18.11.2022 Ginevra Leganza

Umani e umanoidi. I nuovi robot

Cosa vuol dire robot?
Amiamo e odiamo i robot, noi che siamo umani. Li amiamo e odiamo come fossero nostri parenti. Troppo simili ma incolmabilmente distanti. Anche se di poco. 

La figura del robot mescola e sovrappone – con accenni di fantascienza – l’elemento umano a quello tecnologico. Il robot è impiegato da decenni – oltre che in romanzi e pellicole di successo – nel mondo reale dell’industria e della produzione. E un sogno non troppo latente sembra riguardare il suo ingresso nella quotidianità: il suo rapporto diretto con l’uomo, la sua capacità di empatizzare e di sganciarsi dalla fredda immagine di una macchina… Ebbene, prima di figurarci il factotum umanoide, facciamo un passo indietro. Per comprendere come le sue funzioni si configurino nel presente e nel futuro, riavvolgiamo il nastro sulle radici bibliografiche ed etimologiche. 
Il termine robot è di origine ceca e ha appena cent’anni di età. Nel 1920 lo scrittore Karel Čapek aveva chiamato così gli automi che, nei panni di operai in carne e ossa, lavoravano nelle fabbriche del suo romanzo R.U.R.. Robota, in ceco, è infatti il verbo che designa il concetto di “lavoro servile”. Ed è questo un tema che, al di là delle proiezioni filmiche e letterarie, ha corrisposto in buona parte al ruolo svolto dal robot. Almeno sinora. Perché, a ben vedere, l’androide – l’aiutante tecnologico dalle fattezze umane – è stato protagonista più di libere associazioni mentali che di una realtà concreta… Ma ecco che oggi aspirazioni e progetti cambiano veste agli scenari futuri.

Umanoidi e animali artificiali. Il bestiario dei nuovi robot
Proprio in questi ultimi mesi Elon Musk presenta il progetto di un robot umanoide: Optimus. Il miliardario che ama plasmare il futuro coi sogni della fantascienza renderà pubblico l’automa – in forma di prototipo – entro il 2022. Tesla, imponendo l’antropomorfismo alla macchina, intende comunque conformare quest’ultima alla sua originaria funzione di lavoratrice servile: gli androidi eseguiranno i compiti faticosi che compongono la quotidianità di un uomo comune. “Lo abbiamo progettato con la stessa disciplina che usiamo nella progettazione dell’auto”, sostiene il Ceo dei Ceo, “vale a dire in modo tale che sia possibile un robot ad alti livelli, a basso costo, e con una grande responsabilità”. 


Ma di robot che non fossero meri operai, il mondo aveva già preso nota. La foca-robot Paro, progettata in Giappone dall’ingegnere Takanori Shibata, è utilizzata negli ospedali e nelle case di cura dell’estremo oriente. 

Così la popolazione più vecchia al mondo sperimenta con la macchina un rapporto che rasenta l’affettività. Il robot in questione, che ha i connotati di un animale, è stato in grado di attutire il senso d’ansia provato dagli anziani in contesti lontani dalla propria dimora. 
E sempre a proposito di animali, è piuttosto curioso che la Boston Dynamics, la principale azienda di robotica al mondo, abbia da poco messo in commercio – dopo 28 anni di ricerca – il suo primo cane robot. Spot – questo il suo nome – è ora in vendita per 66.000 euro, ed è pensato per applicazioni industriali.

Il perturbante fra uomini e macchine
Dagli animali agli umanoidi, tutto lascia pensare che dietro l’androide si celi una potente illusione: quella di insufflare l’anima in un congegno tecnologico. E di ritrovare così – nella più rosea delle prospettive – un assistente che anche sia amico. O addirittura psicologo. 
Accantonando i sogni ancestrali dell’uomo-creatore, che pure orientano e determinano il progresso tecnico-scientifico, resta viva una domanda… Davvero si preferisce interagire con delle figure antropomorfe, con delle macchine che ci somigliano? L’umanoide sembra ricordare la categoria del perturbante della psicoanalisi freudiana. Ovvero quel senso controverso di spaesamento e famigliarità che destano gli oggetti vicini, a noi somiglianti, ma che a causa di questa stessa somiglianza ci intimoriscono. E magari per questa stessa ragione rendono obbligato il passaggio intermedio del robot-animale, che mano a mano spiani la strada all’androide. 
In uno studio realizzato nel 2019 quattro ricercatori rilevano come le persone – per paradosso – considerino più spaesanti e meno umani i robot dalle attitudini antropomorfe. E ancora indietro nel tempo – secondo analogo criterio – nel 1970 fu formulata l’ipotesi dell’uncanny valley: la valle perturbante che si riscontra nel punto in cui all’estremo realismo dei robot consegue la reazione negativa dell’uomo vero. Il quale, dopo un primo moto di attrazione, vive inquietudini e repulsioni. 
Chissà che la ricerca e il mercato non spingano proprio verso lo straniamento. Magari per tenere acceso l’interesse. Per animare curiosità e fantasia di un’utenza sempre più vasta. Un’utenza di umani che amano e odiano il fratello robot. Ma sono forse inesorabilmente destinati, nel quotidiano, a mescolarsi con lui.

 

Credits Copertina: Jason Leung su Unsplash