28.09.2022 Anna Giurickovic Dato

I futuri dell'energia

Esistono esempi lampanti di come i futures studies[1] abbiano avuto effetti tali da riuscire non tanto a prevedere, quanto a progettare il futuro. Negli anni Settanta il Club di Roma – un gruppo di futuristi, intellettuali, imprenditori, scienziati impegnati, nientedimeno, nell’obiettivo di presagire la situazione dell’umanità per avviare una pianificazione di sistema – affidò a un gruppo di ricerca del Massachusetts Institute of Technology (MIT) il compito di produrre uno studio sulla Terra.

Nel 1972 venne pubblicato il rapporto finale, il celebre The limits to Growth, che poneva dinanzi a una profezia allarmante: il sistema globale, entro la metà del XXI secolo, sarebbe andato incontro a un collasso, a meno che non si fosse immediatamente intervenuti attivando misure drastiche per la salvaguardia del pianeta . Non si trattò di una divinazione né di una congettura; l’ambizione non era quella di predire il futuro, bensì di orientarlo, e in questo il Club di Roma non mancò l’obiettivo: il rapporto del gruppo di ricerca ebbe un impatto talmente dirompente da condizionare la politica energetica mondiale.

Nello stesso anno si tenne, a Stoccolma, la Conferenza delle Nazioni Unite sull’ambiente umano. Poco dopo, nel 1979, ebbe luogo la World Climate Conference di Ginevra e, nel 1988, fu istituito il Pannello Intergovernativo sui Cambiamenti Climatici (IPCC) che, periodicamente, pubblica i più citati e prestigiosi rapporti sul cambiamento climatico, offrendo dati, proiezioni e rimedi. Negli anni a seguire, furono molte le conferenze mondiali sul tema (come, nel 1992, il Summit sulla Terra di Rio de Janeiro) e molte le intese internazionali concordate e concluse, dalla Convenzione Quadro delle Nazioni Unite sui Cambiamenti Climatici, al Protocollo di Kyoto, dall’Agenda 2030 all’Accordo di Parigi. L’obiettivo perseguito è ridurre le emissioni di gas a effetto serra, attraverso la riduzione delle fonti combustibili fossili e il potenziamento delle fonti di energia rinnovabile.

Su questa stessa linea si muove, con un’azione continua, aggiornata e concreta, l’Unione europea, la quale, nel 2019, ha adottato il Green Deal riformulando il proprio impegno con un piano d’azione altamente ambizioso: la sfida è quella di trasformare l’Europa in un’economia competitiva, energeticamente efficiente e che, nel 2050, possa essere in grado di non generare più emissioni nette di gas a effetto serra. Tali obiettivi sono stati rafforzati in seguito all’esplosione della crisi pandemica, cui l’UE ha reagito con un piano di ripresa che prevede, entro il 2030, la riduzione delle emissioni nette di gas a effetto serra di almeno il 55% rispetto ai livelli del 1990 e la realizzazione di un mix energetico composto per il 40% da fonti rinnovabili.

Proprio nel momento in cui le determinazioni assunte stavano per raggiungere lo slancio operativo, è esploso il conflitto russo-ucraino che ha anteposto come obiettivo prioritario il raggiungimento dell’indipendenza energetica dalla Russia. Così, il 18 maggio 2022, la Commissione europea ha presentato il Piano REPowerEU in risposta alle gravi conseguenze provocate dal conflitto sul sistema energetico mondiale: dalle difficoltà economiche dovute ai prezzi elevati dell’energia, alle preoccupazioni sul fronte della sicurezza energetica.

Tale piano d’azione, nonostante confermi le finalità a lungo termine già previste dal Green Deal, appare, però, contraddittorio: da una parte impone un’accelerazione sulle fonti di energia rinnovabile (l’obiettivo è che rappresentino, entro il 2050, il 45% del mix energetico, non più il 40%), ma nell’immediato dispone la sostituzione dei combustibili fossili russi con altri combustibili fossili, prevedendo investimenti mirati al finanziamento di nuove infrastrutture per il gas e un uso più protratto nel tempo della capacità attuale riservata al carbone. Inoltre, il Piano riconosce che anche l’energia nucleare potrebbe ricoprire un ruolo importante in questo processo. Affermazione da leggere alla luce del Complementary Climate Delegated Act (approvato dall’UE l’11 luglio 2022, sarà applicato a partire dal 1° gennaio 2023), il quale inserisce nella Tassonomia europea, tra le attività economiche che possono essere considerate “sostenibili”, anche attività legate a nucleare e gas.

Il 26 luglio gli Stati membri dell’UE hanno raggiunto un accordo politico stabilendo una riduzione volontaria della domanda di gas naturale del 15% nel prossimo inverno, al fine di aumentare la sicurezza dell’approvvigionamento energetico dell’UE.

Il relativo Regolamento prevede anche la possibilità di attivare uno “stato di allarme dell’Unione” che renderebbe obbligatoria la riduzione della domanda di gas, anziché volontaria. Mentre si lavora, dunque, al fine di realizzare risparmi che possano fare fronte a eventuali interruzioni delle forniture dalla Russia, la contraddittorietà tra risultati reali e obiettivi ideali si esaspera: basti pensare che, nei mesi che hanno coinciso con il conflitto russo-ucraino, il contributo del carbone al fabbisogno nazionale si è alzato dal 4% al 6%, e che, mentre la scadenza formale per l’uscita dal carbone resta fissata al 2025, le produzioni delle centrali a carbone raddoppiano, le riconversioni di queste verso il gas vengono sospese, le dotazioni del materiale fossile più tossico tra tutti aumentano di tonnellata in tonnellata.

Tra inversioni di marcia e appuntamenti implausibili, tra sovrastime e tabù infranti, tra futuri dominanti e futuri contingenti, l’orizzonte energetico appare talmente vasto da rendere possibili scenari della cui probabilità, ieri stesso, avremmo incautamente dubitato.

[1] Cfr. R. Paura, Occupare il futuro, Codice edizioni, Torino 2022.

 

Credtis Copertina: Zoltan Tasi su Unsplash