01.05.2023 Anna Giurickovic Dato

La lotta alla povertà come dovere pubblico

Durante una delle sedute in cui i Padri costituenti si riunivano per raggiungere accordi e convergenze sulla stesura della Carta costituzionale della neonata Repubblica italiana, fu aperto un dibattito: la povertà è un problema dello Stato? La maggioranza optò per una risposta affermativa e, così, fu approvato l’art. 38 Cost., che riconosce al “povero” il diritto al mantenimento e all’assistenza sociale. 

Era il 10 maggio del 1947 quando, mentre si redigeva la norma, l’Onorevole Mazzei si alzò in piedi e tuonò contro questo “stranissimo diritto, il diritto a essere mantenuti dallo Stato!” Altri, come lui, polemizzarono, ritenendo che il mantenimento dovesse essere, invece, a carico delle famiglie e che l’indigenza fosse una questione privata, come, d’altra parte, i “panni sporchi” che ciascuno avrebbe fatto meglio a lavare a casa propria (sempre che ne avesse avuta una).

Già esisteva l’assistenza sociale, ma il “diritto al mantenimento” attribuiva allo Stato un nuovo e più intenso obbligo. I più garantisti, infatti, ritenevano opportuno evitare, per il futuro, qualsiasi possibilità che un diritto così fondamentale – poiché bisogno insopprimibile, necessario alla stessa vita – venisse interpretato in maniera restrittiva.

La Costituzione tutela la povertà, una povertà intesa in senso ampio, moderno, comprensivo di diverse forme di vulnerabilità che riguardano non solo i profili economici, ma anche quelli sociali e politici. Se il citato articolo 38 fa riferimento al cittadino inabile al lavoro e sprovvisto dei mezzi necessari per vivere, una serie di altre norme costituzionali contribuiscono ad ampliare le tutele dei poveri: l’art. 32 Cost. tutela la salute di tutti, l’art. 114 pone, in capo alla Repubblica, l’obbligo di garantire cure gratuite agli indigenti; l’art. 34 sancisce il diritto dei capaci e meritevoli, anche se privi di mezzi, a raggiungere i gradi più alti degli studi; l’art. 24 assicura l’accesso alla difesa giurisdizionale anche ai non abbienti; l’art. 31 prevede aiuti economici che agevolino la formazione della famiglia; l’art. 36 garantisce ai lavoratori una retribuzione che permetta loro di condurre una libera esistenza, non condizionata dal bisogno economico; l’art. 3 richiede che siano rimossi gli ostacoli all’attuazione del principio di eguaglianza sostanziale, tra cui anche la disparità nella distribuzione dei beni materiali e immateriali.

Contrastare la povertà è un obiettivo anche del diritto europeo e di quello internazionale. Il Trattato sul funzionamento dell’UE (TFUE) stabilisce, infatti, che l’Unione europea, nella definizione e nell’attuazione delle proprie azioni, debba tenere conto delle esigenze connesse con la promozione di un elevato livello di occupazione, con la garanzia di un’adeguata protezione sociale e con la lotta contro l’esclusione sociale (articoli 3, 9 e 153). Anche la Carta dei diritti fondamentali dell’UE, nel prevedere l’inviolabilità della dignità umana, garantisce il diritto di disporre di condizioni minime per poter condurre un’esistenza dignitosa. D’altra parte, quasi tutti i paesi del mondo hanno ormai ratificato il Patto internazionale sui diritti economici, sociali e culturali – Trattato dell’ONU del 1966 – il cui articolo 11 riconosce il diritto alla “libertà dalla fame”.

Le politiche di lotta alla povertà sono, quindi, assolutamente doverose, e rappresentano un problema e un obbligo dello Stato (uno dei più importanti compiti dello Stato moderno). L’Italia tenta di ottemperare a tale obbligo attraverso il sistema integrato di assistenza sociale, erogando servizi e prestazioni ai soggetti in condizioni di povertà o con reddito insufficiente, con difficoltà a inserirsi nella vita sociale attiva e nel mercato del lavoro, oltre che ai soggetti incapaci di provvedere alle proprie esigenze a causa di inabilità fisiche o psichiche. Le misure di contrasto alla povertà e di sostegno al reddito hanno carattere condizionale, in quanto è possibile usufruirne solo qualora si versi in una situazione di bisogno e in presenza di una serie di altri requisiti e condizioni: questo vale anche per il Reddito di cittadinanza (Rdc), istituito con d.l. 4/2019 e di recente abrogato con la Legge di Bilancio 2023 (in attesa, si dice, di un’altra misura), il quale, proprio per tale ragione, porta un nome improprio. In economia, infatti, per reddito di cittadinanza si intende un sostegno a carattere universale di tipo incondizionato, la cui erogazione prescinde sia dalle condizioni economiche individuali, sia dalla situazione occupazionale: il solo requisito richiesto per beneficiarne dovrebbe essere la cittadinanza.

