13.07.2023 Anna Giurickovic Dato

Le regole del gioco

Nel 1999, il campione del mondo di scacchi Garri Kasparov decide di misurarsi in una partita speciale: contro di lui gioca il World Team, una squadra composta da 58.000 giocatori provenienti da settantacinque paesi diversi. Kasparov vince dopo sessantadue mosse.

Si tratta della più grande partita online mai giocata nella storia: un server la ospita, una banca la sponsorizza, tre milioni di spettatori la guardano e Kasparov, per sua stessa ammissione, bara, leggendo i commenti che l’altra squadra si scambia su msn.com per accordarsi sulla mossa successiva (decisa sulla base di una votazione).

Quello dei videogame è diventato un mercato “serissimo” ed enorme: siamo ben lontani dagli anni Ottanta, quando le competizioni videoludiche mettevano in palio soltanto la gloria; oggi, i montepremi si aggirano intorno ai 100 milioni di dollari. Nel 2019 sono stati spesi 120 miliardi di dollari in videogiochi, Bugha (il sedicenne americano Kyle Giersdorf, vincitore del Mondiale di Fortnite 2019) ha vinto quasi tre milioni di dollari, e entro il 2024 si prevede una crescita esponenziale: per effetto del diffondersi del 5G, il cloudgaming potrebbe quadruplicare il valore del mercato. Parallelamente, si assiste all’incremento dei problemi di chi nel mercato in crescita vi opera (o meglio, del valore di questi problemi). Alcuni esempi recenti: nel 2021 Star Citizen ha raccolto 400 milioni di dollari grazie a una campagna di crowdfunding lunga nove anni e, tuttavia, il gioco è ancora in via di sviluppo, cosa che rende molto scontenti i suoi fan e donatori; Apple ed Epic Games si sono sfidati in un lunghissimo “processo tech” che si è concluso, nel 2021, con la condanna di Epic al risarcimento di tre milioni di dollari e mezzo; di recente, Activision ha bannato 60.000 account da Call of Duty Warzone, i quali avrebbero utilizzato software per truccare le partite.

Se il gioco è sempre serio (si è mai visto un bambino ridere dopo aver perso una partita?), il gaming è ormai comparabile a uno sport (qual è la differenza tra “gioco” e “sport”? Questa è un’altra bella storia) … Si parla, infatti, di e-sports giocati in e-stadium e che coinvolgono una serie indefinita di soggetti, dai players ai caster (i commentatori delle partite), dalla software house ai game designer, dalle agenzie di marketing alle organizzazioni competitive, dai supporter agli scommettitori. Basti pensare che già solo nelle e-sport academy (le piattaforme online dedicate alla formazione) rilevano diverse figure: come i business manager, i team manager, i coach e i mental coach.

Tanti sono i soggetti coinvolti, quanti sono i rapporti (e i problemi) giuridici che vengono in rilievo, eppure l’ordinamento non è sempre in grado di dare risposte: la legge è rimasta indietro, non riuscendo a stare al passo con l’enorme e repentino sviluppo del gaming. Il sistema legislativo è fortemente lacunoso, se si pensa che manca addirittura una definizione giuridica di “e-sport.”

“E lasciateci giocare in pace” potrebbe esordire qualcuno, ma nessun gioco, per definizione, è mai stato privo di regole. Anzi, sono proprio le regole il tessuto in grado di rendere il gioco serio e, in quanto serio, divertente. Ogni gioco – da quello dell’oca a nascondino, dal pari e dispari alle cinque pietre – ha, infatti, regole obbligatorie e incontrovertibili; se ad esse si trasgredisce, il gioco si interrompe e il divertimento svanisce, perché per prima è svanita la serietà.

Non può esservi, così, un gioco senza lealtà, al punto che nel gergo è stata coniata una parola ad hoc: “cheattare” – che richiama il verbo “to cheat” (tradire, barare). Ancora una volta una questione giuridica: cheattare è un reato? In alcuni casi potrebbe essere considerata una vera e propria frode informatica, in altri si tratta di accesso abusivo a un sistema informatico, in altri casi ancora il comportamento è punito soltanto all’interno del “sistema gioco” (attraverso la squalifica, la perdita dell’account, la pubblica umiliazione).

Che vi siano delle interconnessioni tra gioco e diritto non v’è dubbio; come è indubbio che tra i due sistemi ricorra una somiglianza: Huizinga, in Homo ludens, fa l’esempio del processo, il quale possiede il carattere competitivo tipico del gioco (principio agonale), regole fisse in forme consacrate (toghe, riti, termini, parrucche e formule), la necessità che intervenga la decisione di un arbitro (o di un giudice) e l’ineluttabilità della fine, che si traduce sempre in una vittoria o in una sconfitta.

Certo, tra i due mondi vi è una linea di confine che non può che fare da cesura: il gioco è tale in quanto è un atto libero, mentre il processo potrebbe sembrare, semmai, la riproduzione obbligata di un gioco. Perché sia fatto salvo l’aspetto ludico è quindi necessaria la libertà, ma la regola e la legge non si pongono in antitesi con essa: anzi, nessuna libertà è garantita senza una norma che la dichiari inviolabile.

I rapporti giuridici che coinvolgono i soggetti del mondo videoludico sono infiniti, come infiniti sono i problemi che tra di essi possono sorgere. Più il mercato del gaming aumenta di valore, più si complica, dando origine a diverse questioni di rilievo giuridico.

Se dal campo dell’e-game si passa, concettualmente, al campo dell’e-sport, questo, come gli sport tradizionali, dovrebbe avere un regime giuridico specifico: a oggi, invece, è un settore sprovvisto di una regolamentazione propria.

In che modo, allora, il “diritto” si occupa del “gioco”?

