31.07.2023 Vincenzo Pisani

KM3NeT e Einstein Telescope

Mentre in Sicilia si sta completando la realizzazione del telescopio sottomarino più grande al mondo per lo studio dei neutrini, la Sardegna si candida a ospitare il più potente strumento mai costruito per catturare le onde gravitazionali. 

Eccellenze scientifiche e tecnologiche, coordinate dall’Istituto Nazionale di Fisica Nucleare, cui sarà dedicata, il 13 ottobre a Cagliari - nell’ambito del Festival Archeologika - “L’isola del Genio e dell’Ingegno”: una giornata di studio organizzata da Fondazione Leonardo-Civiltà delle Macchine, in collaborazione con la Fondazione Mont’e Prama. Un’occasione per far conoscere agli studenti e al grande pubblico non solo l’Einstein Telescope, ma anche per mettere questo progetto in relazione con il KM3NeT (Cubic Kilometre Neutrino Telescope), per approfondire i temi legati all’archeologia subacquea e per presentare il rapporto dedicato alla dimensione subacquea “Geopolitica, strategia, interessi nel mondo subacqueo” realizzato da Fondazione Leonardo-Civiltà delle Macchine in collaborazione con la Marina Militare
 

Due Isole. Due telescopi. Due occhi che scrutano i segreti dell’Universo. Come quelli di Iside, dea della luna e della fertilità, allegoria dell’ordine cosmico, del governo degli astri e della fecondità. Venerata nell’Antico Egitto, il suo culto in età ellenistica avrà fortuna nel bacino del Mediterraneo, conquisterà l’Impero Romano, e si spingerà fino alle fredde regioni del Nord Europa. In questo viaggio nel tempo e nello spazio, trascenderà il mito originario e assumerà volti e caratteristiche mutevoli. I Siculi – ce lo racconta Apuleio nel II secolo d. C. - chiameranno Iside Proserpina. Qualche secolo dopo, il culto cristiano di Sant’Agata riporterà in vita antiche feste pagane, in cui una statua di donna – tanto simile a Iside – veniva trasportata trionfalmente per le vie dell’antica Katane. 
Ancora oggi, nel Mediterraneo, occhi di Iside continuano a sorvegliare la prua di migliaia di barche. E il culto isiaco trova nuove forme e inedite strade per raccontare un’ambizione tutta umana: l’eterna sfida a conoscere e svelare i segreti dell’Universo. Il Festival Archeologika 2023, in programma a Cagliari dal 12 al 15 ottobre e quest’anno incentrato sul mare e sulle civiltà del Mediterraneo, abbraccia tra i suoi temi anche l’archeologia del cosmo. E lo fa attraverso due straordinari luoghi di osservazione e ricerca scientifica, nel cuore del Mediterraneo, due infrastrutture tecnologiche all’avanguardia che guardano allo Spazio. È infatti dal Cosmo che provengono – sotto forma di radiazione elettromagnetica, di particelle o di onde gravitazionali – informazioni fondamentali sull’origine e l’evoluzione del nostro Universo. Una di queste infrastrutture, come moderni occhi di Iside puntati verso l’Ignoto, si trova nel fitto buio degli abissi del Mar Ionio, cento chilometri al largo di Portopalo di Capo Passero, all’estremo Sud della Sicilia.

KM3NeT, il telescopio sottomarino più grande al mondo

È qui, a circa 3500 metri di profondità, come ci racconta Giorgio Riccobene, ricercatore dei Laboratori Nazionali del Sud dell’Istituto Nazionale di Fisica Nucleare, che è in fase di realizzazione KM3NeT, al contempo il più grande telescopio sottomarino per neutrini di alta energia e uno dei più grandi laboratori sottomarini multidisciplinari del pianeta, utile per lo studio dei cetacei, la rilevazione di terremoti e tsunami e per il controllo dell’ecosistema marino.

