22.04.2024 Elettra Giusti

La strada aperta da Rita Levi Montalcini, e il cammino ancora lungo per le donne nella scienza

“Tutte e due mordiamo con passione il nostro osso. E penso che la nostra vita sia assai più interessante di quella del 99% delle donne”, così scriveva Rita Levi Montalcini alla sorella gemella Paola, nota pittrice, e dunque anche lei fuori dagli schemi di genere del tempo. Dopo gli anni della persecuzione e della fuga dal nazifascismo, in cui a malapena riusciva a dedicarsi alla ricerca in laboratori domestici, Levi Montalcini finalmente scriveva dall’America, dove faceva ricerca sul sistema nervoso degli embrioni in celebri Università e con generosi finanziamenti, a fianco di altrettanto noti ricercatori. Erano gli anni ‘50.

Oggi, oltre 70 anni dopo, quella percentuale di donne che non vive “una vita interessante” è sicuramente scesa, ma la situazione è tutt’ora inaccettabile per chi nasce femmina. Secondo i dati della Commissione europea, in generale solo il 67,7% delle donne europee è occupata, contro il 78,5% degli uomini. Stando ai dati INPS, nel 2022 la retribuzione media annua italiana è risultata costantemente più alta per gli uomini: 26.227 euro per gli uomini contro i 18.305 euro per le donne. Perché? Viene detto "segregazione orizzontale" il fenomeno per il quale le donne lavorano negli spazi meno ambiti, perché meno remunerati, come istruzione e assistenza sociale. L’occupazione femminile è inoltre più tipicamente precaria e ha una netta prevalenza del part-time, che riguarda il 49% delle donne occupate, e il 26% degli uomini. Stando a un’indagine appena presentata dall’Università di Milano-Bicocca e dall’Associazione Women&Tech ETS, anche le donne che lavorano nel mondo della tecnologia faticano a ottenere un riconoscimento salariale e di carriera: oltre il 70% dichiara di aver sperimentato o percepito un trattamento salariale diverso rispetto ai colleghi uomini. Gli ultimi dati ISTAT (2022) dicono che in Italia il 23,8% dei giovani sotto i 35 anni ha una laurea in materie STEM: ma se tra gli uomini la percentuale sale al 34,5%, tra le donne scende al 16,6%.

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“La qualità che mi ha sempre colpito di Montalcini è stata la sua libertà intellettuale nei confronti della cultura dominante, sia familiare che politica, nonché scientifica, anche nei momenti più difficili della sua vita”, ci racconta Speranza Falciano, direttrice di ricerca presso l’Istituto Nazionale di Fisica Nucleare (INFN), al 62esimo posto nella  classifica mondiale delle 100 più importanti ricercatrici del 2023.

Rita Levi Montalcini è nata il 22 aprile del 1909 a Torino, per morire a Roma, 103 anni dopo, nel 2012. Era figlia di Adamo Levi, ingegnere elettrotecnico e matematico, e della pittrice Adele Montalcini, sorella di Gino, più noto scultore e architetto. Come è facile immaginare, crebbe in un ambiente di altissimo livello culturale, ma per poter studiare dovette affrontare il padre e imporsi, assicurandogli che non aveva nessuna intenzione di fare la madre e la moglie. Il padre non l’approvava, ma non la fermò. Neurologa, accademica e Premio Nobel per la medicina nel 1986 per la scoperta del fattore di accrescimento della fibra nervosa o NGF, nel 2001 fu insignita anche della carica di senatrice a vita nel Parlamento italiano.

Credits: Solen Feyissa su Unsplash

Levi-Montalcini, anche in pensione, continuava ad alzarsi alle quattro del mattino, per leggere articoli scientifici e lavorare fino alle 9 in modo indisturbato. Malata di maculopatia degenerativa, negli ultimi anni si aiutava con un sistema di lenti di ingrandimento, e come ricordano colleghi e amici, manteneva sempre il suo stile elegante, si presentava sempre accuratamente pettinata e con le mani fresche di manicure. Ma “io sono la mia mente”, soleva dire, e a Pippo Baudo, che cercava di indagare sulla sua vita sentimentale, rispose: “La mia vita è stata una lunga luna di miele con il mio cervello”.

