11 spunti di riflessione sulla società digitale
La tecnologia digitale permea ogni aspetto della vita quotidiana, dalla comunicazione al lavoro, dall'intrattenimento alla salute. Questo fenomeno ha portato a una trasformazione sociale, economica e culturale senza precedenti, definendo un nuovo modo di vivere e interagire.
La fiducia nell’algoritmo
Le società digitali sono sistemi ibridi che coinvolgono agenti umani e artificiali. La fiducia è una componente cruciale di questi sistemi ed è trasversale rispetto ai membri delle società digitali. Riguarda gli agenti umani, ma caratterizza anche le relazioni tra e con gli agenti artificiali. In queste società, gli agenti umani si fidano degli agenti artificiali. Nell’eseguire ricerche sul web ci affidiamo ad algoritmi di machine learning per identificare le informazioni che ci servono; per valutare un candidato da assumere o concedere la libertà vigilata durante un processo penale; per diagnosticare malattie e identificare possibili cure; per supportare decisioni tattiche e strategiche nella conduzione di una guerra. Ci fidiamo dei robot per la cura dei nostri cari, per pattugliare i confini e per guidarci o farci volare in giro per il mondo.
La fiducia nel machine learning è però un’arma a doppio taglio, perché quando si verificano dinamiche di fiducia e oblio (“fidati e dimentica”) vengono minati i diritti fondamentali, l’autonomia individuale e il controllo complessivo dell’impatto di queste tecnologie sui processi democratici. Quello che dobbiamo fare è identificare il modo corretto di sfruttare al meglio il valore di queste tecnologie, proteggendo e promuovendo lo sviluppo di società digitali aperte, tolleranti e giuste.
Fonte: Rivista CdM febbraio 2023 - Autore: Maria Rosaria Taddeo
Credits immagine: freepik.com
La nuova Algoretica
Volendo provocare un'intelligenza artificiale qualche anno fa, un sistema che all'epoca sembrava molto evoluto, ho chiesto a questo sistema: ma se volessi togliere il cancro dalla faccia della Terra che cosa possiamo fare? La prima risposta che mi ha dato la macchina è stata uccidiamo tutti gli uomini. Evidentemente non avremmo avuto più cancro ma quella soluzione era accettabile? Ecco che quindi oggi la riflessione etica torna a farsi forte, a chiedersi se possiamo lasciare le macchine agire senza che noi diciamo qualcosa ma come fare questo in un'epoca in cui la normatività è così in crisi?
Saremo in grado di trovare una legge, una norma che va bene a tutti gli italiani o che va bene a tutti gli europei o che va bene a tutti i paesi del mondo, con le differenti culture? Ecco un principio che è quello, per esempio, di minimizzare i danni non mi dice cosa fare ma mi guida di fronte a quei dilemmi che mi mettono particolarmente in crisi. Abbiamo bisogno di questi principi, abbiamo bisogno di iniettare questi criteri all'interno dell'algoritmo. Le macchine lavorano per algoritmi, l'uomo pensa all'etica.
Ecco che abbiamo bisogno quindi di un’algoretica, un'etica fatta dall'uomo mai seguita dalle macchine.
Autore: Paolo Benanti, estratto intervista a "La Torre di Babele - 8 gennaio 2024"
Credits immagine: Midjourney Bot @dunsiti
La mosca è un microprocessore
La maggior parte dei nostri dispositivi portatili, siano essi laptop, tablet, telefonini o smartwatch, funzionano grazie a piccole unità centrali di elaborazione (Central Processing Unit, CPU). Tali unità sono circuiti elettronici delle dimensioni di pochi millimetri dove si ha un numero enorme di componenti fabbricati su una sola piastrina di semiconduttore. Per fare un esempio, il CPU Apple A14 Bionic, il cervello dell’iPhone 12, ha una dimensione della piastrina di 88 mm2 (essendo tale piastrina quadrata, il lato è lungo circa 9,4 mm) e contiene quasi 12 miliardi di transistor. Il CPU Apple A15 Bionic, montato sugli iPhone 13, è il 15% più grande del suo predecessore, con quasi 15 miliardi di transistor. Un ulteriore miglioramento è arrivato con l’Apple A16 Bionic degli iPhone 14, con 16 miliardi di transistor, il mattoncino alla base di questi circuiti costituiti da un materiale semiconduttore e tre contatti elettrici, capace di amplificare un segnale elettrico o di fare da interruttore per tale segnale. L’insieme dei transistor dà vita al “microprocessore”. Per comprendere le dimensioni ed apprezzarne la precisione e la tecnologia alla base, possiamo rapportare una mosca ad un microprocessore. La mosca è composta da 1 miliardo di cellule e una lunghezza di 9-10 mm mentre il microprocessore Apple A14 è composto da 12 miliardi di transistor e una dimensione laterale di 9,4 mm.
