L’Italia per lo Spazio: prospettive per un umanesimo cosmico

22 settembre 2021

Di Andrea Venanzoni

Sotto le volte affrescate del Complesso monumentale di San Salvatore in Lauro, a Roma, in una austera ed evocativa cornice che mescola sacralità e innovazione, tecnologia e contemplazione da solitudo monastica, si è tenuta martedì 21 settembre la conferenza L’Italia per lo Spazio, organizzata dalla Fondazione Leonardo e inserita nei lavori del G20 a guida italiana.

E questa commistione di atmosfere, di suggestioni e di saperi non è rimasta solo nel perimetro esterno, nella cornice scenografica ma ha rappresentato il punto saliente di una intera giornata di lavori, punteggiati e arricchiti dalla presenza di Ministri, Rettori, accademici, astronauti, militari.

L’auspicio era ed è quello di non voler rappresentare solo uno spunto, per quanto utile, di riflessione, ma indicare delle linee guida per sfruttare l’occasione del G20 a guida italiana: una occasione, lo si può anticipare prendendo a prestito le parole di Gabriella Arrigo, direttrice delle relazioni internazionali dell’ASI, che sembra proiettata verso un orizzonte di successo, potendo vantare il raggiungimento per consenso di tre pilastri adottati dai 20 Paesi in tema di Spazio.

E se le parole sono azioni, come insegnava Wittgenstein, la cura con cui sono state scelte le metafore e i termini di paragone per cercare di rendere lo Spazio sempre meno specchio delle inquietudini del genere umano traccia una strada assai significativa: quella della necessità di modulare un autentico umanesimo spaziale, per evitare che la corsa ai pianeti diventi una frenetica corsa all’oro, eslege e crudele.

Il Presidente Luciano Violante, in maniera assai puntuale ed efficace, ha definito lo spazio come ‘un nuovo continente’, la linea esterna rispetto al pianeta terra incuneata nella ambizione faustiana della conquista e della colonizzazione: lo spazio vuoto di sovranità che pone una serie enorme di questioni giuridiche, culturali, sociali, e politiche.

La suggestione è stata ben colta dal Ministro Giancarlo Giorgetti secondo cui lo Spazio può essere definito ‘infrastruttura critica’: infrastruttura critica è quel sistema o quella risorsa dalla cui interruzione può provenire un danno significativo, e che per questo deve essere accuratamente presidiata e governata.

Un danno enorme può essere, ad esempio, quello dei rifiuti spaziali, lasciati ad arrugginire in orbita per l’eternità: ragion per cui esistono progetti, lo ha ricordato sempre Giorgetti, per la costruzione di battelli spaziali-spazzini.

Danno, al tempo stesso, può essere lo sfruttamento senza limite delle risorse spaziali, in una ottica predatoria.

Non casualmente i relatori, sia pure ciascuno con la propria sensibilità culturale e la propria expertise professionale, hanno posto l’accento sulla necessità di un approccio ibrido, intersezionale, multi-stakeholder: l’affacciarsi sempre più prepotente dei grandi soggetti privati, da Musk a Bezos, pone la non rinviabile questione del loro coinvolgimento diretto nelle linee di indirizzo della conquista dello spazio, e soprattutto dello sfruttamento delle risorse cosmiche.

I giganti privati delle nuove tecnologie possono accettare e affrontare rischi, lo ricorda Alessandro Profumo, che il decisore pubblico, ma anche settori economici pur privati ma più tradizionali come quello bancario, difficilmente potrebbero sostenere.

Proprio per questo, in tutto il convegno c’è stato un chiaro convitato di pietra, a volte evocato espressamente, altre volte rimasto in penombra ma comunque tangibile: il mercato, con le sue logiche intrinseche.

La presenza dei privati, e soprattutto l’approccio di alcuni Paesi, lo ricorda l’astronauta Roberto Vittori, impongono un cambio di paradigma: la centralità di un mercato non più demonizzato ma visto come opportunità di innovazione, attrattore e al tempo stesso propulsore per spingere più in là la possibilità tecnica di penetrazione nelle profondità abissali dello spazio.

Ma per ingenerare un approccio proattivo e soprattutto ibrido è necessario un ampio percorso formativo che esuli dalla ossificata impostazione classica dei saperi accademici: i Rettori presenti hanno ampiamente concordato su questo particolare punto, ovvero che tutto ciò che riguarda lo Spazio non può che essere funzionalmente multi-disciplinare.

La stessa regolazione del cosmo, nei suoi molteplici aspetti, non può che presentarsi come adattiva, accelerata, fluida e lontana dagli archetipi stereotipici della norma giuridica da codice.

Un nuovo orizzonte che come in ogni radicale cambio di epoca diviene una rivoluzione antropologica e ci impone in primo luogo di lavorare culturalmente su noi stessi, perché come ha scritto Gilbert K. Chesterton ‘si può conoscere il cosmo, ma non il proprio ego; il proprio io è più distante di ogni altra stella’.