12.03.2020 Niccolò Serri

Macchine, Virus e Futurologia: una conversazione con Roberto Vacca

A parlare è Roberto Vacca - ingegnere, matematico e divulgatore scientifico - a proposito di Medioevo Prossimo Venturo, il libro che l’ha consacrato al pubblico come futurologo, qualunque cosa quest’espressione voglia dire. 

Mi accoglie per un’intervista nel suo studio, dove tra cataste di libri fanno capolino senza soluzione di continuità testi di ingegneria dei trasporti, teoria della comunicazione e tomi di filosofia greca. Niente strette di mano, di questi tempi:

In Medioevo Prossimo Venturo (Mondadori, 1971), lei prevedeva per le società occidentali un’involuzione di tipo medievale, dovuta alla degradazione dei grandi sistemi e alla nostra incapacità di gestire la complessità. Sono passati quasi cinquant’anni - cosi come quasi cinquanta sono i libri che lei ha nel frattempo scritto - molti degli elementi alla base della sua analisi hanno subito profonde modificazioni. Continua a vedere all’orizzonte il rischio di un ritorno ai secoli bui?

Quel libro era quasi tutto sbagliato. C’era però un’intuizione riguardo il rischio insito nei sistemi complessi. Da allora ho continuato ad utilizzare numeri e metodi quantitativi per prevedere il futuro, come le equazioni di Volterra, usate spesso in demografia per prevedere gli andamenti della popolazione. Si tratta di strumenti semplici, altamente empirici, ma a loro modo utili.

Copertina "Il medioevo prossimo futuro" di Roberto Vacca, Arnoldo Mondadori Editore

Isaac Asimov parlava di psico-storiografia…

Otto anni fa, insieme al chimico Marco Malvaldi, avevo pubblicato un libretto dal titolo la pillola del giorno prima (Transeuropa, 2012), dove avevo utilizzato le equazioni di Volterra per calcolare l’andamento dell’epidemia della peste di Londra del 1677. Del resto il procedimento è molto semplice: l’equazione stabilisce che la derivata della popolazione rispetto al tempo è proporzionale al prodotto del numero dei contagiati per il numero dei contagiabili. Anche attraverso questo metodo, però, è difficile calcolare la mortalità del corona virus, per via dei pochi tamponi che sono stati fatti. Sarebbe poco meno del 4%. Per fare un esempio, le due influenze normali, H1N1 e H3N2, negli Stati Uniti, in questa stagione corrente, hanno fatto 35 milioni di contagiati e 20mila morti, il che vuol dire un tasso di poco inferiore all’un per mille. Il corona virus, insomma, sembra essere più grave.

Questo virus sta mettendo in mostra le nostre carenze proprio in termini di gestione della complessità sociale: ciò che ci spaventa dell’epidemia non è soltanto la mortalità, ma sono anche le reazioni a catena sul nostro sistema sanitario, economico e istituzionale. In qualche modo, questo sembra “vendicare” la prospettiva di Medioevo Prossimo Venturo.

Il medioevo prossimo venturo doveva dipendere dall’ingovernabilità della complessità. Oggi questa non è aumentata in maniera sensibile rispetto al qualche decennio fa. La cosa grave, invece, è il fatto che stiamo delegando molte decisioni a sistemi automatici senza rendercene neanche conto. In un automobile di lusso ci sono un centinaio di microprocessori, le linee di codice sono decine di milioni, e gli errori tra di esse sono molti. Probabilmente non tutti sono critici, ma anche uno solo può rivelarsi mortale.

Nel 2011 avevo pubblicato un libro, Salvare il prossimo decennio (Garzanti, 2011), in cui stabilivo una differenza tra pericoli immaginari e rischi reali per le nostre società. Quello epidemiologico ha sicuramente una portata molto concreta. Ce ne è un altro del quale non si parla più: le eiezioni massicce dalla corona solare, si tratta espulsioni di massa, altamente erratiche, provenienti dalla parte esterna dell’atmosfera stellare. La prima fu registrata nel 1859. A quel tempo non c’erano linee elettriche, ma alcune decine di migliaia di chilometri di reti telegrafiche che andarono completamente distrutte. Tre anni fa c’è stata un altra di queste eiezioni, che ha sfiorato la terra, anche se nessuno si è accorto di niente. Se venissimo investiti in pieno, sarebbe una catastrofe tecnologica.

Eiezione solare, Credits: NASA

Sembrano dei fenomeni talmente fuori dal nostro controllo, che forse avrebbe poco senso preoccuparsi…

E invece no. Perché esistono dei modi per cautelarsi. I grandi trasformatori, per costruire i quali sono necessari molto risorse e parecchi anni, andrebbero messi a terra con un grosso condensatore e un tubo elettronico controllato che possa scaricare. I pericoli, insomma, sono molti, ma spesso sotto il nostro controllo. Inoltre, c’è il grande problema rappresentato dai sistemi separati di controllo delle armi nucleari, dove, per via del segreto di stato, non sappiamo quasi niente.

Con la fine della Guerra Fredda, abbiamo messo il problema in soffitta…

Finita per modo dire. Il potenziale distruttivo delle armi nucleari è stato ridotto al 30%, ma per ciascun essere umano resta un potenziale equivalente a quello di 700 kilogrammi di alto esplosivo. È un enormità.