Fonte: Rivista CdM dicembre 2022 - Autore: Francesco Scotognella
Credits immagine: Midjourney Bot @Huncho
Cuore Smart-phone
I transistor facenti parte di una CPU sono costruiti su piastrine (die) di silicio. Il silicio è l’elemento che domina l’industria dell’elettronica e per nostra fortuna è molto abbondante sulla Terra. Si parte dal biossido di silicio, presente nella maggior parte delle sabbie del pianeta, e scaldandolo ad alta temperatura in fornaci elettriche con elettrodi di carbonio si ottiene silicio e monossido di carbonio. Il metodo più utilizzato per ottenere il silicio monocristallino è il processo Czochralski, che consiste nella rotazione e al contempo nell’innalzamento di un piccolo cristallo purissimo di silicio tagliato in dischi (wafer) che vengono puliti. Il wafer viene rivestito di materiale fotosensibile e viene esposto alla luce ultravioletta utilizzando una mascherina al fine di disegnare sul wafer di silicio lo schema del circuito opportuno. Le zone esposte alla luce verranno disciolte con opportuni solventi. In questo modo una parte del silicio è esposta, mentre l’altra è ancora coperta di materiale fotosensibile. La parte di silicio esposta viene bombardata da ioni di determinati elementi. Gli ioni si infilano nella struttura cristallina del silicio cambiandone le proprietà elettriche. Immergendo in solfato di rame le strutture fabbricate, si rivestono con una copertura conduttiva le parti attive di silicio. Successivamente si collegano i diversi elementi di silicio attivi, i transistor, con filamenti metallici che li connettono elettricamente secondo uno schema opportunamente ingegnerizzato.
Fonte: Rivista CdM dicembre 2022 - Autore: Francesco Scotognella
Credits immagine: Midjourney Bot @hatch9392
Il digitale è un ambiente, non è uno strumento
Il digitale non è uno strumento, è un ambiente. La nostra vita, infatti, si svolge all’interno di una permanente interazione tra noi stessi e vari sistemi di comunicazione, raccolta, classificazione e utilizzazione dati, fondati sulla intelligenza artificiale. Tramite il digitale ci informiamo, comunichiamo, apparteniamo a comunità, compriamo libri, facciamo la spesa, costruiamo e manteniamo relazioni, ci orientiamo in una città sconosciuta, vediamo film, leggiamo i giornali, ascoltiamo musica, seguiamo una partita di calcio, riceviamo suggerimenti per la cucina, il tempo libero, il lavoro, teniamo o ascoltiamo lezioni, possiamo scrivere alla band preferita, che magari ci risponde, o al politico che stimiamo o che disprezziamo. Attraverso i like valutiamo la reputazione di una persona, la condivisione di una opinione, la qualità di una foto. Questa permanente interazione costituisce un ambiente nel quale viviamo porzioni sempre più grandi della nostra vita. Circa cinque miliardi di persone nel mondo sono connesse a Internet e più di quattro miliardi sono attive sui social. È una comunità, la più vasta nella storia dell’umanità, che vive immersa nello stesso ambiente. L’ambiente digitale, che potremmo definire cyberspace, è globale, non è né pubblico né privato, può coprire tutti gli Stati del mondo ma sfugge a ciascuno di loro. Il cyberspace, in termini di relazioni sociali, economiche, scientifiche, affettive, è il quarto ambiente dell’umanità, insieme alla terra, al mare, allo spazio.
Fonte: Rivista CdM febbraio 2023 - Autore: Luciano Violante
Credits immagine: Derek Thomson su Unsplash
Un mutamento antropologico
L’ambiente digitale sta trasformando la nostra antropologia. Le forme della comunicazione, della informazione, del gioco e dell’apprendimento sono cambiate dopo il 1997, data della messa in commercio del primo iPhone. Sono nati nuovi stili di comunicazione, nuovi modi di esprimersi, nuove forme di apprendimento, come anche nuove forme di aggressione come il cyberbullismo, l’hate speech, l’induzione al suicidio, che ha colpito in particolare gli adolescenti. È cambiato il rapporto tra mente, corpo, cultura, natura e società. È cambiato il modo di rapportarsi alla realtà. In definitiva sta sorgendo un nuovo modo di essere persona umana, una nuova antropologia. Alcuni parlano di Homo sapiens 2.0. Sono i nativi digitali, ma anche gli analogici immigrati, nativi analogici che si sono convertiti al primato dello schermo.
