23.11.2019 Di Redazione

Fine della filosofia e Intelligenza Artificiale

Il senso di queste due giornate, una conferenza internazionale con un corredo di contenuti e riflessioni di straordinario valore – con la partecipazione di studiosi e autorità di altissimo livello – è anche nell’impressionante popolarità che i temi dell’intelligenza artificiale stanno guadagnando ogni giorno in qualunque aspetto della nostra vita.

Aspetti che non possono non riguardare le implicazioni che una tecnologia così dirompente e pervasiva ha per la sfera etica e giuridica.

È noto che la disruptive innovation, cioè l’innovazione che stravolge le vite e che inventa fabbisogni – così come le grandi società tech – non amano la regolarizzazione; ma noi siamo convinti che sia urgente tenere vivo nella nostra nazione il dibattito sul codice etico dell’intelligenza artificiale. Anche formalizzando un chiaro un quadro giuridico e normativo.

Si tratta di un processo complesso che necessita dell’attenzione dei portatori di interesse.

I designer e gli ingegneri del software, gli sviluppatori, i produttori di tecnologie di frontiera, gli utenti dell’economia digitale (tutti noi, insomma), chiamati dall’autorità pubblica a costruire insieme regole precise per far sì che l’intelligenza artificiale rappresenti un’opportunità di miglioramento delle nostre vite e non uno spettro distopico, un incubo.

Oggi intelligenza artificiale è una buzzword, una parola che ronza in ogni luogo, che entra però con tutto il suo peso concettuale anche in pilastri sociali quali la giustizia, la medicina, la finanza, la sicurezza. E anche per questo è una minaccia che aleggia.

Sentite il paradosso dell’intelligenza artificiale tutto di letteratura fantascientifica ma pure di segno filosofico: temiamo una cosa artificiale che però stiamo creando noi.

Ugualmente bizzarro è che a chiedere contributi risolutivi alle migliori menti del nostro tempo, fino a sfidarle, sia qualcosa che prende il nome dalla principale caratteristica dell’uomo, l’intelligenza, ma accostandovi un aggettivo che sembrerebbe creare un cortocircuito di significato, “artificiale”.

L’intelligenza artificiale è un concetto deflagrante che ci dona anche uno stimolante aspetto di interrogazione filosofica: “cos’è l’uomo?”.

Lungo articolazioni che ci spingono a ragionare su che cosa sia l’intelligenza, su quali siano le dinamiche della mente, su come il pensiero sull’uomo si stia trasformando radicalmente a contatto con l’avanguardia tecnologica, come aveva già avvertito Martin Heidegger:

«La fine della filosofia è contrassegnata dalla dissoluzione delle sue discipline in scienze autonome, la cui unificazione sotto nuova forma si profila nella cibernetica».

Dove cibernetica sta per intelligenza artificiale.

Dotarsi oggi di programmi di studio sull’intelligenza artificiale, in tutta la sua portata multidisciplinare; investire, formare le giovani generazioni, riflettere, creare gruppi di pensiero e azione, strutturare un’industria e una cultura della tecnologia forte è oggi per una nazione molto più di un mero asset tecnico.

È umanesimo industriale.