16.12.2019 Giulio Giorello

Per una critica della ragion papera

Paperi e bombe

6 agosto 1945: il presidente degli Stati Uniti Truman si rivolge al mondo intero con le parole che seguono. «Sedici ore fa un aeroplano ha sganciato una bomba su Hiroshima […]. Questa bomba utilizzava la potenza fondamentale dell’universo. La forza dalla quale il Sole deriva la sua potenza è stata scaricata contro coloro che hanno portato la guerra in Estremo Oriente». Tre giorni dopo che Little Boy è stata sganciata su Hiroshima, viene fatta esplodere su Nagasaki una seconda bomba, detta in codice Fatman (grassone). Così termina per il Giappone il secondo conflitto mondiale. Poco dopo, il 29 agosto Enrico Fermi in una lettera all’amico e collega Edoardo Amaldi auspica che le macchine «per produrre una reazione a catena con uranio e grafite», note come “pile atomiche”, possano venir impiegate a più pacifici scopi sul piano scientifico e applicativo; ma sottolinea pure che «l’aver contribuito a troncare una guerra che minacciava di tirar avanti per mesi o per anni è stato indubbiamente motivo di una certa soddisfazione».1 Anche al grande pubblico (americano) deve toccare qualche soddisfazione! Nasce in tale contesto un “genere atomico” del fumetto. Ad esempio, nel 1947 non è raro trovare nelle confezioni di cereali per la colazione dei ragazzi un albetto “by Walt Disney” intitolato “Donald Duck’s Atom Bomb”. La copertina è di Carl Buettner; la storia è, però, scritta e disegnata da Carl Barks. In Italia il titolo del tascabile suona “Paperino e la bomba”. Paperino ha costruito un’atomica casalinga mescolando un pizzico di meteore macerate, due cucchiai di polvere di cometa e succo di saetta per ottenere un esplosivo ultrapotente che detona facendo «Fut» (e non «Boom»). Un professore dall’accento tipicamente straniero gli ruba l’ordigno, e accidentalmente la bomba esplode. I suoi raggi fanno cadere i capelli alla popolazione della zona (effetto, peraltro, terrificantemente realistico). Ma la vicenda si conclude insolitamente bene per Paperino, che escogita una lozione, anch’essa atomica, che fa ricrescere le chiome, sicché il nostro eroe, mentre rifiuta qualsiasi uso militare, guadagna pacificamente un bel po’ di dollari. In ristampe più recenti, il finale è stato riadattato alla correttezza politica: Paperino diventa un benefattore che generosamente elargisce la portentosa lozione senza volere alcuna mercede.

