26.05.2021 Maurizio Erbicella

I materiali e le anime, strumenti e scienza

La trasformazione energetica nella transizione digitale

La terza rivoluzione energetica – quella delle fonti rinnovabili, inesauribili, disponibili localmente, ma soprattutto capaci di cambiare il mondo nella transizione digitale – con l’uso di nuovi materiali e il rinnovamento del know-how conclama senz’altro l’assunto empedocleo: l’energia è un qualcosa che non si crea né si distrugge ma si trasforma.

Già con l’accordo di Parigi (2015) è stato definito il quadro globale europeo di riferimento sui cambiamenti climatici; per raggiungere la neutralità climatica l’Italia deve convertire, entro il 2050, il suo sistema energetico, impegnandosi in una efficiente trasformazione interconnessa, orientata al duplice obiettivo di un pianeta più pulito e di un’economia più forte, dal che le fonti rinnovabili devono rappresentare almeno i due terzi dell’energia totale.

In tale ottica, il Green Deal europeo (la nuova strategia di crescita per l’Unione europea) e Next Generation EU (il fondo approvato dal Consiglio europeo al fine di sostenere gli Stati membri colpiti dalla pandemia di Covid-19) avranno il potenziale di rilanciare l’economia del paese, dopo la crisi pandemica, solo se saremo in grado di competere con adeguate e opportune scelte strategiche strutturali sia nel campo della produzione che della formazione, contaminando quest’ultima coi nuovi settori tecnologici dell’energia e del digitale.

La strategia dovrà fondarsi su una funzionale circolarità sistemica, imperniata sull’efficienza energetica che preveda il riutilizzo degli scarti, privilegiando sempre fonti rinnovabili e combustibili a ridotte emissioni di carbonio. Ma integrare il sistema energetico vuol dire pianificarlo e gestirlo nel suo insieme (in modalità interconnessa, flessibile ed efficiente) collegando i diversi vettori, le infrastrutture e i settori del consumo.

Oltre al sostegno finanziario necessiterà un’adeguata nuova formazione e un rinnovato impegno nella ricerca, una revisione semplificativa dell’impianto normativo di riferimento, la diffusa introduzione di tecnologie e strumenti digitali, la riforma della governance del mercato e idonee misure fiscali.

«Le tecnologie digitali sono destinate a trasformare il sistema energetico globale nei prossimi decenni, rendendolo più connesso, intelligente, affidabile e sostenibile»: anche dall’ultimo rapporto della International Energy Agency (IEA) sul tema della digitalizzazione energetica troviamo conferma che quello che l’era digitale sta cambiando è il come, dove e quando l’energia viene consumata, contribuendo a migliorare la sicurezza, la produttività, l’accessibilità e la sostenibilità dei sistemi.

Le ripercussioni della rivoluzione digitale sulla nostra società riguardano l’economia e la finanza per via di reti globali che movimentano prodotti e servizi in tempi sempre più ridotti e, conseguentemente, il tradizionale mondo del lavoro in tutti i settori (agricoltura, industria, terziario e servizi), ma anche la comunicazione, l’arte, e non ultima la didattica.

Intelligenza artificiale, big data, machine learning, blockchain, internet of things, sono ormai termini correnti del mondo contemporaneo. Le tecnologie digitali, la realtà aumentata e l’accesso da remoto, unitamente allo sviluppo delle reti e alle nuove automazioni, hanno determinato un’autentica rivoluzione digitale da non banalizzare nella mera elezione della “tecnologia” al ruolo di protagonista, ma da riconsiderare nella capacità, ad ampio raggio, di fare delle risorse umane la vera chiave per accrescere il valore della trasformazione e la sua sostenibilità.

Il percorso di trasformazione energetica e rivoluzione digitale delle aziende italiane è ormai un’esigenza diffusa che richiede persone informate e predisposte al cambiamento: lo smart working e il crowdsourcing adottato dalle aziende spingono a una organizzazione del lavoro estremamente flessibile e all’abbattimento dei costi. Necessita quindi un’attuale digital culture che permei il mondo imprenditoriale e del lavoro e che non può che essere costruita con un’adeguata indifferibile formazione, per permettere al paese di recuperare quella centralità che la sua tradizione gli ha, nei secoli, riconosciuto.

