26.11.2022 Anna Giurickovic Dato

La "digital life" tra presente e futuro

Nei due anni che hanno coinciso con la pandemia si è registrato un massiccio e inevitabile sviluppo della vita digitale dei cittadini italiani, molte delle cui attività hanno potuto continuare, nonostante la forte battuta d’arresto imposta dal distanziamento sociale, proprio grazie all’uso dei dispositivi e dei servizi digitali.

 Il processo di digitalizzazione che, pur lento e pieno di intoppi, era già in atto, ha avuto un’accelerazione esponenziale, generando un ampissimo balzo tra il prima e il dopo. L’avvenire sembra ormai scritto: i dati che permettono di leggere il presente, non solo attestano l’avvenuta trasformazione delle nostre digital life, ma sono in grado di marcare il tragitto che ci conduce direttamente al futuro. La Gigabit society non è di certo fantascienza, ma il serio e programmatico obiettivo di un’Europa che ambisce, entro il 2025, al raggiungimento di un livello di connettività avanzata in tutti gli Stati membri, ed entro il 2030, al completamento della trasformazione digitale, così come già definita dal Digital Compass.

Nell’ambito di questo disegno a brevissimo termine, l’Italia dimostra di essersi ben incardinata in quello che per le istituzioni europee è “il percorso verso il decennio digitale. A dimostrarlo sono i dati del CENSIS: basti pensare che gli utenti del web sono aumentati del 4,2% tra il 2019 e il 2021; d’altra parte, la quantità di popolazione italiana che ha accesso a internet nel 2021 è arrivata all’83,5% e, in generale, il consumo su rete (sia fissa che mobile) ha avuto un incremento maggiore del 30%. Dalla formazione alla salute, dall’e-commerce all’home banking, dal food delivery ai rapporti con le Pubbliche amministrazioni. Le variazioni percentuali registrate nell’esercizio di queste attività tra il 2015 e il 2021 sono estremamente alte, con un incremento del 20,9% per gli acquisti online, del 19% per la prenotazione di visite mediche, dell’11,3% per le pratiche burocratiche, del 14,7% per la frequenza di corsi di formazione, di quasi il 10% per lo svolgimento di operazioni bancarie online.


La digitalizzazione della vita e della società è, con tutta evidenza, un fenomeno di massa, ma l’entusiasmo di chi nei dati legge incrementi su incrementi non può che essere frenato e ricalibrato davanti a un’altra considerazione: una transizione digitale così rapida ed estesa rischia di emarginare le fasce più deboli della popolazione, coloro che avrebbero più bisogno di usufruire di agevolazioni e servizi ma che non dispongono di strumenti idonei per farlo, né delle competenze necessarie per utilizzarli. Si parla, in merito, di digital divide, un divario che appare manifesto se i dati vengono letti tenendo conto di una serie di altri fattori: le differenze anagrafiche, il tenore di vita e le competenze.

I cittadini italiani con un’età compresa tra i 65 e gli 80 anni sono, infatti, i meno attivi sul web: per esempio, solo il 41,2% di soggetti rientranti in questa fascia d’età svolge online operazioni bancarie, contro il 55,8% di chi ha tra i 30 e i 44 anni e il 48,8% di chi ne ha tra i 45 e i 64; e soltanto il 19,1% degli anziani si serve della rete per sbrigare pratiche burocratiche, contro il 29,3% degli adulti con un’età compresa tra i 30 e i 44 anni e il 25,3% di quelli che hanno tra i 45 e i 64 anni. Nel campo della sanità digitale, invece, si registrano percentuali simili tra le diverse fasce d’età, a prescindere dal segmento anagrafico considerato.

Ad alte competenze generali, poi, corrisponde una maggiore facilità nell’uso dei dispositivi digitali. I dati mostrano, infatti, forti disuguaglianze, per esempio, nell’utilizzo dell’home banking: solo il 30,3% di chi è in possesso di un basso titolo di studio utilizza tale servizio, percentuale che cresce sino al 60,1% per chi, invece, ha una laurea o un diploma.

Si è detto, poi, che a contribuire al divario digitale vi è anche il diverso tenore di vita: basti pensare che il 32,1% dei cittadini italiani non ha un posto dove svolgere tranquillamente le proprie attività digitali e che il 28,9% vive in zone con una scarsa connessione. Si parla, in tali casi, di “deficit abitativo per l’uso digitale”, deficit che riguarda il 49,7% degli italiani, per lo più giovani o percettori di basso reddito.

La Gigabit Society non può essere costruita tenendo conto solo delle fasce sociali privilegiate, anche se maggioritarie, poiché la transizione digitale, ancor prima che un fenomeno tecnologico, deve essere considerata un fenomeno sociale, un progetto di società più inclusiva e meno sperequata. La rivoluzione in atto deve necessariamente tenere conto del livello di “vita digitale” di ciascuna fascia della società, soprattutto delle più deboli, in modo da reintegrare, per esempio, quell’8,3% di italiani che è proprio fuori dalla rete, e quel 18,2% di italiani che, non sapendo neanche come fare una telefonata con lo smartphone, rientra nella categoria degli “analfabeti digitali”.