Chimica e follia.Attorno alla Luna

Da quando era un semplice aiutante di Topolino che vendeva giornali per difesa della libertà di stampa contro delinquenti e profittatori (nell’epico “Topolino giornalista”, 1935) il nostro Papero ne ha fatta di strada. Ma non sempre è baciato dalla buona sorte. Come mostra un’altra ormai classica storia di Carl Barks, “Paperino chimico pazzo” (“Donald Duck Mad Chemist”, 1944). Se nel caso della bomba atomica gli ingredienti erano piuttosto fantasiosi, il Paperino che si dedica a un settore scientifico più tradizionale dà prova di notevole competenza. Per ironia della sorte, è un bernoccolo a causare «una febbre cerebrale» che rende il cervello del Papero «in grado di inventare qualsiasi cosa». E lui si sente ormai «il più grande chimico dell’universo! ». Così Barks si sta facendo beffa di una pretesa disciplina scientifica, la frenologia (e non la chimica), che era una mistura di spirito positivistico e di arbitraria speculazione; quella stessa cui faceva riferimento Charles Darwin nella sua “Autobiografia” quando raccontava che, stando appunto ai frenologi della sua epoca, da giovane pareva adatto «a fare il pastore» della Chiesa d’Inghilterra: un esperto aveva individuato nel cranio di chi sarebbe diventato l’autore de “L’origine delle specie” «un bernoccolo della religione così sviluppato che sarebbe stato sufficiente per dieci preti»! Ma torniamo a Paperino che si è autonominato “Prof. De Paperi”. Il suo primo risultato pare eccezionale: «Ho inventato la paperite! L’esplosivo più potente che sia stato creato», annuncia trionfante. Si badi che, inizialmente dimenticata, l’intuizione del papero verrà ripresa nel 1964, quando in un libro sulla chimica dei carbeni2 gli viene riconosciuto il merito non solo di aver ipotizzato vent’anni prima l’esistenza del metilene CH2, ma anche di averlo utilizzato in una sintesi chimica: «Se io mescolo CH2 con NH4 […] dovrei ottenere azoto spaccatutto». Da allora “Donald Duck Mad chemist” è menzionato in non poche autorevoli riviste di chimica.3 Le ambizioni del Papero tramutato in chimico geniale crescono. La sua paperite dovrebbe diventare un possente carburante per auto e velivoli; anzi, pure per un razzo destinato «a volare sulla Luna». Paperino programma questo audace viaggio in tutti i dettagli. Quando scocca l’ora zero, con un leonino ruggito parte il «Razzo a paperite». L’improvvisato astronauta se ne compiace. «Evviva! Mi sto allontanando dalla Terra alla velocità di mille chilometri al secondo!». Novello Ulisse dei cieli, Paperino si accorge via via che, però, anche il suo è un folle volo, non meno di quello dell’Ulisse dantesco. Il bernoccolo è sparito, l’ebollizione del cervello da inventore è cessata; e come Darwin non fu mai pastore della Chiesa d’Inghilterra, così Paperino non sarà mai il «più grande chimico dell’universo». E un medico ha fatto notare ai nipotini Qui, Quo e Qua che appena andato via il bernoccolo, il loro zio è ritornato «scem… volevo dire proprio com’era prima». Eppure, l’orbita intorno alla Luna era stata programmata con tale precisione che Paperino ritornerà esattamente là da dove era partito, dopo aver goduto della vista dell’altro emisfero del nostro satellite – quello che uomini come Giordano Bruno, Galileo, Keplero e molti altri dopo di loro si erano limitati a sognare. Ma il volo di Paperino – che intanto ha scordato tutto il suo sapere, e perfino cosa sia mai la paperite – non gli offre qualche vantaggio. Anzi, «tutti pensano che Paperino e i nipotini siano pazzi, e che il razzo e la paperite non siano mai esistiti». I nipotini: «Zio Paperino, davvero non ricordi come si fabbrica la paperite?». Paperino: «Chiudete il becco o vi farò vedere come si fabbricano le sculacciate!». Dall’alto del cielo la Luna – e a qualsiasi bambino qui sulla Terra il nostro satellite ricorda una faccia – sembra contemplare la scena, impassibile. Come nel “Canto notturno di un pastore errante dell’Asia” di Leopardi, essa non risponde agli interrogativi degli umani. Non è più una dea – celeste o infernale – ma una congerie di rocce senza vita, proprio come Paperino l’ha scorta dal vetro dell’abitacolo del suo razzo.

Recuperi sottomarini e brevetti mancati

Carl Barks ha cercato di rendere le proprie storie “paperesche”, oltre che divertenti e avvincenti, anche plausibili sotto il profilo scientifico e tecnologico – come dimostra la citata vicenda di Paperino chimico pazzo ma geniale. Un’altra avventura, nota come “L’eredità di Paperino” nella prima apparizione italiana (1949) negli “Albi tascabili di Topolino” n. 56 (l’originale era comparso nel maggio di quell’anno, senza titolo), presenta il Papero come capo di un’impresa di recuperi sottomarini; tuttavia gli affari non vanno affatto bene. Un giorno, però, sul fondo dell’oceano vengono avvistati i resti di uno yacht affondato. Come farà Paperino a tirarlo su, dal momento che non possiede un centesimo e il suo ricchissimo ma avarissimo zio (Paperon de’ Paperoni) si guarda bene dal finanziarlo? La soluzione viene in mente ai nipotini: «possiamo farlo riemergere con delle palline da ping pong!». Paperino con Qui, Quo e Qua si mette all’opera: riempie la stiva dello yacht con migliaia e migliaia di tali palline, e queste piano piano fanno risalire l’imbarcazione sommersa alla superficie. Era stato sufficiente sfruttare il fatto che le palline da ping pong sono cave e galleggiano! Nel 1964 il danese Karl Krøyer recupera dal fondale del porto di Kuwait City una nave carica di pecore, che dopo l’affondamento rischiava di scatenare un’epidemia, seguendo un procedimento per certi versi analogo a quello di Paperino: mediante una pompa ha riempito l’imbarcazione di schiuma di polistirolo espanso. Krøyer cercherà poi di brevettare il suo metodo; ma la richiesta verrà respinta, in quanto quel sistema era stato pubblicato su una rivista a fumetti quindici anni prima!