Per governare l’attuale momento storico – ancor più dopo l’emergenza pandemica – occorrerà un mix di competenze tradizionali e informatiche, verso un nuovo umanesimo digitale. Lo spazio fisico dell’apprendere e la tipologia di oggetti culturali, che costituiscono il combinato formativo, dovranno ridefinirsi sulle nuove opportunità offerte dalla tecnologia, dovranno adeguarsi al “megacambiamento” che il rapporto tra scuola, istruzione e information and communication technology ha già generato. Un cambiamento che coinvolge tutti gli aspetti del sistema educativo ponendo questioni che richiedono una risposta urgente dalle politiche scolastiche, perché anche i luoghi dell’abitare, dopo la pandemia identificata con il termine scientifico Covid-19, non saranno più gli stessi.

Oggi più della metà dei quasi 7 miliardi di abitanti sul pianeta vive in città, entro il 2030 quasi il 60% della popolazione mondiale si stima che abiterà in aree urbane e prevalentemente nei grandi agglomerati, diventati poi aree metropolitane e più recentemente città metropolitane con precise identità amministrative.

 

(In copertina) She Changes, Janet Echelman, 2005, Porto, Portogallo. (Sopra) Bending Arc, Janet Echelman, 2020, St. Petersburg, Florida. La più recente scultura permanente dell’artista composta da 290 km di spago e si estende per 130 m

Ma, a causa del coronavirus, la città contemporanea presenta nuovi aspetti di criticità che impongono la necessità di re-inventare molte funzioni urbane tradizionali: smart city, smart grid, smart working sono temi e strumenti noti da tempo, ma fino a poco prima della crisi pandemica pensati per accompagnare e supportare un modo di lavorare e di abitare case e città che non ha mai obbligato a significativi ripensamenti dello “spazio”; non presupponevano quel concreto mutamento del vivere e del produrre, del muoversi e del pensare che, invece, si renderà necessario nei periodi futuri.
Se dalla crisi può nascere un’opportunità questa passa allora attraverso la spinta decisiva alla sostenibilità grazie alla tecnologia nell’era post Covid-19: in una sola espressione “città più sostenibili grazie al digitale”, grandi ecosistemi iperconnessi integrati a dispositivi capaci di raccogliere ed elaborare i big data, il cuore pulsante della città intelligente, un’enorme quantità di informazioni necessarie ai servizi e che potranno contribuire concretamente alla gestione delle principali criticità urbane, dal traffico alla sicurezza, dalla residenza alla salute. In questo sistema una questione irrisolta è il rapporto tra la vita urbana e quella di provincia o di campagna. Se è vero che nelle città metropolitane la popolazione potrà solo aumentare e poco probabile sarà un’inversione di tendenza, è tuttavia possibile perseguire un riequilibrio di localizzazione di funzioni e servizi grazie sia a investimenti, attraverso politiche urbane mirate, sia alla tecnologia e, di rimando, alla “formazione tecnologica” che deve generare professionalità e risorse umane in grado di consentire il “vivere in campagna da cittadini” e “l’abitare in città da agreste” in una sorta di “ibridazione” delle forme e delle abitudini tra città e campagna.
L’emergenza pandemica ci induce a pensare che non serve contrapporre città e campagna, piuttosto adottare un approccio nei sistemi di governo territoriale e nella progettazione degli spazi e dei servizi che ricerchi una maggiore integrazione di funzioni e di dotazioni tra città metropolitane, città medie e campagna. In tal modo è possibile definire un nuovo paradigma per le città e la campagna, in un rinnovato e funzionale quadro infrastrutturale, capace di affrontare una moderna stagione all’insegna della sostenibilità economica, sociale e non ultima ambientale, che passi anche per la formazione ad hoc.
Stiamo entrando in una fase nuova nella quale l’innovazione tecnologica e la trasformazione energetica dovranno giocare un ruolo centrale. Se nel periodo del boom economico dell’era industriale sull’altare dello sviluppo si sono spesso sacrificati importanti valori paesaggistici, ambientali e culturali, la sensibilità nei confronti delle tematiche ecologico-ambientali, che contraddistingue la società dell’informazione, e l’attenzione al genius loci, in cui si coglie tutto il nostro patrimonio identitario e culturale, impongono oggi scelte diverse.

L’era digitale deve segnare il riavvicinamento dell’uomo all’ambiente, legato a un uso sostenibile delle sue risorse anche grazie alle innovazioni tecnologiche, e può effettivamente rappresentare una nuova frontiera dello sviluppo: la digital ecology.

Ma per fare questo occorrono mezzi e persone, strumenti e saperi. In estrema sintesi, un nuovo rinascimento coadiuvato da un “liceo tecnologico” che contemperi la trasformazione energetica con quella digitale e che ponga al centro la persona.