Nolan e il “peccato” di Oppenheimer

Il filosofo ebreo tedesco Günther Anders, reduce dall’esilio americano (aveva lavorato anche a Hollywood da magazziniere nel reparto costumi), a metà anni ’50 «elabora il lutto» dell’apocalisse nelle due città giapponesi di Hiroshima e Nagasaki che il 6 e il 9 agosto 1945 ha messo fine alla Seconda guerra mondiale. 

Tra i fondatori del movimento internazionale anti-riarmo atomico, Anders in un saggio divenuto presto un classico prefigura «un uomo senza mondo» in «un mondo senza uomo», un corpo in declino e invidioso della tecnica trionfante, un trauma per la metafisica (L’uomo è antiquato. Considerazioni sull’anima nell’epoca della seconda rivoluzione industriale, traduzione Laura Dallapiccola, Bollati Boringhieri, 2003). L’autore, per così dire, di quel trauma è J. Robert Oppenheimer (1904 - 1967), lo scienziato della scelta cruciale nel conflitto degli USA e degli Alleati contro l’Asse Roma-Berlino-Tokyo. «Whom bomb? We bomb you!», poeterà il beat Allen Ginsberg nell’irriverente Ode plutonia.

A sua volta figlio di un ebreo tedesco emigrato oltre Atlantico a fine ‘800, Oppenheimer è uno dei fisici più importanti d’America insieme a Albert Einstein e a Enrico Fermi, giganti europei in fuga dal nazifascismo, entrambi premiati con il Nobel e parimenti precursori dell’atomica con i loro studi ed esperimenti. Tuttavia, l’onore o l’onta resta in capo al tormentato Robert, che, dopo Hiroshima e Nagasaki, sentenzia: «I fisici hanno conosciuto il peccato». È lui infatti il direttore del progetto Manhattan sviluppato nei laboratori di Los Alamos in New Mexico tra il 1943 e il ‘45; lui il vincitore nella corsa contro il tempo per evitare che Hitler imbrocchi l’obiettivo nucleare (in proposito, è da leggere il sapido La Brigata dei bastardi. La vera storia degli scienziati e delle spie che sabotarono la bomba atomica nazista di Sam Kean, traduzione Luigi Civalleri, Adelphi, 2022). Non mancheranno, dunque, i riconoscimenti e la gloria tributati dallo Zio Sam. La musica cambia però con l’inizio della Guerra fredda, quando Oppenheimer viene sottoposto a un’inchiesta di stampo maccartista per la sua tenace opposizione alla bomba H, una sorta di processo-farsa nel quale è chiamato a rispondere pure delle giovanili simpatie filocomuniste (dovute in parte a legami sentimentali).

Ora una sorta di paradossale «ricomposizione» della ferita tra fisica e metafisica s’invera grazie al film Oppenheimer del regista britannico Christopher Nolan (tra i suoi titoli di successo, la trilogia di Batman, Inception, Interstellar, Dunkirk). Dopo i trionfi al botteghino nel corso degli ultimi mesi, Oppenheimer si è appena aggiudicato cinque Golden Globe, tra cui quelli per il miglior film drammatico, la miglior regia e il miglior attore grazie allo strepitoso Cillian Murphy. Un viatico per le imminenti nomination agli Oscar.

Del resto, il cinema si attaglia alla rivisitazione del passato perché riflette la natura rapsodica e non lineare con cui si possono rivelare certi snodi della Storia. 

Il cinema, scrisse il filosofo francese Gilles Deleuze partendo dall’analisi dei film di Hitchcock, procede per «smarcature», cioè per immagini «strappate alle loro relazioni naturali». È un paradigma che lampeggia nel caleidoscopio di Nolan: materia e antimateria, genio e inquietudine, eros e ribellione, sfida e frustrazione, nonché scene in bianco e nero e colori vivacissimi per restituire le percezioni o gli incubi del protagonista… «Sia l’uomo di scienza che l’uomo di azione vivono sempre al margine del mistero, circondati dal mistero», sostiene Oppenheimer. Figurarsi l’uomo di cinema, aggiungerebbe Nolan.

Credits Copertina: mymovies