Parabole e catastrofi.Poincaré e Thom

Uno dei maggiori matematici di fine Ottocento, il francese Jules-Henri Poincaré si segnala (tra l’altro) per i suoi contributi allo studio delle situazioni che sono caratterizzate dalla cosiddetta «forte sensibilità alle condizioni iniziali» e che si riscontrano nei contesti più vari, dalla meteorologia alla finanza. Con le parole di Poincaré nel capitolo quarto del suo “Scienza e metodo” (1908): talvolta «può succedere che piccole differenze nelle condizioni iniziali [di un sistema] generino differenze grandissime nei fenomeni finali». A farne le spese è proprio il personaggio più interessante creato da Carl Barks, il celeberrimo Paperon de’ Paperoni (che abbiamo brevemente menzionato a proposito dell’avventura “L’eredità di Paperino”). Questo Uncle Scrooge McDuck, ispirato a un famoso personaggio di Charles Dickens, è un impetuoso e audace capitalista, che ha accumulato «tre ettari cubici di dollari» in un gigantesco deposito su una collina che sovrasta la sua città, Paperopoli. In “A Christmas for Shacktown” (1952; nello stesso anno è uscita la versione italiana, ovvero “Paperino e il ventino fatale”) il nostro sfortunato Papero è impegnato in una colletta per la sua fidanzata Paperina (Daisy Duck) che prepara una festa di Natale per i bambini poveri del quartiere Agonia, ove si concentrano abitualmente gli emarginati della città. Si rivolge persino al fortunato cugino Gastone (Gladstone Gander), il quale per una volta lo ha aiutato servendosi come talismano di un «ventino» (ma nell’originale è un dime, cioè una moneta da dieci centesimi) «riscaldato al calor rosso». Paperino tiene quella monetina per farsi beffa dello zio Paperone, che si è spinto a scimmiottare un mendicante col cappello rovesciato al suolo per raccogliere le offerte (senza tanto successo). «Un piccolo obolo» dice Paperino al parente, gettando nel cappello la monetina. Paperone la colloca nel già stracolmo deposito, sfruttando uno spiraglio del lucernario. Ma l’aggiunta di quella piccola moneta ha un grandissimo effetto! Il peso complessivo del denaro di Paperone aumentato di quel leggerissimo dime produce il crollo dello strato di roccia sottostante al deposito, e tutta la fortuna del magnate di Paperopoli viene inghiottita nelle viscere della Terra. Per recuperarla Paperone convoca vari cervelloni… solo per constatare lo scarto tra spiegazione scientifica (la meccanica del disastro è evidente) e intervento tecnologico (i mezzi abituali di recupero potrebbero solo peggiorare la situazione, facendo ulteriormente sprofondare il denaro). Ma dove la predizione scientifica riesce solo a giustificare l’impotenza, l’intuizione cerca vie non ortodosse. È la genialità di Qui, Quo e Qua a risolvere il problema: in situazioni sensibili ci vuole tecnologia delicata. I nipotini recuperano un poco alla volta il denaro utilizzando un trenino giocattolo (quello che Paperone aveva definito «stupido, scemo e inutile»). E Barks ha così reso omaggio a Poincaré, anticipando un tema che un altro grande matematico, René Thom, ha modulato nella sua teoria matematica delle catastrofi: non sempre eventi disastrosi (ma quello della storia di Barks lo era sia per Paperone che per il nipotame); però, sempre bruschi, in cui la minima variazione può, per l’appunto, rivelarsi «fatale».

