04.12.2023 Ginevra Leganza

New Space Economy. L’uomo interstellare

Esistono un “prima” e un “dopo” nella parabola dell’uomo interstellare. 
C’è un momento, piuttosto preciso, in cui tutto cambia. Meglio, un momento in cui l’uomo interstellare cambia o, per così dire, rinasce. 


È l’inizio della New Space Economy, la nuova éra spaziale che sarà più che ad altri legata a un nome – Elon Musk – destinato a segnare in più ambiti la nostra storia: dall’economia spaziale (Space Exploration Technologies Corporation aka SpaceX) all’automotiv (Tesla), passando per la ricerca sulle interfacce neurali (Neuralink) e l’acquisizione di social network (il fu Twitter, X). Con grande impatto sui cambiamenti di costume. 
Ma riavvolgiamo il nastro. Partiamo dal “prima”.
L’uomo interstellare muove i suoi primi passi nella seconda metà degli anni Cinquanta del secolo scorso. Convenzionalmente è con il lancio del satellite sovietico Sputnik che comincia la prima éra dell’Economia Spaziale. Seguono quindici anni di bipolarismo quasi perfetto – USA contro URSS nella corsa allo Spazio (verranno poi Francia, Canada, India e Giappone con minori investimenti) – in una sequela di manifestazioni di grandeur culminanti nel programma Apollo e nell’allunaggio, per un record di spesa di 153 miliardi di dollari e 400 mila persone impiegate, con la NASA che coinvolge dipendenti di aziende private. 
Dal ’57 al ’99 la Space Economy si concentra sull’esplorazione scientifica, attraverso le stazioni spaziali e la messa in orbita di satelliti scientifici e commerciali sino ad arrivare agli anni della svolta. 
Il nuovo Millennio comincia sotto il segno delle “startup”. È negli anni Zero che emergono in maniera significativa aziende private indipendenti dagli stati, cui fino ad allora era legata l’Economia Spaziale.

Ed ecco affacciarsi la New Space Economy. Un movimento finalizzato non solo all’esplorazione scientifica ma anche a nuovi orizzonti imprenditoriali e più spiccatamente commerciali: dall’estrazione mineraria sugli asteroidi al turismo spaziale. 
In questo fermento che vede emergere la Blue Origin di Jeff Bezos, la Virgin Galactic di Richard Branson e la SpaceX di Elon Musk, un ruolo cruciale è svolto proprio da quest’ultima – cui la nuova éra spaziale è strettamente legata. È grazie alla creatura muskiana, infatti, se la New Space Economy ha mutato il rapporto di forza tra pubblico e privato, sino a una nuova regolamentazione ufficiale. Fu nel 2015 che l’allora Presidente degli Stati Uniti Barack Obama – dopo la nascita e l’ascesa delle aziende private nel settore – diede un’ulteriore svolta con il Commercial Space Launch Competitiveness Act: un aggiornamento della legge statunitense grazie al quale cittadini e industrie possono oggi “impegnarsi nell’esplorazione commerciale e nello sfruttamento delle risorse spaziali”, tra cui acqua e minerali. 
Ma appunto la storia – e cioè quel “dopo” dell’uomo interstellare – comincia oltre dieci anni prima.

Scatta l’ora X: SpaceX
Il rapporto fra pubblico e privato, l’abbattimento dei costi, l’influenza del pioniere nell’intero comparto industriale

È il 2002 quando Elon Musk fonda SpaceX con Tom Müller. Un anno prima l’imprenditore sudafricano è in Russia con Michael Griffin – il futuro amministratore delegato della NASA – per acquistare dei razzi già utilizzati da Dnepr, Kosmotras e Lavochkin. E benché SpaceX non riesca a usare razzi ricondizionati e ne sviluppi così di propri, l’obiettivo attorno al quale si concentra la filosofia aziendale è e sarà sempre quello: diminuire i costi delle missioni spaziali a un decimo di quelli praticati. 
New Space Economy significa abbattimento dei costi e nuovi giochi di forza fra impresa e stato. 
Ed è nel 2008 – con un primo grande appalto – che si colgono gli effetti dell’intreccio pubblico/privato: la NASA commissiona a SpaceX la realizzazione di un sistema di trasporto con la Stazione Spaziale Internazionale.

Nel 2015, con il progetto Starlink che diverrà operativo quattro anni dopo, si dà poi avvio alla costruzione di satelliti per le telecomunicazioni. Un’epopea inarrestabile, quella di SpaceX, che nel 2022 conta quasi diecimila dipendenti ed è la società di lanci spaziali più grande al mondo. Con Falcon 9 e Falcon Heavy, l’azienda s’aggiudica inoltre i vettori di lancio più potenti e affidabili in assoluto, usati da committenti statali e privati. 
S’intende così quanto quel “prima” e quel “dopo” dell’uomo interstellare coincida davvero con l’ora “X” (lettera preferita da Elon Musk al punto d’averla trasformata in nome proprio di uno dei suoi sette figli nonché in nuovo nome di Twitter, il social network acquisito nel 2023). 


