17.11.2022 Anna Giurickovic Dato

Quando il bullo incontra il cyberspazio

Con il termine cyberbullismo non si intende indicare soltanto lo spostamento di un fenomeno tradizionale (il bullismo) dallo spazio fisico allo spazio online, ma anche definire la cornice tecnica e giuridica di una varietà di comportamenti aggressivi, denigratori, ricattatori, ingiuriosi che hanno in comune una serie di peculiarità.

L’anonimato del cyberbullo; l’impossibilità di osservare le reazioni della vittima e di misurare le conseguenze delle proprie azioni; l’accessibilità, anche economica, dei media digitali e la trasversalità di un comportamento che prescinde dal contesto sociale di provenienza (basta essere “connessi”); la spietata risonanza e la pervasività delle tecnologie usate che possono facilmente condurre a una persecuzione mediatica.

L’art. 1 della legge 71/2017 definisce il cyberbullismo come “qualunque forma di pressione, aggressione, molestia, ricatto, ingiuria, denigrazione, diffamazione, furto d’identità, alterazione, acquisizione illecita, manipolazione, trattamento illecito di dati personali in danno di minorenni, realizzata per via telematica, nonché la diffusione di contenuti online aventi a oggetto anche uno o più componenti della famiglia del minore il cui scopo intenzionale e predominante sia quello di isolare un minore o un gruppo di minori ponendo in atto un serio abuso, un attacco dannoso o la loro messa in ridicolo”.

Si tratta di una formula molto ampia che comprende una serie di azioni violente realizzate per mezzo di strumenti elettronici con l’obiettivo di provocare danno a un minore.

Per indicare le manifestazioni del cyberbullismo, così molteplici e varie, si sta affermando un nuovo lessico specifico. Nel gergo “cyberbullistico” si parla, infatti, di: cyberstalking (persecuzione per via informatica), cyberbashing (pubblicazione di video che riprendono aggressioni fisiche), denigration (denigrare una persona sul web al fine di danneggiarla pubblicamente), doxing (diffusione su internet dei dati personali di una persona), exclusion (emarginazione deliberata di una persona da un gruppo online), exposure (rivelazione di informazioni private imbarazzanti), flaming (pubblicazione online di insulti e messaggi deliberatamente ostili), harassment (molestie o stupri virtuali, per esempio attraverso l’utilizzo in rete di fotografie rubate o attraverso la pubblicazione di commenti osceni) impersonation o identity theft (assunzione dell’identità di un’altra persona al fine di spedire messaggi o pubblicare testi dai contenuti discutibili), sexting (invio di testi, immagini o video a sfondo sessuale), trickery (pubblicazione o condivisione di informazioni confidate da persone la cui fiducia è stata ottenuta con l’inganno).

Al di là del ricco glossario dedicato al fenomeno e nonostante esista una definizione giuridica di cyberbullismo, questo non sempre è considerato penalmente rilevante. Il cyber-bullo è infatti penalmente perseguibile soltanto qualora il suo comportamento integri una delle fattispecie di reato previste dal Codice penale o da altre norme (come dal Codice in materia di protezione dei dati personali): istigazione al suicidio, percosse, lesioni, rissa, diffamazione, violenza sessuale, minaccia, stalking, interferenze illecite nella vita privata, furto, estorsione, danneggiamento, sostituzione di persona, frode informatica, ecc. Così: denigration, flaming e impersonation potranno integrare il reato di diffamazione, ma anche quello di minaccia; il cyberstalking potrebbe integrare il reato di atti persecutori o semplicemente una contravvenzione di molestie, a seconda della gravità del comportamento posto in essere; il cyberbashing potrà essere punito, a seconda dei casi e della gravità, come reato di percosse, di lesioni o omicidio preterintenzionale; l’harassment potrà integrare fattispecie meno gravi (le molestie) o ben più gravi (l’istigazione al suicidio); e il doxing, soltanto qualora comporti un profitto per il cyber-bullo (non basta quindi che il comportamento sia posto in essere al solo fine di umiliare la vittima), potrà essere punito per il trattamento illecito di dati personali.

Oltre a poter rilevare sotto il profilo penale, i comportamenti del cyberbullo possono tradursi in una violazione del diritto privato, sostanziandosi in un illecito civile. 

La vittima, solo una volta tentata la via della mediazione obbligatoria, potrà quindi chiedere il risarcimento del danno ingiusto subito (danno che può essere, oltre che economico, anche biologico, morale e esistenziale).

Spesso, in concreto, è difficile arrivare a punire il cyberbullo prima che il suo atto produca gravi conseguenze. Inoltre, gli autori dei reati riconducibili al bullismo informatico sono spesso minorenni, circostanza che rende il fenomeno particolarmente delicato. Per tali ragioni, la legge 71/2017 persegue finalità formative e educative, puntando sulla prevenzione piuttosto che sulla punizione. Tra i soggetti cui sono attribuite funzioni di contrasto al cyberbullismo e responsabilità, un ruolo centrale è occupato dalla scuola: si punta sulla formazione del personale scolastico, sulla previsione di misure di sostegno e rieducazione dei minori coinvolti e sulla promozione di un ruolo attivo degli studenti. La scuola è tenuta, inoltre, a individuare un docente responsabile per il cyberbullismo ed è previsto un obbligo di denuncia da parte dei dirigenti scolastici che vengano a conoscenza di atti di cyberbullismo (i quali, in caso contrario, rischiano di commettere reato di “omessa denuncia”).

Tra gli strumenti repressivi più efficaci previsti dalla legge vi è la possibilità che la vittima di cyberbullismo ottenga (chiedendolo da sola, se maggiore di quattordici anni, o attraverso i propri genitori) che il gestore del sito internet o del social network oscuri, rimuova o blocchi i contenuti diffusi in rete. Qualora il soggetto responsabile non provveda entro quarantotto ore, la richiesta potrà essere inoltrata all’Autorità garante per la privacy, la quale potrà intervenire direttamente.
D’altra parte, il Digital Service Act – ovvero il nuovo regolamento europeo sui servizi digitali, approvato il 5 luglio 2022 – pur non occupandosi esplicitamente di cyberbullismo, tra le tutele generali prevede sia la possibilità degli utenti di contestare moderazioni non efficaci da parte delle piattaforme online, sia la possibilità delle autorità nazionali di intervenire tempestivamente in caso di inerzia dei gestori.

 

Credits Copertina: Nahel Abdul Hadi su Unsplash