Volevo tornare al suo accenno ai rischi della “civiltà delle macchine”. In Medioevo Prossimo Venturo invitava a non fare troppo affidamento sulla panacea tecnologica delle macchine intelligenti. Da allora, però, lo sviluppo di internet e il più recente avvento degli algoritmi di apprendimento automatico - il cosiddetto machine learning - hanno cambiato parecchie carte in tavola: i sistemi sono oggi più decentralizzati e capaci di autoregolazione. Secondo lei questi sviluppi garantiscono una maggiore sicurezza all’interno dei sistemi complessi, oppure sono fonte di ulteriore caos organizzativo?

La risposta credo sia, banalmente, che dipende. Internet è l’esempio perfetto: è uno strumento meraviglioso, siamo diventati tutti più ricchi da quando c’è, perché abbiamo a disposizione una biblioteca quale neanche il più grande mecenate avrebbe potuto avere. Però abbiamo anche l’aspetto pragmatico di come questo sapere viene adoperato. E anche qui la risposta, in maniera molto semplice, è che lo stiamo utilizzando male.

La complessità dei sistemi tecnologici sta continuando a crescere, di pari passo con la quantità di dati che raccogliamo e il sapere che accumuliamo. C’è però una forbice gigantesca tra i livelli superiori, dove alcuni individui raggiungono l’iper-specialismo, e tutti gli altri. Molte persone sembrano oggi dei subnormali: utilizzano la rete per controllare le notiziole, pettegolezzi irrilevanti, pornografia; e poi magari si dimenticano la data del trattato di Utrecht (1713), pensando di poterla sempre comunque andare a controllare.

Potremmo stabilire una sequenza: decisioni importanti richiedono una conoscenza approfondita del mondo naturale cosi come di quello artificiale. Per prendere queste decisioni sono necessari dei centri decisionali. In certa misura, molto lasca, ci vuole anche un’opinione pubblica che controlli e avalli queste decisioni. Quando la gente si abbrutisce, l’opinione pubblica è la prima a scomparire, paralizzando il sistema.

Veniamo al dato politico allora: quale politica per governare la complessità? L’epidemia globale sta mettendo in luce l’esistenza di approcci diversi alla gestione dei rischi. Da un lato, c’è chi sacrifica la democrazia ad un controllo centralizzato che, inutile negarselo, sta dimostrando la sua efficacia nel contenimento del virus. La tradizione liberale occidentale sembra meno attrezzata da questo punto di vista, puntando piuttosto sull’antidoto dell’innovazione.

In parte queste differenze sono ovvie. In parte, però sono anche altamente imprevedibili. La Repubblica Popolare Cinese, con un sistema centralizzato piuttosto duro, pare abbia operato in maniera corretta nell’arginare l’epidemia. Mutatis mutandis, però, un tale sistema politico amplia anche gli effetti di decisioni sbagliate, rispetto a quelle strutture politiche dove si ha condivisione di potere e decisioni. La crisi odierna delle società occidentali è però sotto gli occhi di tutti. Se la ricorda l’espressione l'imagination au pouvoir - l’immaginazione al potere - fatta propria dai movimenti del 1968 francese? Ce ne era poca allora, ma ce ne ancora meno oggi; è un problema di cultura. Dopo Medioevo Prossimo Venturo, ho scritto un altro libro, credo notevolmente migliore, Manuale per una Improbabile Salvezza (Mondadori, 1974), dove teorizzavo la necessità di un marketing culturale di massa: per cambiare le cose, bisogna prima di tutto cambiare il pubblico, trasmettendo cultura.

Illustrazione creata dal Centers for Disease Control and Prevention (CDC) del coronavirus 2019 (COVID-19)

Il ruolo della divulgazione scientifica, in questi tempi di crisi, è forse ancora più importante…

Nel mio piccolo cerco di fare il possibile, rimango ottimista. Le racconto un aneddoto: l’ultima cena pubblica che fece Vittorio Gassman, prima di ritirarsi e decedere poco dopo, la fece alle Terme di Caracalla di Roma; aveva organizzato diverse tavolate, e ognuna aveva il tuo tema, mentre lui andava in giro con la macchina da presa per riprendere gli ospiti. Io ero seduto al “tavolo del mistero” e Gassman venne a chiedermi quale fosse il mio mistero. Gli risposi: “il mio mistero è che qui non sa un cazzo nessuno, eppure, misteriosamente, le cose ancora vanno avanti”.

Laureato in ingegneria elettrotecnica e libero docente in Automazione del Calcolo (Universita' di Roma). Docente di Computer, ingegneria dei sistemi, gestione totale della qualita' (Universita' di Roma e Milano). Fino al 1975 Direttore Generale e Tecnico di un'azienda attiva nel controllo computerizzato di sistemi tecnologici, quindi consulente in ingegneria dei sistemi (trasporti, energia, comunicazioni) e previsione tecnologica. Ha realizzato numerosi programmi TV di divulgazione scientifica e tecnologica. Photo Credits Rodolfo Cardarelli.