La società del pioniere nato a Pretoria nel 1971, naturalizzato statunitense, è il game changer dei nostri rapporti con l’aerospazio. E non solo perché ha inaugurato un rapporto di scambio e interdipendenza fra pubblico e privato, ma anche per una ragione preliminare rispetto a questa interdipendenza: l’aver drasticamente abbattuto i costi di lanciatori e satelliti. 


In un recente report di morganstanley.com, è mostrato come il costo dei satelliti sia passato da una media di partenza di 200 milioni di dollari ai 60 milioni attuali. Un altro report di McKinsey rileva ancora l’abbassamento dei costi per mandare materia in orbita a bassa quota da 65.000 dollari al kilo agli attuali 1.500 grazie al design computerizzato e alla tecnologia 3D. Nel complesso, il settore dei lanciatori risulta oggi dieci volte più economico di dieci anni fa.

E va da sé che una delle ragioni cruciali di questo abbassamento dei costi sia stata l’industrializzazione massiccia dei vettori. Ovvero il processo di standardizzazione – che sostituisce la produzione al livello manifatturiero – perseguito da SpaceX e seguito oggi dall’intero comparto. Passaggio che permette una costruzione ripetuta e set up più economici. Ma accanto a quest’elemento, come già accennato, c’è un’altra parola chiave targata “Musk”: riutilizzabilità. Falcon 9 è in questo senso un portento. SpaceX riesce infatti a recuperarne il primo stadio e a riutilizzarlo, abbattendo il costo di ulteriori lanci e incrementando le possibilità stesse di lancio. Certo, SpaceX non è l’Eden interstellare. È anch’essa soggetta ai turbamenti del mercato e a una catena di approvvigionamento che si misura con rincari e inflazioni. Eppure, l’influenza che l’azienda ha avuto nell’intero settore (che ad oggi, al livello globale, vale 500 miliardi di dollari) ha cambiato completamente e in un certo senso ridato vita all’uomo interstellare. Il comparto è un rigoglio di startup e aziende ambiziose. Un esempio su tutti: Relativity Space – implementando una sinergia di tecnologia 3D, Intelligenza Artificiale e robotica autonoma – intende, sul calco di Musk, sviluppare una flotta di vettori. Segni particolari: low-cost e riutilizzabilità (il primo lancio è previsto nel 2024 a Cape Canaveral, in Florida).

L’èra del protagonismo
La New Space Economy e la potenza comunicativa di Musk


Non si sa se tutte queste aziende e startup siano o meno prodotti in serie, ma di un fatto si è certi: SpaceX è il prototipo. Ed Elon Musk, il pioniere. 
E sarebbe altresì difficile immaginare una creatura come Elon Musk – disruptive al punto da superare e persino precedere lo spirito del tempo – al di fuori di un contesto e di una storia qual è quella statunitense. 
La potenza di SpaceX è legata alla potenza personale del suo fondatore. 
Quella di Musk è l’ultima e più straordinaria parabola larger than life. Improntata al protagonismo, impossibile da immaginare in un alveo politico statalista. Inscritta nella storia dei miliardari e dei tycoon del tech – da Bill Gates a Steve Jobs, da Jeff Bezos a Mark Zuckerberg – e sfrontata al punto da valicare ogni preciso confine imprenditoriale. 
Elon Musk è già storia del costume, forte di una comunicazione diretta. Non è insomma l’uomo più ricco al mondo in giacca e cravatta ma senza volto, che avanza mascherato o vive nascosto. Non ha niente a che vedere con l’idea di ricchezza che ha caratterizzato i decenni precedenti: quell’idea legata al mondo della finanza e dell’occulto. Musk è presente. È sul ring del social network: polemizza e twitta a rotta di collo, motteggia la politica progressista – da cui proviene – tacciandola di ideologia woke e spirito censorio. Ma non twitta per passatempo. È determinato a sgominare i censori. Lo fa sul suo social preferito, che nel 2021 banna il Presidente Trump. Ed è talmente determinato al punto di comprarlo, quel social. Lo dice – nel 2022 – e al di là di ogni scetticismo, lo fa. Compra il social al prezzo di 44 miliardi (ad oggi ne possiede 236) e ne cambia il nome – “X” – debellando dall’app l’iconico uccellino.

C’è chi lo bolla gradasso e chi ne coglie la goliardia. Ma nessuno, sin dagli esordi in PayPal al fianco di Peter Thiel, nega la rivoluzione di Musk in ogni settore imprenditoriale si sia cimentato. 
Oggi si attende l’ultimo round, da giocare con – o contro – Mark Zuckerberg. In una sfida che parte sul social ma non si conclude nell’online. E neppure nel Metaverso. Piuttosto in un corpo a corpo su un vero ring, dove Musk (51 anni, attuale proprietario di X, praticante di karate, taekwondo e judo, 144 milioni di follower, patrimonio: 236 miliardi) sfida Zuckerberg (39 anni, proprietario di Meta, praticante di jujitsu brasiliano, 119 milioni di follower, patrimonio: 103 miliardi). E, appunto, è già scontro fra titani, storia del costume. È già storia di una vita – o forse due – larger than life.

 

Credits Copertina: Spacex su Unsplash