01.05.2023 Vincenzo Pisani

Perché la vera partita delle Big Tech si sta giocando sotto gli oceani

Il 99% degli scambi di dati globali transita attraverso i cavi che corrono lungo i fondali marini e oceanici. 

La rete attuale - che si ramifica per oltre 1,3 milioni di chilometri e conta, a maggio 2023, di 426 cavi - è l’infrastruttura al cuore della comunicazione globale, del funzionamento dei servizi finanziari e dell’informazione. Per comprenderne la portata, basti pensare che solo l’1% del funzionamento della rete internet si affida ai satelliti. Non stupisce dunque notare come la vera sfida tra le grandi e medie potenze si giochi molto più nella dimensione subacquea di quanto non accada nello Spazio.

In questo settore, sono gli Stati Uniti, destinatari dell’80% dei flussi Internet attraverso i loro data center, a dominare il mercato. Oltre a ciò, 10 dei 13 server root che ordinano la navigazione in Internet si trovano sul suolo statunitense. Infine, sono americani i primi quattro attori provati che stanno investendo nello sviluppo della rete dei cavi sottomarini. Si tratta del quintetto GAFAM, Google, Apple, Facebook (oggi Meta), Amazon, Microsoft: le cinque Big Tech la cui quota di mercato ha ora superato il 50%.

Se per lungo tempo la costruzione dei cavi prevedeva la costituzione di consorzi che includevano le maggiori compagnie di telecomunicazione e coinvolgevano aziende specializzate nella produzione, nell’installazione e nel mantenimento dei cordoni, oggi i content provider come le GAFAM possono contare su mezzi e competenze per soddisfare autonomamente le proprie esigenze. La sola Google possiede e ha investito in una rete esclusiva di circa 20 cavi (tra cui il cavo Dunant, che collega gli Stati Uniti alla Francia) con una estensione di circa 16.000 Km.

Tuttavia, Washington non è destinata a restare a lungo la sola potenza al comando. La Cina sta sviluppando il suo progetto di via della seta digitale, in particolare attraverso l’azienda Huawei, uno dei più importanti posatori di cavi al mondo. Ciò, nonostante il duro colpo subito nel 2019 con l’embargo promosso dall’allore presidente Donald Trump, che bloccava l’intervento dell’azienda di Pechino per la posa di un cavo tra New York e Londra.

Dietro a tale competizione si gioca una partita ancora più ampia. I dati sopramenzionati rendono evidente come il controllo dei cavi significhi de facto il presidio sula maggiore infrastruttura in cui avviene l’attuale flusso delle informazioni. 

La superiorità strategica in questo settore può dunque diventare l’accesso al dominio sul cyberspazio.

Dopo terra, mare, cielo e spazio extra- atmosferico, il dominio cibernetico e quello subacqueo rappresentano dunque le nuove dimensioni della sfida geostrategica globale. In questo scenario, l’Europa rischia di trovarsi ai margini dell’agone tra Washington e Pechino, subendo piuttosto che partecipando alla corsa tecnologica e geopolitica in atto tra le superpotenze.

Tuttavia, l’Europa sta cercando di trovare una propria via verso l’autonomia strategica, accelerando i processi di transizione ecologica e digitale. Del resto, il nostro Continente ricopre un ruolo fondamentale, ospitando le FLAP Countries (Francoforte, Londra, Amsterdam e Parigi) – le sedi dei maggiori hub di data center in Europa, che rappresentano più del 50% del traffico dati nei Paesi EMEA (Europe, Middle East and Africa) - e trovandosi al centro dei nuovi corridoi digitali, legati a molti progetti di cavi sottomarini che collegheranno l’Europa alle aree a maggiore trasformazione digitale, come Africa e India.

Una posizione geografica e geopolitica che vede il nostro Paese giocare un ruolo di primo piano. Ne sono prova i lavori in corso per l’approdo del Blue Med che, con 400 Terabit/s di capacità complessiva, collegherà l’Italia entro la fine del 2023 con molti Paesi mediterranei, tra cui Israele, Grecia e Francia. Un’altra iniziativa in cui Roma figura tra i maggiori protagonisti, è il progetto Medusa: un cavo ad alta capacità in grado di collegare cinque Paesi UE del Mediterraneo con altri quattro del vicinato meridionale: Algeria, Egitto, Marocco e Tunisia. Per questo progetto, la Commissione Europea ha concluso un accordo con la Banca europea per gli investimenti (Bei) che prevede l’erogazione di 40 milioni di euro a sostegno dell’iniziativa.

Infine, va la pena ricordare l’hub integrato di Genova e Savona dove, oltre ai cavi esistenti, è approdato nell’aprile del 2022 il cavo 2Africa. Un progetto che, tuttavia, ci riporta al punto di partenza. Con i suoi 45 mila chilometri (più della circonferenza della Terra) 2Africa è il cavo sottomarino più lungo del mondo. Se la sua posa è stata affidata alla francese Alcatel Submarine Networks (ASN) - uno dei quattro produttori del settore insieme alla giapponese NEC, all’americana SubCom e alla cinese Hengtong, l’idea e la progettazione di 2Africa appartengono a Meta, la società madre di Facebook, Messenger, Instagram e WhatsApp: genesi che riconduce dunque al quintetto delle GAFAM.

In conclusione, le Big Tech statunitensi - a volte direttamente proprietarie, in altri casi attori di primo piano nell’ambito consorzi internazionali – rappresentano a tutti gli effetti l’elefante nella stanza nel campo delle infrastrutture subacquee per la comunicazione globale. 

Una posizione che potrebbe lasciare di fatto ad un oligopolio le decisioni ultime su una delle materie più sensibili del nostro presente: il controllo dell’informazione, dei dati, della conoscenza.