I nativi digitali e gli analogici immigrati hanno tempi brevi di attenzione, compulsano freneticamente sull’iPhone, trasmettono messaggi, mettono like, comunicano con le emoticon.
Fonte: Rivista CdM febbraio 2023 - Autore: Luciano Violante
Credits immagine: Stéfano Girardelli su Unsplash
Homo filmans
Gli Homo sapiens 2.0 partecipano alla vita materiale attraverso lo schermo che la rende immateriale e manipolabile; lo schermo consente di catturare il reale fotografandolo; a volte consente di modificarlo, e di inviare la foto ai destinatari come segno di amicizia, informazione, scherno, condivisione o anche per puro narcisismo. Nel 2000 Giovanni Sartori pubblicò “Homo videns”. A causa della televisione, sosteneva Sartori nel suo libro, per la prima volta nella storia l’immagine prevale sulla parola, mutando tanto la comunicazione quanto i meccanismi di comprensione tra gli esseri umani. Il predominio dell’immagine sulla parola, continuava lo studioso, avrebbe minato il cosiddetto pensiero astratto e l’attività simbolica propria dell’essere umano. Si sarebbe ridotta così la capacità di distinguere l’apparente dal reale e il vero dal falso. L’Homo videns diventa sempre più incapace di formarsi un’opinione propria e riduce la propria libertà. Una recente evoluzione dell’Homo videns è l’Homo filmans, che attraverso l’iPhone filma tutto: l’abbraccio con una personalità, un monumento, una scena che attira l’attenzione, sé stesso in un determinato posto, un panorama, un animale. Lo schermo dell’iPhone ha un fascino straordinario perché crea intimità, possesso ed esclusione dell’altro. L’Homo filmans si muove perché deve documentare la propria mobilità, la propria capacità di osservazione, la varietà e l’interesse dei luoghi nei quali si trova e delle persone che incontra. Si sente dotato di un potere divino perché rende eterno l’attimo. L’Homo filmans è un narcisista 2.0.
Fonte: Rivista CdM febbraio 2023 - Autore: Luciano Violante
Credits immagine: Laura Chouette su Unsplash
Il digitale è reale
Materiale e immateriale, tangibile e virtuale, non possono essere più concepiti in opposizione tra loro. Il digitale è intangibile, immateriale ma è reale; esiste, non è una fantasia. Mi permetto una digressione. Fino a ieri il reale immateriale era il sacro. Oggi il reale immateriale è il digitale. Tutto il nostro tempo è secolarizzato e mercantilizzato, perché quando accendiamo un nostro device attiviamo un processo economico. È conseguentemente necessario discutere e contrastare le banalizzazioni ideologiche che, servili a un immaginario post-umano, intendono azzerare la centralità delle persone nella storia. Il comune destino del genere umano deve essere garantito dalla centralità della dignità umana, da una corretta interpretazione del progresso quale strumento di sviluppo delle persone, della società e dei popoli. La digitalizzazione della vita e della società è, con tutta evidenza, un fenomeno di massa, ma l’entusiasmo di chi nei dati legge incrementi su incrementi deve essere frenato e ricalibrato davanti a un’altra considerazione: una transizione digitale così rapida ed estesa rischia di emarginare le fasce più deboli della popolazione, coloro che avrebbero più bisogno di usufruire di agevolazioni e servizi ma che non dispongono di strumenti idonei per farlo, né delle competenze necessarie per utilizzarli.
