01.01.2024 Oscar Iarussi

Alle scuderie del Quirinale, Calvino: la voluttà di smarrirsi nella scienza

«La Leggerezza non l’avete?» - «No, la Leggerezza è finita. Stiamo aspettando che ritorni». Al bookshop delle Scuderie del Quirinale la giovane libraia suggella in maniera ineffabile la visita di Favoloso Calvino, la mostra romana a cura di Mario Barenghi per il centenario del grande scrittore (1923-1985), allestita sino al 4 febbraio 2024. 

In vendita sul banco cassa vi sono le calamite souvenir con le parole delle Lezioni americane e brevi stralci tratti dalle «sei proposte per il prossimo millennio» di Calvino, assurte a testamentarie perché apparse postume (Garzanti 1988).

Le ricordate? Rapidità, Esattezza, Visibilità, Molteplicità, l’incompiuta Consistency traducibile quale «coerenza» o «costanza», e, appunto, Leggerezza, da gran pezza la più abusata per determinare l’estetica calviniana ovvero la sua cifra aurea e aerea. Tanto che l’italianista Lea Durante e il critico Silvio Perrella, in uno dei numerosi omaggi a Calvino di questi mesi, hanno suggerito di farla finita con una «leggerezza» che rischia di appesantirne il lascito.

Calvino è partito dall’impegno post-resistenziale «a riempire di dialoghi e di risa le calde sere dell’Italia resuscitata», come scrive nella prefazione del 1964 alla nuova edizione de Il sentiero dei nidi di ragno (Einaudi 1947). Eppure, a dispetto del nome, Italo diventerà forse il meno «italiano» tra gli scrittori della sua generazione e non certo solo per il lungo soggiorno parigino. Allontanandosi dalla disciplina del PCI dopo la rivolta ungherese repressa dai carri armati di Mosca nel 1956, egli zigzaga fra apparenti antitesi con sguardo aguzzo e nondimeno politico: realtà e fiaba, linguaggio e visioni, letteratura e scienza. Calvino vuole la luna.

Nel 1967 polemizza con Anna Maria Ortese irritata dall’enfasi in auge sulle imprese nel cosmo (vedi articolo) e, a seguire, con Carlo Cassola che gli contesta di aver definito Galileo Galilei «il più grande scrittore della letteratura italiana». Ma davvero? E Dante, allora? Calvino replicherà: «Intendevo dire scrittore di prosa… Trovo maggior nutrimento in Galileo, come precisione di linguaggio, come immaginazione scientifico-poetica, come costruzione di congetture… Leggendo Galileo mi piace cercare i passi in cui parla della Luna: è la prima volta che la Luna diventa per gli uomini un oggetto reale, che viene descritta minutamente come cosa tangibile, eppure appena la Luna compare, nel linguaggio di Galileo si sente una specie di rarefazione, di levitazione: ci si innalza in un'incantata sospensione».

In Favoloso Calvino tale «incantata sospensione» fluttua tra una coscienza «lunare» del mondo e il subconscio custodito nel dark side of the moon, mentre si riflette nelle geografie spaziali delle opere di Richard Serra o nelle fotografie reali/irreali di Luigi Ghirri. 

È una perenne metamorfosi, fin dalla stupefacente mappa del trecentista pavese Opicino de Canistris, esposta alle Scuderie, in cui il Mediterraneo divide e congiunge lo spazio fra due personaggi, che sono al contempo paesaggi e passaggi. La scienza è ipotesi, fantasia, racconto, sfida linguistica… Lucrezio e Newton, Ariosto e Leopardi, Galileo e Popper, l’astronomia e le città invisibili.

I genitori di Italo, Mario Calvino ed Eva Mameli, erano agronomi e botanici di valore. Lungo l’avita strada di San Giovanni che conduce agli orti sopra Sanremo, le parole paterne «dovevano servire da conferma alle cose», ma il ragazzo svia ben presto verso il labirinto, là dove per ritrovarsi l’unica è la scienza di smarrirsi. Un’arte.

 

Credits Copertina: scuderiequirinale.it