E qui che è iniziata l’avventura di centinaia di ricercatori a caccia di neutrini, le particelle più elusive finora scoperte. Il loro studio è essenziale per comprendere a fondo molti campi della fisica: dall’astrofisica, alla fisica delle particelle, alla cosmologia. L’identificazione dei neutrini cosmici è un tassello fondamentale nella moderna astronomia “multimessaggera”, la scienza che permette di studiare le sorgenti cosmiche analizzando le diverse forme di radiazione da loro emesse e, quindi, di definire con grande accuratezza i modelli fisici che le descrivono.

Ma cos’è esattamente KM3NeT? E perché costruirlo proprio a Portopalo? Il suo scopo è individuare i neutrini astrofisici per misurarne direzione ed energia e infine correlare le loro direzioni di arrivo con sorgenti nel cosmo. I neutrini, che sono insensibili ai campi magnetici galattici e intergalattici, quando incontrano nel loro percorso un mezzo denso come la Terra, hanno una probabilità, seppur piccola, di interagire. Quando questa interazione avviene in un mezzo trasparente, come l’acqua marina o i ghiacci antartici -dove è installato il rivelatore IceCube -, il neutrino cede la sua energia, producendo uno sciame di particelle che, interagendo a loro volta con l’acqua, emettono una debole luce azzurra (il cosiddetto effetto Cherenkov), rivelando la quale è possibile ricostruire direzione ed energia del neutrino cosmico originario.

Data la piccola probabilità delle interazioni dei neutrini, occorre costruire rivelatori con una massa molto grande, dell'ordine di molte tonnellate e porsi in un ambiente in cui solo i neutrini possano giungere e i disturbi dovuti alla presenza di flussi di altre particelle possono essere limitati. Da qui l’intuizione di creare il KM3NeT, progetto coordinato dall’Istituto Nazionale di Fisica Nucleare, nato nel 2006 e che ha avviato la sua costruzione nel 2012 grazie a un primo finanziamento PON (Programma Operativo Nazionale), per realizzare un enorme apparato sottomarino, formato da migliaia di occhi elettronici capaci di identificare ogni singolo fotone prodotto in mare dal passaggio di particelle cosmiche.

Gli “occhi” sono disposti su circa 200 stringhe - strutture flessibili verticali disposte entro un volume d’acqua di più di un chilometro cubo, ancorate al fondo marino da una base -che funge da zavorra e che ospita sistemi elettronici e ottici - tenute in tensione da una boa che fluttua circa 800 metri più in alto. Per resistere alle altissime pressioni degli abissi marini e ai fenomeni di corrosione, i sensori sono protetti all’interno di sfere cave del diametro di circa mezzo metro, costruite con uno speciale vetro borosilicato dello spessore di un solo centimetro.

Dentro ogni sfera una scheda elettronica permette di acquisire i segnali dei fotomoltiplicatori, digitalizzarli e inviarli a terra utilizzando un piccolo ma potente laser e una rete di fibre ottiche che corre lungo la “spina dorsale” della stringa fino a raggiungerne la base. Ogni base della stringa è connessa da una rete di cavi ibridi con conduttori e in fibre ottiche, deposti sul fondo marino e smistati da un sistema di junction-boxes verso due cavi elettro-ottici sottomarini, lunghi circa 100 km, che arrivano fino alla terraferma, nel porto di Portopalo di Capo Passero. Lì sono connessi all’interno della stazione di acquisizione realizzata dai Laboratori Nazionali del Sud dell’Istituto Nazionale di Fisica Nucleare, che ospita i sistemi di alimentazione dell’apparato, i sistemi di comunicazione e di acquisizione e analisi dei dati. Il laboratorio è quindi connesso alle Università e ai centri di ricerca di tutto il mondo in banda larghissima grazie a un link dedicato della rete GARR (la rete italiana dell’istruzione e della ricerca).

