01.05.2023 Marco Casu

L'individuo nell'epoca della sua riproducibilità digitale

Il 22 giugno 2022, dalle ore 16, in un ambiente VRO (Virtual Room and Object) creato dagli sviluppatori di Olimaint, azienda leader nel settore degli avatar biometrici, di fronte a quasi centomila utenti di 21 paesi, si è tenuta la conferenza di presentazione dell'Esposizione Universale del Metaverso 2022. 

Una tavola rotonda "virtuale" sul Metaverso e sul futuro di Internet alla quale hanno partecipato giornalisti, politici, imprenditori ed esperti di settore. Tra questi anche il Prof. Massimiliano Nicolini e suo padre, fondatore di Olimaint e storico allievo di Adriano Olivetti, Giovanni Nicolini, deceduto qualche mese prima, il 7 febbraio 2022. La morte non ha impedito al suo Avatar di prendere parte all'evento, interagire con gli altri ospiti e superare il "test di Turing": nessuno tra i presenti si è accorto aver avuto una conversazione con una macchina.

Una simile operazione può generare – a livello filosofico, etico, giuridico, politico e istituzionale – un dibattito potenzialmente inesauribile.

La tecnologia c'è già, l'economia si muove, il pensiero arranca.

L'intelligenza artificiale assembly (AI assembly) è una tecnologia utilizzata per creare avatar digitali programmati per replicare il comportamento, la personalità e le preferenze degli individui che rappresentano. L'avatar resta in osservazione per qualche mese (basta un'app sul cellulare), combina i dati ottenuti con tecniche di apprendimento automatico e crea un clone digitale virtualmente immortale.

Certo, alla riproduzione digitale di un individuo manca qualcosa di essenziale: l'aura, per dirla con Benjamin, quella qualità che si percepisce in un'opera d'arte quando si è in presenza dell'oggetto reale, intriso di unicità. È l'esperienza di un incontro, che si realizza in un "qui ed ora" sempre diverso, tra due situazioni storiche, semantiche e motivazionali molto distanti: il mondo che ha generato, e costantemente continua a forgiare, la mia formazione e la mia sensibilità incontra il mondo che ha generato e forgiato l'opera. L'esperienza dell'aura, così come la sua perdita nella riproduzione tecnica, non è, per definizione, un processo replicabile né quantificabile. Possiamo però provare a pensare ad uno scarto di dati: uno schermo LCD standard può visualizzare 16,7 milioni di colori, il mio occhio infinite variazioni.

Come la riproducibilità tecnica dell'opera d'arte, così anche la clonazione digitale dell'individuo rende possibile la creazione di innumerevoli schiere di copie, prive però di storia in senso proprio. Persino i celebri NFT (Non-Fungible Token), che utilizzano la tecnologia blockchain per creare una sorta di "impronta digitale" dell'opera d'arte e tracciarne la storia, comprese le transazioni che hanno portato alla sua vendita e il suo valore di mercato, si preoccupano dell'"unicità" e della "storia" dell'opera solo dal lato della proprietà.

L'arte della vita (vale per quella umana come per ogni forma di vita organica) è la possibilità di rispondere a mutate condizioni ambientali in modi nuovi e inattesi, in modi imprevedibili a partire dal pregresso. E il mio Avatar post mortem solo questo sa di me, il mio pregresso: può solo replicare il passato. Le sue risposte dopo la mia morte non verranno dall'aldilà ma da algoritmi generativi nutriti dalla rete. È ovviamente anche da considerare il profilo giuridico: l'insieme dei diritti e delle tutele che l'ordinamento, e in particolare lo stato di diritto, attribuisce al singolo sembra cessare con la fine della sua vita. Il mio avatar post mortem apre invece lo spazio di un possibile utilizzo della mia immagine, della mia voce ecc., anche con contenuti difformi da quelli che io ho ritenuto di esprimere in vita, contenuti che in vita non ho autorizzato.

La questione dell'immortalità digitale va dunque presa con cautela. È una simulazione d'immortalità, che corrisponde ad uno dei pochi tratti comuni nel mare magnum delle definizioni del Metaverso in gestazione: il Metaverso è "persistente", non dorme, non va in vacanza, non muore.

Questa persistenza sarà certamente utile alla pubblica amministrazione e ad ogni tipo di servizi, come anche ai proventi dei call center e ad altre applicazioni commerciali, e a transazioni più o meno lecite, a truffe di nuova generazione. E poi anche, fuor di profitto, al ricordo dei cari scomparsi (del resto anche la foto è un reperto tecnico), alla trasmissione di competenze tecniche e artigianali in disuso e in generale alla trasmissione del sapere, come nuova frontiera del libro e della lettura, quella vecchia magia che già in fondo mi consente, virtualmente, di parlare con Platone, o con Benjamin.

Ma oltre agli auspicabili scenari, alle possibili speculazioni economiche e agli evidenti problemi etici e giuridici posti dall'interazione con una non-persona, l'emergere dell'avatar dona alla macchina qualcosa di inedito, una paradossale memoria della carne: il mio avatar, anche senza di me, è un'intelligenza artificiale mixata con la mia esperienza reale.

Del resto, lo stesso termine avatar proviene dal sanscrito avatāra e indica, nel brahmanesimo e nell'induismo, la discesa di una divinità sulla terra. Per estensione, significa dunque incarnazione, manifestazione fisica, materiale. Ma oggi noi, per avatar, intendiamo l'opposto: la rappresentazione digitale, virtuale, immateriale di una persona fisica, un individuo, un utente, un giocatore. Questo nuovo significato del termine viene infatti dal mondo dei giochi.

Fonte: Midjourney

La prima occorrenza è attestata nel 1985, nel videogioco "Ultima IV: Quest of the Avatar". Già nel 1974, un gioco analogico, "Dungeons & Dragons", permetteva ai giocatori di creare e interpretare un personaggio immaginario all'interno di un mondo fantastico. Potremmo procedere a ritroso, cercando tracce e precedenti "incarnazioni" del senso ludico dell'avatar, ma in realtà per questo genere di giochi, i giochi di ruolo, come in fondo per la fantasia umana, non può esistere cronistoria.

Già Omero si fa Achille, quando impiega il discorso diretto.

La stessa espressione "realtà virtuale" nasce in un contesto semantico pre-digitale e in fondo eterno, quello del teatro (Antonin Artaud, Il teatro e il suo doppio, 1938).

La maschera, la simulazione e l'imitazione sono del resto elementi ludici comuni all'infanzia di ogni epoca e regione ma anche elementi rituali e cerimoniali fondanti in qualsiasi comunità umana. Sono la soglia tra mondo sacro e mondo profano, mondo dei vivi e mondo dei morti. 

Due mondi che non devono confondersi e che possono entrare in contatto solo in circostanze definite, circoscritte nel tempo e nello spazio. Il tempio è la casa del sacro ma anche il suo recinto. E come il gioco e lo scherzo, anche il rito, la festa, la sovversione dell'ordinario, deve durare poco. Ne va della stessa realtà.