Solventi e magneti. Un omaggio a Democrito

La nostra Critica della Ragion Papera non può non tener conto del fatto che il rapporto tra i Paperi e l’impresa tecnico-scientifica è proseguito rinnovandosi con i vari sceneggiatori e disegnatori che hanno raccolto l’eredità di Barks. Il suo più costante continuatore è stato Keno Don Hugo Rosa, nativo di Louisville nel Kentucky (1951) e di chiare origini italiche. Appassionato di fumetti e in particolare del mondo dei Paperi, dal 1987 Don Rosa ha articolato un lungo sodalizio, in particolare con Paperon de’ Paperoni, ripercorrendo le tappe di una vita che va dalla fanciullezza in Scozia alle avventure nel Klondike rese celebri da Barks, fino alla seconda metà del Novecento. Si badi: fin dall’inizio Don Rosa rifiuta la definizione di funny animals per i suoi personaggi; per lui «They are people!», cioè persone, non buffi animaletti. E le loro vicende devono essere realistiche anche sotto il profilo scientifico. Gli esempi non mancano. Dall’eruzione del Krakatoa, descritta con grande verosimiglianza ne “Il capitano cowboy del Cutty Sark”, episodio della vita di Paperone capitato nella zona dove tre isolotti dello Stretto della Sonda – tra Giava e Sumatra – sono tutto quel che resta di un’unica isola, squassata dall’eruzione vulcanica del 26-28 agosto 1883, alle conseguenze di una invenzione che annulla la forza d’inerzia in “Zio Paperone e un fiume di soldi” (1987, “Uncle Scrooge in «Cash Flow»”). Per non dire del “Solvente universale” (1995, “The Universal Solvent”), vero e proprio paradigma del riferimento a scienza e tecnologia in una storia a fumetti. Qui – come è ormai tradizione – Paperone entra nel laboratorio di Archimede Pitagorico (Gyro Gearloose) per farsi mostrare l’ultima invenzione: il solvente universale in grado di sciogliere qualsiasi sostanza (capace di resistergli è solo la polvere di carbonio che Archimede ottiene triturando diamanti). Spalmando la superficie di un ombrello con quel solvente, per la dimostrazione pratica l’inventore fa calare una congerie di incudini e rottami di ferro, che vengono inghiottiti dalla nera superficie e ridotti a un mucchietto di polvere. Quando Paperone si appresta a spazzar via il tutto, constata che la polvere è estremamente pesante. Solo allora Archimede spiega che il suo solvente si limita a sottrarre agli atomi il vuoto: paradossale omaggio al grande Democrito di Abdera! Il magnate di Paperopoli decide di eseguire una prova pubblica. Ma da perfetto irresponsabile lascia cadere il solvente, che scava una profonda fossa nel prato. Quella sostanza, come rivela Archimede, proseguirà la sua corsa fino al centro della Terra, con le inevitabili conseguenze. «Il nucleo della Terra è fatto di liquido fuso! Il solvente si fermerà laggiù, e lo dissolverà!» dichiara l’inventore. E uno dei nipotini: «Il nucleo fuso è responsabile del campo magnetico terrestre! Se scompare le bussole andranno in tilt!» E poi: «Quando il campo magnetico sarà definitivamente scomparso, saremo bombardati dai venti solari radioattivi!». Però, Archimede ha già escogitato una via di salvezza, che i Paperi realizzeranno con un’audacissima discesa verso il centro del nostro Globo.

Versi perversi

«La tecnica contro il romanticismo»: è il nuovo motto di Paperino quando consulta un potente cervello elettronico per meglio procedere contro un non meglio identificato «Poeta» di foggia anatrina che sembra essersi abilmente insinuato nella dimora – e nel cuore – di Paperina. Così racconta la storia intitolata “Paperino e il poeta sopraffino”, comparsa su “Topolino” libretto n. 570 del 30 ottobre 1966, soggetto e sceneggiatura di Rodolfo Cimino, matite di Romano Scarpa, chine di Giorgio Cavazzano. Queste 22 tavole si prestano a esemplificare come la Ragion Papera cerchi di districarsi nell’aggrovigliato nodo del rapporto tra le «due culture», quella tecnico-scientifica e quella più tipicamente umanistica. Sorpresa! Il congegno elettromeccanico consiglia al nostro buon Papero di «combattere il nemico con le sue stesse armi». E poiché quel cervello artificiale «non sbaglia», Paperino intraprenderà la carriera di poeta amatoriale. «Paperina! Paperina! / Io t’invoco stamattina, / porgi a me la tua manina!». Disgustati, Qui, Quo e Qua gli suggeriscono di dedicarsi «alla meccanica pesante»; ma il loro zio non demorde. Non ha tutti i torti, poiché i versi del «poetuncolo» non sono così diversi dai suoi. «Paperina… Paperina…/ alla sera e alla mattina / sei la dolce piccioncina!». Ma la sensibile Papera loda questa galanteria. Sarà solo dopo alcune traversie che Paperino, assistito dai nipotini, individua l’occasione per rovesciare a suo favore la contesa tra tecnica e poesia. All’annuale picnic di Paperopoli il poeta precede Paperino nell’invitare Paperina; ma questa volta il Papero ha il suo asso nella manica. Il poeta ha portato seco un borsone pieno di provviste; ma sono «provviste dello spirito» cioè «liriche, ballate, sonetti». La delusissima (e affamata) Papera annusa nell’aria il profumo dei «meravigliosi panini al pepe nero» che poco distante Paperino ha portato al picnic. Invano il poeta cerca di frenarla coi suoi versi: «È un poeta derelitto / chi suol cedere al soffritto». Paperina gli scaglia sulla testa il borsone colmo di capolavori letterari, trattandolo da «affamatore di fanciulle inesperte» e torna dal suo Papero, al fine vincitore.