A seguito di una lunga attività di ricerca e monitoraggio nel Mar Mediterraneo, l’area al largo di Portopalo di Capo Passero si è rivelata ideale per una serie di caratteristiche: la trasparenza delle acque è ottimale per l’identificazione e la ricostruzione delle tracce luminose; una piana abissale molto profonda e distante da dirupi e canyon permette l’installazione sicura e modulare di un gran numero di sensori; la velocità media delle correnti sottomarine si attesta su 3,5 cm/s e cambiamenti di direzione sono molto lenti, non alterando drammaticamente la geometria del rivelatore in funzione del tempo. Infine, l’attività biologica è molto inferiore rispetto a una zona costiera, riducendo la presenza di organismi bioluminescenti, che possono, con le loro emissioni, mascherare gli eventi cercati.

Oltre allo studio dei neutrini, grazie alla stretta collaborazione tra Istituto Nazionale di Fisica Nucleare (INFN), Istituto Nazionale di Geofisica e Vulcanologia (INGV) e altri enti di ricerca, l’infrastruttura di Capo Passero ospiterà anche gli osservatori del progetto europeo EMSO-ERIC (European Multidisciplinary Seafloor Observatory, European Resaerch infrastructure).

Nel 2005, a circa 25 km al largo di Catania -dove l’INFN ha deposto un altro cavo sottomarino per uso scientifico- è attivo il primo nodo sottomarino cablato realizzato in Europa da EMSO. Il nodo ha a bordo sensori oceanografici, sismici e acustici, che permettono di monitorare e studiare l’ambiente sottomarino: dall’osservazione dello stato di salute della sua fauna alla misurazione dell’inquinamento acustico dei mari, fino al monitoraggio delle attività sismiche sottomarine. La correlazione tra i dati dei sensori sismici, magnetici, acustici e di pressione permette di identificare, in tempo reale, i fenomeni geosismici abissali, potenzialmente precursori di tsunami. Il sistema di trasmissione dati può consentire di fornire un’allerta rapida alle autorità competenti, prima che l’onda di tsunami arrivi sulla costa.

• Einstein Telescope, il più potente strumento mai costruito per catturare le onde gravitazionali e spingersi fino quasi al Big Bang che ha dato origine all’Universo.
Più a nordovest nel Mediterraneo, in Sardegna, potrebbe invece nascere il “secondo occhio” puntato verso i misteri dell’Universo. Il Governo italiano ha infatti ufficializzato il 6 giugno 2023 la candidatura della Sardegna come sede per ospitare l’Einstein Telescope: l’osservatorio di onde gravitazionali di terza generazione inserito, nel giugno 2021, dallo European Strategy Forum for Research Infrastructures, nel novero delle grandi infrastrutture di ricerca sulle quali l’Europa ha deciso di puntare nel prossimo futuro. Il Ministero dell’Università e della Ricerca e la comunità scientifica nazionale, con il coordinamento scientifico dell’INFN, sono fortemente impegnati nel sostegno del progetto Einstein Telescope e nella promozione della candidatura del sito italiano, che attualmente è in competizione con un altro sito che si trova nell’Euroregione Mosa-Reno, al confine tra Paesi Bassi, Belgio e Germania.


Non è un caso se, come raccontatoci da Alberto Masoni, Responsabile locale dei Progetti PNRR a guida INFN ETIC (Einstein Telescope Infrastructure Consortium) e TeRABIT (Terabit Network for Research and Academic Big data in Italy), l’idea di realizzare l’Einstein Telescope abbia origine proprio nel nostro Paese. In quest’ambito di ricerca, l’Italia possiede infatti una lunga e consolidata competenza. L’Istituto Nazionale di Fisica Nucleare vanta in questo campo una scuola che risale a Edoardo Amaldi, allievo di Enrico Fermi e padre fondatore dell’INFN, del CERN di Ginevra, dell’Agenzia Spaziale Europea.
Dal 1994, la località di Cascina, nei pressi di Pisa, ospita l’interferometro Virgo: unico apparato al mondo - insieme con il sistema americano LIGO - in grado di rivelare le onde gravitazionali. Le scoperte delle onde gravitazionali, che hanno peraltro portato all’assegnazione del premio Nobel per la fisica nel 2017 a tre fisici della LIGO-VIRGO collaboration, hanno dato un fortissimo impulso a queste ricerche, e hanno certamente contribuito alla decisione di realizzare un nuovo grande laboratorio europeo dedicato alle onde gravitazionali con una sensibilità almeno dieci volte maggiore rispetto a quelli esistenti.

