13.11.2023 Daniela Sessa

L’algoritmo avanguardista

Dal numero civico 35 di Boulevard des Capucines a Parigi dove si tenne la prima mostra degli impressionisti al metaverso dei Non Fungible Token, il passo non è breve e il cammino è lastricato solo di buone intenzioni, deluse dal crollo delle vendite delle opere fatte di pixel e transate con le criptovalute: numeri epocali pari al 76% trainati, secondo l’agenzia Deloitte Private, proprio dal calo dei token d’arte. 

Tanto da far rimpiangere gli Este che commissionavano ad Ariosto “opere d’inchiostro”. Un do ut des vissuto per secoli come una crepa etica, per il filosofo Gilles Lipovetsky (in L'esthétisation du monde) eliminata solo da Andy Warhol che vide nel mercato un oggetto artistico oltre che un’opportunità. D’altronde, Art is business è un concetto antico: risale alle committenze nella Grecia classica e arriva fino al Seicento con le prime vendite all’asta. Due secoli dopo nasce il mercato dell’arte. Nello stesso saggio Lipovetsky affermava “è il capitalismo artistico a cambiare il mondo, non più l’arte d’avanguardia”, come dire che il mercato è più rivoluzionario dell’arte.

Fonte: Midjourney 

Se gli NFT rischiano di finire nella cantina dell’avanguardia artistica 3.0, viene da chiedersi, parafrasando Lipovetsky, se l’Intelligenza Artificiale, svincolata dal mercato, possa mostrare da sola la carica rivoluzionaria ed essere avanguardia anche fuori dal recinto ludico del metaverso. Qualche settimana fa il progetto Var Group Art, della startup leader nei servizi digitali per le imprese, ha assegnato il primo premio di Arte Digitale, il VDA Award a Luca Pozzi, per l’opera Rosetta Mission 2022. L’opera, che prende il nome dalla missione spaziale ESA, è una metapiattaforma in cui viene ricostruita la cometa 67P come non luogo multiesperenziale, “un sasso digitale” in cui coesistono statue classiche e immagini dal cosmo, simboli e metafore sociali. Luca Pozzi ha studiato fisica quantistica e cosmologia e ha tradotto le sue conoscenze in installazioni virtuali che ibridano forme d’arte e scienza come nell’opera “Schroedinger’s cat through Piero della Francesca influence”. Visioni futuribili che strizzano l’occhio al passato anche nelle altre opere presentate al AVD Award in cui gli affreschi di Pompei e l’hard rock dei Led Zeppelin esplorano le potenzialità dell’Intelligenza Artificiale.


L’ibridazione pare essere il futuro dell’arte digitale con buona pace della simultaneità dei Futuristi o della pittura metafisica di Giorgio De Chirico, alle cui piazze con manichini, ombre e statue greche sembra rimandare l’opera di Luca Pozzi. A proposito di De Chirico, il progetto Artemisia, nato dalla collaborazione tra gli altri dell’Università La Sapienza e le aziende XTeam Software Solutions e Vianet, ha usato i quadri metafisici di De Chirico per avviare la sperimentazione di un algoritmo capace di individuare i materiali di un dipinto, anche per una diversa fruizione dell’opera stessa all’interno dei musei. Alle opportunità offerte dall’IA rimanda anche una ricerca di Harvard University che ha imitato il dripping di Jackson Pollock per affinare il metodo di stampa in 3D. L’ontologia dell’arte fonda sul rapporto passato-presente il momento creativo tanto che, senza rischio di cadere nel paradosso, oggi un algoritmo può farsi tavolozza o scalpello. Il nodo sta se considerare l’algoritmo un canale o un codice del messaggio artistico.


Nelle strategie di mercato seguite alla crisi del 2008 l’opera d’arte è diventata emotional asset ossia oggetto di investimento comprensivo di impatto sentimentale. Dieci anni dopo Christie’s batteva al prezzo esorbitante di 432,000 dollari l’opera “Portrait of Edmond de Belamy” firmata da un algoritmo. Una formula ridotta a canale comunicativo: tre studenti del collettivo Obvius avevano copiato la ritrattistica del passato affidandola a un generatore di immagini. Nessuna emozione ma solo una sperimentazione rivelatasi utile a comprendere quanta capacità possa avere l’IA di invadere il mercato e di modificare il gusto del pubblico.
Nel dibattito seguito all’irrompere delle avanguardie artistiche del ‘900 due erano le direttive: l’ossessione del nuovo e della libertà e l’invenzione di un nuovo linguaggio. La negazione e il superamento dell’unità del segno, predicati dai manifesti avanguardisti, stravolsero il linguaggio tanto che la scomposizione, la deformazione e la destrutturazione del legame tra parola e cosa, l’irruzione del segno matematico e fonetico diventarono i codici di una nuova ontologia espressiva. I token d’arte, le opere digitali o le installazioni immersive create dall’IA Generativa prefigurano un concetto di creazione artistica postumana: esigono anche nuove frontiere nella definizione di ciò che è arte e ciò che è oggetto artistico?

Nell’attesa che la questione arrivi nelle stanze della critica d’arte, Sougwen Chung, artista tra le cento persone più influenti dell’IA 2023, all’apertura, qualche giorno fa a Londra, della sua mostra ha dichiarato che la sua creatività è plasmata dalle macchine robot, mentre solo un anno fa Ai-Da, il robot artista esponeva sempre a Londra un autoritratto realizzato guardandosi allo specchio. 

Non è da sapere se l’algoritmo di Ai-Da sia un appassionato di Vincent van Gogh, ma è urgente riflettere, senza preconcetti apocalittici, su quanto Jeffrey Katzenberg, cofondatore di Dream Works, ha previsto nuove opportunità per l’arte nel suo recente intervento al Bloomberg New Economy Forum “Non conosco un'industria che subirà maggiormente l'impatto rispetto a ogni aspetto dei mezzi di comunicazione, dell'entertainment e della creazione. E considero l'Intelligenza Artificiale uno strumento creativo, come un nuovo pennello o una nuova telecamera”. Urgente anche quanto ricordare il suggerimento dello stesso Van Gogh di non schiavizzare la creatività artistica a un modello. Fosse esso un girasole o il Massimo Comune Divisore di Euclide, il più antico degli algoritmi.