Tra sviluppo e disuguaglianze, tra le cose fatte e le tante ancora da realizzare, tra la varietà di soggetti e le esigenze diverse, cosa ne sarà della futura digital life? Le proiezioni degli italiani non possono che essere considerate come le più autorevoli previsioni: per il 28,6% dei cittadini tra i 30 e i 44 anni lo smart working è un’opportunità indispensabile per il prossimo futuro; il 38,1% della popolazione non rinuncerebbe più ad avere rapporti dematerializzati con i pubblici uffici e, se si considera la fascia d’età di chi ha tra i 45 e i 64 anni, la percentuale sale al 41,6%; l’home banking è un servizio irrinunciabile per il 24,3% degli italiani, con un picco tra i soggetti con un’età compresa tra i 45 e i 64 anni (27,9%). Percentuali minime si registrano, invece, rispetto ad altri servizi, come la didattica a distanza (essenziale solo per il 7,3% della popolazione), le videoconferenze (imprescindibili per l’8,7% degli italiani), le visite virtuali ai musei (8,2%), i podcast (2%) e la cd. “micromobilità”, come i monopattini elettrici (2,6%).

Il futuro è già in moto: la tecnologia digitale non può essere considerata più solo come uno strumento, una facilitazione, ma è il nuovo linguaggio che si impone, necessariamente, nella società contemporanea. Ogni italiano avrà una vita digitale, che lo voglia o meno: basti pensare che oggi sono più di 30 milioni le identità digitali SPID in Italia, di cui 10 milioni sono state attivate nell’ultimo anno. L’avvento digitale è rapido, per alcuni vertiginoso, e insieme all’entusiasmo provoca paura e disagio: il 65,3% degli anziani, il 45,1% delle casalinghe e il 64,6% degli italiani con un basso titolo di studio non si sentono sicuri a fare operazioni bancarie in rete; così, il 61,1% degli anziani e il 55,3% dei soggetti con un basso titolo di studio hanno il timore di utilizzare sistemi di pagamento elettronici. Tali paure, tutt’altro che infondate, trovano un riscontro inevitabile nella realtà: con l’accelerazione tecnologica aumentano anche i reati informatici, dalle frodi alle molestie, e i rischi maggiori colpiscono proprio le fasce più deboli, ossia coloro che non hanno la necessaria dimestichezza con i dispositivi digitali.

Gli italiani nutrono grandi speranze per il futuro, innanzitutto quella di migliorare il proprio approccio con le tecnologie digitali: uno su quattro lo vorrebbe. I dati del CENSIS, infatti, evidenziano la propensione della popolazione a evolversi con e grazie al digitale: alla sfera pubblica non resta, allora, che accogliere tale apertura, infondendo fiducia, ottimismo e, soprattutto, nuove infrastrutture e competenze. L’alfabetizzazione informatica dei cittadini rientra, peraltro, tra i compiti fondamentali dello Stato: non solo lo prevede l’art. 8 del Codice dell’Amministrazione Digitale, non soltanto rientra tra le missioni (la prima) del Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza (PNRR), ma la Corte costituzionale lo inserisce, da tempo, tra i compiti di promozione della cultura assegnati alla Repubblica dall’art. 9 Cost. e che rispondono a “finalità di interesse generale” (Corte cost., sentenza n. 307/2004). Un conto, tuttavia, è la previsione di un dovere in astratto, altro è la sua concreta attuazione: a tal fine è stato adottato il D.L. 152/2021 che, in attuazione del PNRR e proseguendo l’iniziativa strategica nazionale che prende il nome di Repubblica Digitale, ha istituito il “Fondo per la Repubblica Digitale”, stanziando 250milioni di euro da spendere in attività formative in modo che, entro il 2026, la percentuale di cittadini digitalmente competenti raggiunga il 70%.

Viste le carte in tavola, l’auspicio, a questo punto, è che si incontrino i buoni propositi dello Stato e le esigenze reali dei cittadini, in modo che nessuno venga lasciato indietro dalla modernizzazione.

Letture e dati:

CENSIS, Rapporto sulla situazione sociale del paese, 2021.

In particolare, leggi:

- Il bello e il brutto di internet, p. 71.

- L’alba di una nuova transizione digitale, p. 404.

- Gli effetti della vita digitale: la paura del web, p. 437.

G. Cavalcanti, Dalla riduzione del digital divide alla semplificazione dei servizi online: le nuove misure del decreto di attuazione del PNRR, in irpa.eu, 2022.

I dati utilizzati provengono dall’indagine CENSIS 2021, salvo quelli relativi al traffico dati su linea fissa e mobile, che sono dati AGCOM.

 

Credits Copertina: Koukichi Takahashi su Unsplash