Quali sono le domande a cui la legge dovrebbe trovare risposta? Quali sono i problemi giuridici che interessano il mondo dei videogame? Nella miriade delle questioni irrisolte, delle soluzioni taciute e dei possibili cavilli, proviamo a individuare alcuni tra i punti più delicati.

Le regole contrattuali del gioco

  • Chi stabilisce la regolamentazione contrattuale del game: lo Stato o i privati? Tali regole sono stabilite dagli operatori e, in particolare, dai team o club, dai programmatori stessi e dagli organizzatori degli eventi. Ciò porta, naturalmente, a porci una domanda: chi tutela tali regole? Possiamo, facilmente, darci anche una risposta, sapendo che chi fa le regole è anche il soggetto contrattualmente più forte.
  • Un’altra questione riguarda la validità di tali regole: chi le applica? Qual è il livello di coercizione? E, senza coercizione, come si misura la loro efficacia?
  • E ancora, preme sapere se vi siano delle condotte sanzionabili, quali siano, e che natura abbiano le sanzioni (per esempio, si tratta di sanzioni disciplinari o, invece, pecuniarie?).

La tutela del minore

  • I pro-player sono giocatori professionisti, quindi lavoratori. I pro-player sono spesso, però, anche minorenni. Se giocare è uguale a lavorare si pone il problema del lavoro minorile (autorizzato solo in presenza di specifiche condizioni, per determinate attività – di carattere culturale, artistico, sportivo o pubblicitario – e con il consenso dei genitori).
  • Il gaming – che non ha confini spaziali e temporali – può essere notturno, durare molte ore, provocare conseguenze sia fisiche che psichiche: basti pensare al fatto che molti team prevedono che i pro-player siano assistiti di continuo da professionisti di varia natura, come preparatori atletici e nutrizionisti.

Il giocatore, il lavoratore

  • A prescindere dalle questioni relative alla minore età, si pongono problemi generali di inquadramento giuridico del rapporto di gioco/lavoro.

Il pro-player firma un contratto con un club, in cambio delle sue performance riceve uno stipendio e, in alcuni Stati, persino assistenza sanitaria e previdenziale.

Si tratta, quindi, di un lavoratore dipendente? Se così fosse, dovrebbe essere esteso ai pro-player il regime del lavoro subordinato, con tutti i diritti che da esso sono garantiti.

  • Qual è il ruolo delle associazioni sindacali nel mondo del gaming? Esiste un’effettiva (ed efficace) rappresentanza dei player? La sindacalizzazione è diventata, ormai, una questione fondamentale nella tutela dei soggetti che operano nel settore: vi è una sempre maggiore necessità di mediazione e, al contempo, manca totalmente una risposta.

La proprietà intellettuale

  • Perché l’e-sport dovrebbe porre problemi di proprietà intellettuale? Perché i mouse, i click, i joystick, le tastiere producono una serie infinita di input che possono essere copiati e poi facilmente replicati. L’abilità di un e-gamer è, pertanto, perfettamente imitabile, mentre l’abilità di un qualsiasi altro atleta (un calciatore, un nuotatore, un tennista) non lo è. Questo è un fatto incontrovertibile, come è incontrovertibile la necessità di prevedere una tutela del diritto d’autore legato alla performance del cd. “atleta elettronico”.
  • Vi è poi la questione della tutela dei “diritti di trasmissione”, vale a dire il diritto di un soggetto di trasmettere in streaming la gara. I diritti sono dello sviluppatore (il proprietario del software), ma l’evento competitivo può essere organizzato da un soggetto diverso. E ancora: gli organizzatori degli eventi possono essere o non essere i proprietari della piattaforma di streaming e, nel caso in cui non lo siano, i soggetti diventano tre: si complica, ancor di più, la questione relativa ai loro rapporti contrattuali, soprattutto con riferimento al copyright.

La pubblicità

  • L’e-advertisement è una pratica costante, eppure non ancora efficacemente regolata: sia gli scenari dei game, sia le partite, sono pieni di “cartelli” pubblicitari (per coerenza semantica potremmo battezzarli gli “e-cartelli”).
  • Pratica pubblicitaria diversa è quella dell’advergaming, termine con il quale si indica il caso in cui la pubblicità si mette a giocare: capita, infatti, che gli e-gamers vengano invitati a giocare direttamente con un brand e si produca, così, uno scambio tra visibilità e punti (o vite).

Truffa, doping e violenza virtuale

  • Si è già accennato alla carenza di regolamentazione in caso di cheating, ma oltre ai trucchi che ciascun giocatore può, irregolarmente, utilizzare grazie ai “cheat” offerti da determinati software, ai fini di trarre vantaggio per avanzare nel gioco, vi sono casi in cui è l’intera partita a risultare truccata. Ci troviamo sempre nell’ambito di una truffa online che, però, nell’e-gergo assume un nome ben preciso: match-fixing.
  • L’utilizzo di una serie di strumenti finalizzati alla manipolazione di software e che abbiano l’effetto diretto di offrire un vantaggio immeritato a un giocatore (o anche uno svantaggio), prendono il nome di e-doping. Sarebbe interessante che la legge si occupasse anche di tale aspetto, per esempio incominciando con l’individuare le differenze sostanziali tra l’e-doping e il cheating.
  • I videogiochi, purtroppo, non sono immuni da episodi di violenza: non si tratterà di ginocchia rotte e occhi neri, ma quella dei “fighting game” e dei “first-person shooter” è una realtà di cui la legge deve tenere conto. Si tratta di videogiochi violenti o di violenza nei videogiochi? Quanto, tali giochi, sono in grado di orientare negativamente i comportamenti dei gamers? Qual è la differenza tra “violenza virtuale” e “violenza materiale”?


Credits Copertina: Ryan Quintal su Unsplash