04.12.2023 Ginevra Leganza

Medici del Futuro

La medicina robotica
Mani robotiche che ruotano, come nessuna mano umana, di 540 gradi; sistemi che affinano i movimenti e riducono i rischi di tremori legati alle mani; visione tridimensionale dello schermo e del corpo umano; tempi di degenza più brevi; riduzione dei costi amministrativi ma pure aumento di costi manutentivi per le nuove macchine; non ultimo, rimodulazione del rapporto medico-paziente. 

Questi e tanti altri sono gli aspetti da considerare quando si parla della medicina del futuro. 
Di medicina robotica e immersiva, avanzamenti tecnologici, aspetti e conseguenze giuridiche dell’intelligenza artificiale in campo medico-sanitario, ha discusso Fondazione Leonardo-Civiltà delle Macchine, e specificamente il team 2030-2040 Futuri Probabili, nell’ambito del Forum Sistema Salute, “Ri-Evoluzione dell’intelligenza”, tenutosi a Firenze presso la Stazione Leopolda il 19 e 20 ottobre scorsi. In questa sede sono emersi importanti spunti di riflessione anche grazie ai contributi e alle testimonianze di Massimo Lombardo (Spedali Civili di Brescia), Santolo Cozzolino (Centro di Formazione Chirurgica Robotica Cardarelli di Napoli) Andrea Simoncini (Fondazione Meeting e Università degli Studi di Firenze), Massimiliano Nicolini (Fondazione Olitec) e Marco Casu (Fondazione Leonardo-Civiltà delle Macchine).

Dalla macchina-infermiere a Dottor Robot. Dagli Anni Ottanta a oggi
È difficile immaginare un mestiere che più della medicina chirurgica coinvolga in egual misura mani e intelletto. Neppure se ne immagina uno che richieda, a mani e intelletto, una tale precisione. Tuttavia è proprio la medicina chirurgica, oggi, a porsi quale branca del sapere prossima a una svolta. Chirurgo e mano, da sempre alleati, vanno oggi incontro a un processo che potremmo inquadrare nella gamification, giacché la loro millenaria intesa può essere mediata – o forse spazzata via – dal joystick: strumento-simbolo del nostro tempo che segna l’ingresso del robot in sala operatoria. 
Parlando di medicina robotica, dovendo individuare un anno zero a partire dal quale l’antesignano del Dottor Robot varca la soglia di un ospedale, questo sarebbe il 1983. Esattamente quarant’anni fa avvenne il primo intervento chirurgico con robot. Arthrobot, utilizzato per la prima volta in Canada, a Vancouver, era progettato per assistere – in qualità di robot-infermiere – tutte le operazioni ortopediche attraverso un controllo vocale che gli consentiva di selezionare e porgere al medico attrezzature specialistiche, posizionare gli arti del paziente e permettere così all’uomo di focalizzarsi sulla procedura medica. A quarant’anni di distanza, l’apprendistato del robot trasforma la macchina da assistente in chirurgo. Si pensi all’ormai celebre e estremamente preciso robot Da Vinci, prodotto dalla statunitense Intuitive Surgical e usato in Italia anche all’Ospedale Cardarelli di Napoli.


Ed è proprio in uno scenario come questo, di melting fra medici umani e macchine, tuttavia, che non può non fare capolino il tema etico. Tema che abbraccia diverse questioni: 
1. Il medico, che assomiglia a un videogiocatore e telecomanda il robot, è ancora un chirurgo o delega il suo mestiere a un altro essere inorganico?; 
2. Come assicurarsi che lo human sia effettivamente in the loop e cioè pienamente coinvolto, dall’inizio alla fine, nel processo decisionale sulla vita del paziente?; 
3. L’elemento empatico o banalmente di contatto umano relativo al rapporto medico-paziente sarà scalfito da questo sviluppo tecnologico? 

Vero è che – spiegano gli esperti – anatomia e patologia si caratterizzano per un tasso di variabilità tale che è sembrato sinora inverosimile poter delegare a un’intelligenza artificiale l’operazione di un paziente. 

Tuttavia, come spiega a Wired Jon Morton, ex chirurgo dell’Università di Cambridge oggi a capo della divisione clinica in CMR, grazie alla raccolta dati e all’uso sempre più importante dei big data la curva di apprendimento dei robot e i parametri di performance sembrano destinati a crescere.

