25.03.2020 Peppino Caldarola

Le parole per il dopo / Il domani è una diversa umanità

Non mi parlate di “ex” e di “dopo”. Li ho sempre odiati.

“Ex” cancella una storia, la svilisce, sembra che te vergogni. “Dopo” è cosa così lontana da sembrare non appartenerti più.

Come sarà il “dopo” dell’ epidemia? Pensiamo a quanti di noi hanno temuto e temono tuttora che il “dopo” potrebbe finire oggi, con un colpo di tosse, un momento di fiato che ti viene a mancare. È “dopo” universale, il “dopo” che è stato il tuo mondo, “nostra patria è il mondo intero” cantavamo da ragazzi, ma è anche il mondo che hai sentito tuo nemico.

Non so dove andrò quando questa epidemia sarà finita ma so che c’è un’altra umanità che si può affacciare all’orizzonte. Meravigliosa e terribile. Il “dopo” è una società che mi sostituisce il cuore, mi modifica la faccia, ma non sa come difendermi da un virus che mi entra in casa attraverso la cosa più bella, un bacio, di un figlio, di una donna, di un amico.

So che il “dopo” sarà diverso per molti di noi. C’è un “dopo” per chi deve inventare una nuova vita per tutti. Città, case, cibi, fabbriche. C’è un “dopo” che riguarda come dovremo stare fra di noi e, da inguaribile buonista, mi immagino un “dopo” di fratellanza, in cui “mi prendo cura di te” anche se non so chi sei ma so che sei accanto a me, persino se ti trovi lontano diecimila chilometri.

Il “dopo” è una diversa umanità. Io non ho mai pensato da pacifista. Non so dire che cos’è il mondo senza le guerre anche se mi piacerebbe vederlo. So che i contrasti ci sono e so che creano odio e inimicizia. So però, dopo questa guerra che stiamo combattendo chiusi dentro casa, col frigorifero pieno, il vino o le sigarette che vogliamo, io vivo solo perché che ci sono gli altri.

È il mio primato che finisce. Torno nessuno. Tutti torniamo nessuno. Non so com’ero prima del coronavirus. So che oggi siamo cambiati e vogliamo amicizia con tutti quelli che sono cambiati assieme a noi. Leader, comando, potere, parole senza senso.

Nel mio “dopo” non voglio perdere tempo a scoprire ciò che mi divide da te, ma ciò che mi rende simile o comunque ci rende reciprocamente accettabili.

Ecco perché ho detto che anche dire “ex” non mi piace. In fondo sono un “ex” di una certa visione del mondo, sono un ex della sua tradizione ideologica, dei drammi che ha imposto, ma non del fascino di sentirmi piccolo ragazzo di una piccola realtà del sud amico di tutto il mondo.

Il “dopo” è anche delega. Molti di noi non ci saranno più, presto o tardi, ma hanno intravisto nelle guerre, nell’assalto alla natura, in questa epidemia che possiamo perderci o possiamo tenerci per mano.

La cosa più bella che ho imparato era già scritta nell’intuizione di chi inventò questa rivista: scienza e umanesimo. Non bastano mai.