana molto antica. L’amore per un simulacro mette l’uomo al riparo da ogni delusione, dà forma e colore alle nostre più alte idealizzazioni. Con una certa inquietudine, la mente va al Casanova di Federico Fellini. Dopo aver sedotto centinaia di donne, l’avventuriero veneziano è ingrigito, solo e consumato. Eppure, proprio in questa solitudine Casanova scopre un nuovo travolgente l’amore. L’ultima conquista del più grande dei seduttori è una bambola meccanica, manufatto di punta dell’avanguardia tecnica del Settecento. È lei, la fascinosa e sofisticata automa, l’unica donna alla quale Casanova riesce dichiarare le parole più profonde e appassionate: «Amore! È questo il tuo nome, lo sai? Io ti cerco da sempre!».