Turisti del tempo. Come in un disegno di Escher

«Gli esseri umani sono vincolati al tempo come a qualcosa che scorre come un fiume. Disorienta pensare come un viaggiatore nel tempo possa raggiungere il passato. […] La prospettiva di viaggiare in circolo lungo la corrente del tempo ci sconvolge come un disegno di Escher». Così il fisico e cosmologo Paul Davies, nel suo “About Time”.4 E ancora: «L’indagine intorno a forme di spazio-tempo bizzarre che sembrano permettere di viaggiare nel passato rimane un attivo campo di ricerca. Fino a oggi la via d’uscita dalle leggi note dalla fisica che permetta un viaggio nel tempo sembra essere davvero molto stretta. Nel momento in cui sto scrivendo [1995] non sono noti scenari realistici di viaggi temporali. Ma […], in assenza di una buona prova di non esistenza, la possibilità deve rimanere presente alla nostra attenzione. Finché tale possibilità rimarrà valida, dovremo convivere con i suoi paradossi».5 Vediamo come lo fanno i nostri Paperi. In una raccolta di storie a fumetti, “Quel Tesoro dello Zione” (Topostorie n. 70, Editore Panini, Modena, dicembre 2016), trovo un’affascinante vicenda, “Paperino e il tesoro dal passato… presente” (testo di Sergio Tulipano, disegni di Lucio Leoni), che incomincia nel modo tradizionale (Zio Paperone spedisce in missione l’indebitato Paperino e i tre nipotini) per poi immergere Paperi e lettori in un contesto degno appunto di Escher. Paperon de’ Paperoni incarica il nipotame di rintracciare una sua bananiera scomparsa in una zona oceanica che ricorda non poco il famigerato Triangolo delle Bermude. I Paperi affrontano tempeste e onde agitate da fortissimi venti, per imbattersi infine in una «nave pirata» in cui il capitano e la ciurma indossano abiti «obsoleti». Scampati al loro assalto e a una violenta burrasca, tornano a Paperopoli per riferire il tutto a Paperone, non privo di un forte scetticismo. Gli ribattono Qui, Quo e Qua: «Devi crederci! Ci siamo imbattuti in una banda di pirati appartenenti a un’altra epoca». Paperone consulta come «esperto» Archimede Pitagorico che – un po’ come Paul Davies – non esclude la possibilità di «un varco temporale». I Paperi – questa volta accompagnati dallo zio multimiliardario – tornano in quella zona pericolosa, recuperano l’equipaggio della bananiera e apprendono per telefono da Archimede che quel varco è con tutta probabilità intermittente, poiché si formerebbe «di tanto in tanto per brevi intervalli di tempo». Per raggiungerlo i Paperi sono costretti ad andare «avanti e indietro» nella zona critica, in mezzo a «svariati fortunali», finché in un’isola, abitata «da gente poco raccomandabile» riscoprono quegli obsoleti tipacci che avevano incontrato nella prima crociera. Provvisto della più moderna tecnologia, Paperone riesce a sconfiggere la masnada, abile nella pirateria ma del tutto impreparata al nuovo tipo di conflitto; e si fa consegnare il loro tesoro. Rientrato a Paperopoli, riponendo quel che ha acquistato nel suo deposito, scorge improvvisamente «un angolo vuoto». Sono ancora una volta i nipotini a svelare l’arcano allo zio: «viaggiando a ritroso nel tempo» questi ha modificato «il corso della sua storia personale». Probabilmente Paperone aveva già recuperato a suo tempo quello stesso tesoro; e aggiungono i nipotini, «adesso che l’hai preso di nuovo tornando indietro nei secoli, hai vanificato il precedente ritrovamento». Meno accademicamente compassato di Paul Davies, lo zio Paperone commenta con un laconico sberequack. E con qualcosa di analogo ci congediamo anche noi (per ora!) dalla schiatta dei Paperi. Sapendo, però, che la Critica della Ragion Papera non si conclude mai, e c’è sempre la possibilità di un nuovo capitolo, capace di farci rimettere in gioco qualsiasi aspetto della realtà in cui viviamo. Per quanto tranquillo e sonnolento possa sembrare.