Fonte :Rivista CdM febbraio 2023 - Autore: Luciano Violante
Credits immagine: Denys Nevozhai su Unsplash
L’inganno della disintermediazione
Nella cybersociety l’inganno più pericoloso è la disintermediazione. Non è in corso la cancellazione dei mediatori; è in corso la loro sostituzione. I vecchi mediatori (partiti, associazioni, chiesa..) si presentavano come tali sulla scena pubblica, erano scalabili, avevano statuti conoscibili. I nuovi mediatori non si presentano come tali, non sono scalabili, non hanno visibili statuti. Microsoft, Amazon, Google ci danno a costi accettabili e con efficienza i servizi che ci sono indispensabili. In cambio consegniamo loro gratuitamente e liberamente tutti i nostri dati. Se gli stessi dati ci venissero chiesti dallo Stato, partirebbero cortei e campagne di stampa. È in corso una reintermediazione. I nuovi mediatori sono le piattaforme che orientano la nostra vita quotidiana in misura maggiore rispetto ai mediatori tradizionali. Conoscevo l’indirizzo, il numero di telefono, i dirigenti e gli addetti del mio partito, del mio sindacato, della mia parrocchia. Potevo mettere in discussione la leadership del partito e del sindacato e potevo candidarmi al loro posto. Invece non ho l’indirizzo e il numero di telefono di Amazon, né posso scalarla. I rischi sono evidenti. Per i mediatori occulti non ci sono né regole né contropoteri; senza idonee contromisure sono destinati a esercitare sulle nostre vite un potere infinito. I flussi di pensiero pilotati attraverso i social media contano più della intelligenza individuale. Chi governa l’ambiente digitale ha la possibilità di decidere anche cosa pensiamo e come ci orientiamo nel mondo.
Fonte: Rivista CdM febbraio 2023 - Autore: Luciano Violante
Credits immagine: Ricardo Gomez Angel su Unsplash
Le garanzie nella società digitale
Una società evoluta deve proteggere le persone. La società digitale ricorre a un uso intensivo, quasi parossistico, della rete per condividere informazioni, dati e contenuti. Sono possibili l’anonimato, l’identità contraffatta, le identità multiple con la conseguente possibilità di diffondere contenuti senza che sia possibile risalire a una fonte che ne assuma responsabilità o ne possa trarre legittimo giovamento. L’anonimato permette di discriminare attraverso il linguaggio d’odio, spesso con caratteri “identitari”, sino alla costituzione di comunità odianti che si caratterizzano per azioni di denigrazione o di aggressione sino al linciaggio digitale. Altra faccia della medaglia: l’anonimato permette a persone meno strutturate, con identità più fragili, di essere ugualmente presenti sulla scena pubblica portando il loro contributo positivo al dialogo sociale. Il sistema deve poter espungere i primi tutelando l’espressività dei secondi, senza scivolare nello stato etico dei robot. Dobbiamo impegnarci per costruire una Civiltà Digitale, capace di dare a ciascuno la piena consapevolezza delle possibilità, dei limiti e dei rischi per la sua libertà di scelta. Con questa espressione si comprende il complesso degli aspetti culturali e sociali prodotti o condizionati nella nostra società dall’AI “Civiltà Digitale”, una condizione umana caratterizzata dall’autonomia dell’individuo nell’ambiente digitale e dal dominio dell’uomo sulla tecnica digitale; la costruzione dell’autonomia e del dominio della persona sull’algoritmo è l’obiettivo da porsi nel presente, per poter essere liberi nel futuro.
Fonte: Rivista CdM febbraio 2023 - Autore: Luciano Violante
Credits immagine: Midjourney Bot @edwrdsttt12+gjbsvindfn
Onlife
Onlife è un neologismo coniato dal filosofo Luciano Floridi per descrivere la condizione umana nell'era digitale. Il termine, nato dalla fusione di "online" e "offline", sottolinea come la nostra esistenza si svolga ormai in un ambiente ibrido, in cui la distinzione tra mondo digitale e mondo reale diventa sempre più sfumata.
L'aspetto chiave dell'onlife è l'interconnessione tra il mondo online e offline. Le nostre attività online influenzano le nostre vite offline e viceversa. Ad esempio, le nostre interazioni sui social media possono influenzare le nostre relazioni reali, mentre le nostre esperienze offline possono ispirare i contenuti che condividiamo online. Inoltre, l'onlife evidenzia l'interdipendenza tra il mondo virtuale e quello reale. L'informazione e le esperienze che accumuliamo online possono influenzare le nostre decisioni e comportamenti offline, mentre le nostre azioni offline possono generare dati che alimentano i processi digitali. Come le mangrovie che radicano nelle acque salmastre, così l’uomo contemporaneo manifesta la sua esistenza in una nuova dimensione duale ibridata.
Autore: Mauro Morra
Credits immagine: Curioso Photography su Unsplash