Questioni etiche e benefici
Il robot Da Vinci, usato a Napoli, testimonia la perizia sempre maggiore di questi sistemi. Da Vinci è in grado di costruire, con le sue estremità, dei piccoli origami – a riprova della precisione nelle operazioni chirurgiche che avvengono per tramite di un sistema di telecomando. In questi casi, come ci spiega il direttore Formazione Ricerca e Cooperazione Internazionale del Cardarelli Santolo Cozzolino, nell’ambito del Forum Sistema Salute, l’impatto della macchina sul corpo del paziente è assai minore rispetto a quello della “chirurgia open” ovvero tradizionale. Da Vinci, e in generale la chirurgia robotica, rendono possibili una certa quantità e tipologia di interventi definiti “mini-invasivi”, sostiene Cozzolino, che soprattutto a carico della prostata o al livello ginecologico limitano le dimensioni delle incisioni e, conseguentemente, i tempi di degenza. E va da sé che un tale beneficio si ripercuota anche in termini di spesa per l’amministrazione della struttura ospedaliera. Lo stesso Jon Morton pone in luce, rispetto al primo dei nostri dubbi (se il medico chirurgo abdichi o meno alle mansioni del proprio mestiere), un punto essenziale. La chirurgia robotica, ottimizzata grazie alla componente ergonomica, consente – nel migliore scenario – di ridurre la fatica fisica e mentale del medico (anche in passaggi lunghi e tediosi come la sutura), cosicché possa dedicarsi alla parte clinica. Ed è questo un elemento di grande importanza in quanto non distrugge ma certo trasforma la pratica chirurgica – dove pure l’uomo resta al centro della decisione – in un senso sempre meno “artigianale” e sempre più “industriale”: i tempi di “docking”, infatti, ovvero di posizionamento di bracci si riducono ad appena dieci minuti. Ed è da considerare, in tal senso, un altro elemento vantaggioso, rispetto all’interazione uomo-uomo, nell’operazione chirurgica: i robot sventano infatti molti dei rischi legati al tremore dell’operatore, consentendo di affinare i movimenti e – come scrive Focus – “di ruotare di 540 gradi come nessun polso mai potrebbe e con una libertà di movimento di ben sette assi”. A questo si aggiunge la visione tridimensionale dello schermo, ingrandita di dieci volte: ed è come se il chirurgo s’immergesse nel corpo del paziente dalla consolle.

Per quel che poi riguarda la riduzione dei tempi di degenza, per avere un’idea, si può considerare il nuovo protocollo validato con uno studio clinico dal team di Chirurgia Toracica dell'Irccs Istituto Clinico Humanitas di Rozzano e pubblicato su “Cancer”. Qui, i pazienti sottoposti a operazioni robotiche per tumore ai polmoni vengono dimessi dopo 48 ore: 2 giornate di degenza ospedaliera rispetto a una media di 5 con la chirurgia open. E tuttavia, accanto ai numerosi vantaggi, restano delle zone d’ombra. Se è vero che la riduzione dei tempi degenza comporta risparmio in termini di costi amministrativi, è impossibile trascurare i costi ingenti del sistema robotico. Si parla infatti di cifre milionarie per l’acquisto di tale strumentazione (circa 2 milioni) e di costi per il mantenimento. Senza dimenticare ancora il versante “safety” in sala operatoria, per cui – in assenza o riduzione di feedback tattile – il rischio è quello di creare, nel chirurgo, un falso senso di sicurezza, fuorviante rispetto alla percezione. Eppure, accanto alla professione che cambia, si profila ancora un’altra variabile. In certi interventi, sinora appannaggio di pochi come la laparoscopia, l’ingresso del robot in sala potrà garantire la presenza di un maggior numero di medici, soprattutto più anziani, che a causa dell’innalzamento dell’età pensionabile dovranno lasciare l’ospedale più tardi.
In tale contesto, di mondo e demografia che mutano il proprio volto, la medicina robotica si pone come evoluzione decisiva. Ma forse anche necessaria.

 

Credits Copertina: Lucas Vasques su Unsplash