20.06.2022 Paolo Di Paolo

Toccare terra

In un romanzo ambientato nel 2003 e pubblicato poco dopo – “Sabato” di Ian McEwan – la posta in gioco è una certezza

La certezza (occidentale, da middle e upper class) di poter vivere sempre così. Così come abbiamo sempre vissuto, come siamo stati abituati a vivere. Il «caldo abbraccio» della modernità: l’elettricità, il gas, l’acqua potabile, i liquidi di scolo portati via, il caffè sul tavolo, i tramezzini tonno e cetrioli, un mondo a misura dei propri bisogni specifici.

Quando il protagonista del romanzo di McEwan, il neurochirurgo Henry Perowne, si sveglia all’alba nella sua casa londinese e si ritrova nudo, in piedi davanti alla finestra, «in piena forma e in completa libertà», cerca di scacciare la sottile angoscia che gli procurano i tempi «sconcertanti e terribili» che sta vivendo. L’ansia per gli attentati terroristici, il ricordo fresco dell’11 settembre 2001: sotto la doccia, si proietta mentalmente in un futuro potenziale in cui vecchi accovacciati intorno a un fuoco racconteranno di «un tempo in cui si stava nudi in pieno inverno, sotto getti di acqua calda e pulita, con in mano pezzi di sapone profumato».

Le certezze fragili di McEwan/Perowne sono state ulteriormente minacciate nel corso di questi primi due decenni del XXI secolo. Questo ingresso turbolento negli anni Venti – la pandemia, la guerra in Ucraina – invita a correggere l’immaginario caricaturale, fantascientifico in senso deteriore della catastrofe planetaria come «evento unico e inevitabile che distruggerebbe improvvisamente tutto quello che conosciamo». Si tratta semmai – come osservano tre “collassologi” in un appassionato saggio dal titolo, più che eloquente, “Un’altra fine del mondo è possibile” – di «cambiamenti progressivi egualmente destabilizzanti». Non ha senso concentrarsi sulla fine o supposta tale, sull’apocalisse in un minuto: poiché probabilmente «non vivremo di istanti in cui tutto oscilla, ma di una lenta degradazione intermittente». Nella quale – è già evidente – le certezze e l’idea stessa di stabilità sono messe a dura prova; e ciò che sembrava inscalfibile, almeno a certe latitudini, si rivela fragilissimo.

Non è difficile in questo senso supporre che diverse crisi – quella climatica, quella alimentare determinata dalla guerra russo-ucraina, e ancora quella energetica, ma anche le crisi migratorie indotte da diversi fattori e ulteriori crisi sanitarie – possano annodarsi, costringendo gli esseri umani abituati ai privilegi del “Primo Mondo” a convivere con nuove e insieme antichissime paure. 

È possibile fare in modo che non condizionino eccessivamente la visione del futuro, fino ad appiattirlo e a ridurre la nostra volontà e capacità di agire?
 

Gli “apocalittici” finiranno per dare coraggio agli “integrati” sconvolti da improvvise carenze. «Continuiamo ad alimentare sogni di fuga o ci mettiamo alla ricerca di un territorio abitabile per noi e i nostri figli?». Questa domanda pone il sociologo francese Bruno Latour in un saggio intitolato “Tracciare la rotta”. E così prosegue: «O neghiamo l’esistenza del problema o cerchiamo di toccare terra. Questa ormai è la discriminante per tutti, molto più del sapere se siamo di destra o di sinistra». Toccare terra. Sarebbe illuminante una mappa del pianeta basata sulla consapevolezza dei suoi abitanti rispetto al collasso ambientale, ma anche, più in generale, rispetto alla fragilità del concetto di sicurezza che l’avanzamento tecnologico ha dato in questi anni l’impressione (fallace) di blindare. Basta poco per rivelare la grande illusione. Un breve romanzo di Don DeLillo, “Il silenzio”, ha per epigrafe una considerazione di Einstein (o meglio, a lui attribuita) su una possibile quarta guerra mondiale combattuta con «pietre e bastoni». Lo scrittore americano immagina un blackout tecnologico. Totale. «Immaginò – scrive di un personaggio – che probabilmente avrebbe dovuto farsela a piedi, attraversare tutta East Harlem per raggiungere uno dei ponti. Erano anche pedonali, quei ponti, o potevano passarci solo le macchine e gli autobus? C’era ancora qualcosa là fuori che funzionava normalmente?». Sembra un interrogativo qualsiasi; è quello che ci ritroveremo sulle labbra molto più spesso di quanto ci faccia comodo pensare.

Copertina: Ascensione cosmica, Gianni Bertini, 1951, olio e smalto su carta su tavola