Al di là del dovere astratto dello Stato di far fronte a situazioni di povertà, occorre domandarsi se le politiche concretamente messe in atto per mitigare il problema siano adeguate o, invece, fallimentari. 

Una risposta può emergere dall’analisi dei dati: secondo quelli elaborati da Eurostat (relativi al 2021), il 21,7% della popolazione europea (vale a dire oltre 95 milioni di persone) è considerato a rischio di povertà a causa della mancanza o dell’insufficienza di redditi. Nonostante la percentuale si sia leggermente abbassata, rispetto a quella riscontrata in seguito alla crisi economica del 2008 (che arrivò quasi al 25%), essa non ha comunque raggiunto il ribasso previsto dall’Obiettivo 2020 dell’UE, fissato, più di dieci anni fa, nell’ambito del programma Europe 2020. Inoltre, tra gli Stati membri dell’Unione, l’Italia è il sesto paese tra quelli a maggiore rischio di povertà, con una percentuale che supera di molto la media europea (25,2%).

Chissà se la crisi economica ancora in atto, dalla durata imprevedibile, non rischi di portare all’avveramento di una profezia distopica: la deriva della “società dei due terzi” – dove un terzo della popolazione risulta emarginato – verso “società delle due metà”. Chissà quale ruolo giocherà l’innovazione tecnologica e in quanto tempo essa potrebbe realizzare un’altra profezia, aprendo l’epoca della “disoccupazione tecnologica” e della “società del non-lavoro”. Condizioni, queste, che imporrebbero un cambio di direzione delle politiche pubbliche di lotta alla povertà, che dovrebbero essere ripensate e concepite come tutela di un diritto non più condizionato dal lavoro e dal reddito: ecco che si aprirebbe, allora, la strada per l’istituzione di un vero e proprio reddito di cittadinanza incondizionato (o reddito di base).

Lasciando al futuro l’avverarsi di profezie, distopie o di soluzioni ideali, non si può evitare intanto, nel presente, di constatare il vistoso fallimento delle politiche pubbliche destinate a tutelare i poveri, gli emarginati, gli indigenti, emancipandoli dalla loro situazione di partenza. I numeri parlano da soli e raccontano di un paese iniquo, dove le disuguaglianze superano di gran lunga la media europea e dove oltre il 30% della popolazione è a rischio di povertà.

Una delle ragioni di questo insuccesso non può che individuarsi nel fatto che l’intervento pubblico non è rivolto a tutte le categorie di poveri, ma soltanto a quella frazione di poveri contemplati dalle stime annuali dell’Istat: il legislatore considera, soprattutto, la “povertà integrata” – relativa a persone che vivono in famiglia – e tende a tralasciare la “povertà marginale” – persone senza fissa dimora, in condizioni di povertà estrema, esclusi non inseriti nella rete sociale.

Nonostante il concetto di povertà tutelato dalla nostra Costituzione sia ampio, l’azione pubblica concreta tiene conto di un modello di povertà che andrebbe attualizzato e reso più inclusivo. Inoltre, gli strumenti di carattere meramente economico-finanziario non sono sufficienti a risolvere il problema, poiché non tengono conto del fatto che la povertà è un fenomeno multidimensionale, costituita non soltanto da difficoltà materiali, ma anche da fattori sociali, culturali, esistenziali. Infine, la lotta alla povertà non può essere assorbita dalla politica generale dell’assistenza sociale, ma richiederebbe, invece, una politica mirata, differenziata e specifica: sotto questo profilo, il reddito di cittadinanza (impropriamente detto) ha tentato di rimediare alle carenze delle precedenti politiche, ma, tra alcuni pregi e tanti difetti, ancora non vi è palesemente riuscito.

Approfondimenti:

L. Carlassare, Solidarietà: un progetto politico, in Costituzionalismo.it, 1, 2016;

G. Cazzola, Il reddito di cittadinanza, in Lavoro nella Giur., 2019, 5, 446;

V. Cerulli Irelli, A. Giurickovic Dato, La lotta alla povertà come politica pubblica, in Rivista italiana per le scienze giuridiche, Jovene Editore, Napoli, 11, 2020, 189;

C. Franchini, L’intervento pubblico di contrasto alla povertà, Editoriale scientifica, Napoli, 2021;

Peter Glotz, La socialdemocrazia tedesca a una svolta, Editori Riuniti, 1986;

Istat, Report povertà, 15 giugno 2022;

Eurostat, Living conditions in Europe – poverty and social exclusion, 2022;

 

Credits Copertina: Matt Collamer su Unsplash