Rita Levi-Montalcini è sicuramente una delle figure più rilevanti della scienza italiana – continua Falciano -, e non solo al femminile. Non ha lasciato solo un’eredità scientifica, seppure molto importante, ma ha anche dimostrato l’importanza dell’impegno sociale di chi fa ricerca, raccomandandolo ripetutamente soprattutto alle giovani generazioni. È importante far conoscere le storie di donne che nella scienza, e più in generale nelle discipline STEM, sono riuscite a conseguire risultati sia scientifici, sia di carriera. Trovo che questo possa essere molto incoraggiante. Per questo sono sempre contenta di incontrare i giovani e raccontare la mia storia personale, le difficoltà e anche le soddisfazioni ottenute al fine di motivare soprattutto le ragazze a non demordere se sono interessate a studiare discipline scientifiche. La mia disciplina è la Fisica delle Particelle Elementari. Ha applicazioni in ambiti diversi, con ricadute sociali molto importanti. Ad esempio, la fisica nucleare, gli acceleratori e i rivelatori di particelle, rivestono un ruolo cruciale nella medicina per la diagnosi e la cura del cancro e di altre malattie; l’analisi con fasci di ioni, una tecnica non distruttiva molto utile per determinare la composizione dei materiali nelle opere d’arte, può essere applicata per la conservazione e il restauro, ma anche allo studio dell’aerosol atmosferico per studiare l’inquinamento e alcuni aspetti dei cambiamenti climatici; le competenze nel calcolo scientifico, l’applicazione dell’intelligenza artificiale nell’analisi dei dati e la gestione dei Big Data possono aiutare il trattamento della grande mole di dati medici necessari per la medicina di precisione. Tutti argomenti di primaria importanza nella società moderna, che vede affacciarsi all’orizzonte un modello nuovo di scienza, che si sta affermando sempre più: una scienza interdisciplinare, in un mondo che evolve, e che non sia più relegata in una torre d’avorio. Una scienza che sia anche pratica sociale”.

Secondo Eurostat, in Europa le persone impiegate in ambito STEM sono 76 milioni: il 52% è donna. Ma si concentra in Paesi come la Lituania e la Francia. L’Italia si colloca con Malta agli ultimi posti, con una concentrazione di donne in STEM inferiore al 49%. Raramente in ruoli apicali. Perché? Cosa manca alla nostra scuola, alla società, alla legislazione, alla famiglia?

“Purtroppo gli stereotipi di genere e i pregiudizi inconsapevoli sono ancora troppo presenti nella nostra cultura, nonostante siano state messe in campo tante azioni positive per studiare come eliminare le barriere che non permettono alle donne di scegliere discipline STEM e di non progredire in carriera in questi settori della ricerca una volta che sono state reclutate. Eppure le ragazze a scuola e all’università conseguono risultati più brillanti dei ragazzi fino al dottorato di ricerca, ma poi non continuano a livelli più alti. È d’obbligo intervenire in vari modi e con rapidità al fine di restituire alla scienza la ricchezza del pensiero di genere. Ad esempio, è necessario intensificare progetti che mirano a far crescere l’interesse delle ragazze verso la scienza, la tecnologia, l’ingegneria e la matematica (STEM), partendo dalle prime classi dell’infanzia; come pure è importante riservare ai ragazzi una formazione specifica che sottolinea il valore della parità. Servono progetti di mentoring per le ragazze da parte di donne di scienza, che mirino a fornire gli strumenti necessari ad accrescere la capacità di leadership. Servono piani di azione positivi, che comportino dei cambiamenti strutturali nelle istituzioni universitarie e di ricerca. È necessario riservare posizioni alle donne nei posti decisionali, perché - come diceva Montalcini - “L'umanità è fatta di uomini e donne, e deve essere rappresentata da entrambi i sessi”.

 

Credits Copertina: Bernard Becker