01.03.2021 Daniela Sessa

Da Messenger a Perseverance, dall'allunaggio all'ammartaggio. Il lessico delle imprese spaziali tra mito e avventura

Perseverance è il nome scelto da uno studente del Michigan per il rover che è atterrato su Marte lo scorso 20 febbraio. Touch down dicono gli americani (dalle didascalie del filmato della Nasa) ma in punta di lingua italiana atterrare svela più di un inghippo da traduttore.

Ammartare è cacofonico, atterrare invece è ridurre alla Terra ciò che appartiene all’Universo. Mentre la superba Luna non si è lasciata chiudere nella gabbia del lessico pur offrendo ai suoi esploratori da Luciano di Samosata a Cyrano de Bergerac passando per Astolfo di Ariosto il ruvido splendore del sogno e ad Armstrong il brivido polveroso della sua superficie.

Sulla Luna si alluna, su Marte si atterra. Nel precipitato romantico gli scienziati dello spazio si sono sempre sbizzarriti a creare un lessico mitologico-avventuroso per le loro imprese al di là del cielo, seguendo il sentiero galattico di Babilonesi e Greci. Non solo Apollo 15. Nel 1989 gli USA mandano in orbita un satellite Hipparcos; i sovietici dal 1961 al 1983 mandarono tredici sonde Venera e l’Agenzia Spaziale Europea (ESA) nel 2006 la sonda Venus Express.

Quale miglior nome per sondare Mercurio di quello della missione Messenger? e per un razzo il nome Pegasus? Dal dicembre 2014 nell’orbita LEO si muove il veicolo Orion. Cinque sono i razzi vettori Ares. Il Programma Artemis da Cape Canaveral spera di far sbarcare sulla Luna nel 2023 “la prima donna” insieme a un uomo: la Luna come nuovo Eden?

Il vocabolario che stringe nell’amplesso onirismo e scienza fa pensare ai versi di Lucrezio, poeta dei misteri della materia, che invoca Venere, la sola che possa accogliere “Mavors armipotens”: il dio bellicoso abbandonato nel grembo caldo e luminoso di Venere, vinto dalla ferita dell’amore, nutre gli avidi occhi del respiro di lei. Perseverance ha inviato il primo campione di suono da Marte: il respiro del pianeta per quanto a stento percettibile è un fruscio, un soffio, uno sbuffo dei polmoni.

L’uomo nel pianeta rosso, polveroso, a tratti rugoso, simile al deserto del Marocco desidera incontrarvi una vita, magari diversa dai marziani similumani che si è inventato. Intanto, ha creato un piccolo culto: l’ammartaggio di Perseverance è avvenuto sul cratere Jezero (45 chilometri di diametro, resto probabile di un lago ghiacciato di più di tre miliardi di anni fa) i cui confini hanno nomi di fascino letterario: l’altopiano Terra Sabaea ricorda l’Araba Fenice, il bacino è Isidis Planitia. Jezero deve il nome a un villaggio in Bosnia: gli abitanti hanno seguito in diretta la partenza e l’arrivo della sonda in piazza in un vero e proprio rito collettivo.

Ragione e sentimento fanno capo a ogni esplorazione umana sia che avvenga nella linea convessa dei territori terrestri sia che si elevi nella verticalità del cosmo. Sarah Stewart Johnson, ricercatrice statunitense che ha seguito le missioni precedenti Perseverance, nel saggio “Marte, l’ultima frontiera” afferma “Marte è stato il nostro specchio, un riflesso rivelatore di ciò che albergava nel profondo dei nostri cuori, vi abbiamo visto un’utopia, un territorio inesplorato, un santuario, un oracolo”.

A proposito di santuario: la perseveranza è attributo della dea Demetra, ostinata a liberare la figlia Persefone rapita da Ade. 

L’ingenua- come il drone Ingenuity lanciato assieme a Perseverance- Persefone otterrà la libertà a ogni primavera. Il culto eleusino di Demetra coniuga il soffio vitale (Persefone una volta atterrata soffia su un chicco di grano) a un diverso viaggio in verticale, dalla profondità alla superficie della terra. Sempre alla ricerca della vita, sempre nel tocco di un respiro.