13.09.2023 Augusto Ficele

L’infernale leggerezza del digitale

Il sistema dei cloud è responsabile dell’emissione del 4% dei gas serra rispetto al totale di emissione. Il consumo elettrico del digitale aumenta tra il 5 e il 7% ogni anno e, di conseguenza, richiede il 20% dell’elettricità mondiale prodotta nel 2025. 

Questi immensi agglomerati di sistemi di alimentazione e raffreddamento, racchiusi in data center, sono costantemente energivori e il più grande cloud esistente si trova nell’area di Langfang, in Cina, di 1,9 milioni di metri quadrati, grande quanto 110 campi di calcio.

“Se le aziende digitali si rivelano più potenti degli organi di regolamentazione a cui sono sottoposte, corriamo il rischio di non poter più controllare il loro impatto ecologico”, così spiega Jaan Tallinn, il fondatore di Skype e del Future of Life Institute, in merito ad uno schema non ancora ben definito delle strategie generali per la transizione ecologica.

Nel volume “Inferno digitale. Perché internet, smartphone e social network stanno distruggendo il nostro pianeta” (Luiss Press, 2022), di Guillaume Pitron, viene giustamente evidenziata una contraddizione sociale ancora oggi sottovalutata: la “generazione clima” è prima di tutto costituita da giovani consumatori dipendenti dagli strumenti digitali. Negli Stati Uniti, un adolescente passa sette ore e ventidue minuti al giorno del suo tempo libero davanti a uno schermo di cui quasi tre ore a guardare video su Netflix o altre piattaforme e un’ora abbondante su social network come TikTok, Twitch, House Party o Discord.

Credits: Cardmapr su Unsplash

Nel 2021 Lori Lewis, esperto americano del digitale, realizzò una celebre infografica: ogni minuto 197 milioni di mail venivano inviate, su YouTube erano caricati 500 ore di video, e sui siti di e-commerce si spendevano 1,6 milioni di dollari. Per quanto le nostre azioni digitali, come un messaggio inviato o un semplice like, possano sembrare innocue, contengono invece un peso consistente rispetto all’impatto ambientale.

La questione fondamentale riguarda la reale compatibilità delle nuove reti di comunicazione di fronte alla tanto annunciata transizione ecologica. In Francia un neo-maggiorenne ha già avuto in media cinque telefoni cellulari!

E più si è giovani più si sostituiscono di frequente le proprie apparecchiature, che costituiscono quasi metà dell’inquinamento digitale.

Fonte: freepik.com

Per la prima volta nella storia, un’intera generazione si mobilita per “salvare” il pianeta, per accusare gli Stati di inazione climatica e per ripiantare alberi. Assistiamo a genitori che si lamentano di avere “tre Greta Thunberg a casa” mentre si diffondono opinioni contrarie al consumo di carne, plastica e viaggi in aereo. Ma allo stesso tempo, questa generazione è quella che ricorre più spesso a siti di e-commerce, alla realtà virtuale e al gaming». Questo inquinamento digitale, incolore e inodore, così invisibilmente subdolo visto che non caccia alcuna fumata nera come accade con i grandi stabilimenti industriali, sarà forse la più grande sfida dei prossimi trent’anni visto che nel 2025 quasi ognuno di noi produrrà 5000 interazioni digitali al giorno.

Fonte: freepik.com

Gli scopi di questa produzione dati sono tanti: Il think-tank australiano Consumer Policy Research Center ha individuato nove categorie di dati prodotti dai consumatori: quelli relativi all’apparecchio utilizzato, alla geolocalizzazione, alle abitudini di consumo e alla cronologia di ricerca, cui si aggiungono il contenuto delle comunicazioni, le relazioni, gli indicatori biometrici, le transazioni e il tipo di acquisto d’interesse. Bisogna tuttavia dire che i gestori di questi sistemi cloud iniziano a mettere un freno a questo smisurato consumo elettrico attraverso l’uso di energie rinnovabili.


In Olanda è presente Asperitas, un'azienda olandese cleantech leader nella tecnologia di raffreddamento, attiva in termini di concreta sostenibilità, riducendo l’impronta energetica dell’IT, immergendo i data center in soluzioni liquide. Al momento il project Natick, di Microsoft, risulta quello più incoraggiante: al largo delle isole Orcadi, nel Nord della Scozia, una nuova generazione di data center sottomarini potrebbe diventare un’opzione concreta per le aziende al fine di ridurre l’impatto ambientale. Ad oggi non è poi così rassicurante l’immagine del cloud raffigurante una nuvola, così carica di correnti turbolente da creare fulmini improvvisi.