Ma cosa sono esattamente le onde gravitazionali? Previste nel contesto della teoria della Relatività Generale, pubblicata da Albert Einstein nel 1916, sono – insieme alla radiazione elettromagnetica, ai raggi cosmici e ai neutrini – “messaggeri” fondamentali per lo studio dell’Universo. In particolare, si tratta di ondulazioni della trama dello spazio-tempo che si propagano alla velocità della luce e che sono prodotte quando grandi masse vengono accelerate o deformate. Ciò avviene in molti fenomeni astrofisici, come le esplosioni di supernovae o le interazioni gravitazionali fra buchi neri o stelle di neutroni. Tuttavia, rivelare le onde gravitazionali non è un compito facile. Sono stati necessari più di cinquant’anni di sviluppi tecnologici e sperimentali, condotti da migliaia di scienziati in tutto il mondo, per osservare finalmente le prime onde gravitazionali con gli interferometri gravitazionali nel 2015.
Ma perché è così difficile catturarle? Quando attraversano lo spazio-tempo, esse lo deformano e lo scuotono. Si tratta tuttavia di effetti veramente microscopici: se un’onda gravitazionale attraversa Virgo, si stima che la lunghezza dei suoi bracci di 3 km cambi in genere di meno di un miliardesimo di miliardesimo di metro, vale a dire meno di un millesimo del raggio di un protone. Rispetto agli attuali interferometri, l’Einstein Telescope osserverà un volume di universo circa mille volte maggiore. Sarà in grado di rivelare un numero impressionante di segnali dalla coalescenza sia di stelle di neutroni, sia di buchi neri, contribuendo alla comprensione della natura degli oggetti astrofisici più estremi, e attraverso di essi potrà studiare le stelle dalle quali hanno avuto origine, risalendo fino alle prime stelle dell’Universo.

In altre parole, l’Einstein Telescope consentirà per la prima volta di esplorare la storia dell’Universo, andando indietro nel tempo all’età oscura della cosmologia, quando le sorgenti stellari e galattiche di fotoni non si erano ancora formate, facendo così luce sui processi che ne hanno caratterizzato l’evoluzione.
In concreto, il progetto prevede – presso il sito di Sos Enattos, vicino Lula, in provincia di Nuoro - la costruzione di una grande infrastruttura sotterranea che ospiterà un rivelatore di onde gravitazionali tra i 100 e i 300 metri di profondità per preservarlo in condizioni di “silenzio”, isolandolo dalle vibrazioni prodotte sia dalle onde sismiche, sia dalle attività umane, che costituiscono quello che viene chiamato “rumore”, in quanto fonte di disturbo per le misure che l’Einsten Telescope dovrà realizzare.
Gli studi effettuati nell’area di Sos Enattos hanno stabilito che si tratta del sito migliore in Europa e uno dei migliori al mondo per il basso rumore sismico e ambientale e per la natura della roccia.
L’Einsten Telescope presenta un potenziale scientifico eccezionale e le sfide da affrontare porteranno a sviluppi tecnologici in vari settori, tra cui la meccanica di precisione, la metallurgia, la sensoristica sismica, l’ottica, le tecnologie quantistiche e la gestione di imponenti quantità di dati con l’intelligenza artificiale, nonché a un enorme impatto sul territorio in cui sarà costruito.

Alcuni numeri stimati ad oggi possono aiutarci a comprendere la portata del progetto e le sue ricadute per la scienza, per l’industria nazionale, ma non solo, e per la Sardegna: 2 miliardi di euro investimento per la realizzazione, 6,2 miliardi di volume di affari, 36.000 unità di forza lavoro coinvolte per la costruzione, 160 ricercatori impegnati nel laboratorio, oltre 700 unità di forza lavoro coinvolte a regime nel funzionamento.