08.11.2023 Massimo Falcioni

Emergenza caldo, 2023. Anche Papa Francesco alla Cop28 di Dubai sul clima

“Che afa fa” era il refrain negli anni ‘60 di Charlie Brown, il personaggio principale della striscia a fumetti Peanuts di Charles M. Schulz. 

E che direbbe oggi, lo stesso Pierino, con le temperature medie mondiali che nei tre mesi estivi di giugno, luglio, agosto 2023 sono state le più elevate mai registrate dai servizi meteo, con ottobre il più caldo di sempre? Ad annunciarlo l’osservatorio europeo Copernicus (C3s) secondo cui il 2023 sarà (il “probabilmente” è d’obbligo…) l’anno più caldo della storia, superando “quasi certamente” il record annuale del 2016. Parole preoccupanti, basate sui dati.

Secondo Copernicus, il mese scorso, con una media di 15,38 gradi sulla superficie terrestre, ha superato di 0,4 gradi il precedente record di ottobre 2019. L’anomalia è «eccezionale» per le temperature globali. Quello del 2023 è stato di «1,7 gradi più caldo della media degli ottobre del periodo tra il 1850 e il 1900», prima dell’effetto delle emissioni di gas serra dell’umanità, aggiunge l’osservatorio Ue per il clima. Da gennaio la temperatura media è stata la più calda mai misurata nei primi dieci mesi dell’anno. "Tenuto conto del calore in eccesso sulla superficie degli oceani, è probabile che il 2023 sarà l'anno più caldo (...) che l'umanità abbia mai conosciuto.

La sensazione di necessità urgente di intraprendere un’azione ambiziosa sul clima in vista della Cop28 non è mai stata così forte", ha dichiarato Samantha Burgess, vice responsabile del servizio per i cambiamenti climatici (C3S) di Copernicus. Il segretario generale delle Nazioni Unite Antonio Guterres aveva avvertito che il clima sta collassando: "il nostro pianeta ha appena sopportato una stagione bollente: l'estate più calda mai registrata. Il collasso climatico è iniziato. Siamo sulla strada verso l’inferno climatico e con il piede sull’acceleratore". E, di rincalzo, il climatologo e divulgatore scientifico Luca Marelli: “Gli eventi meteorologici estremi che hanno scandito quest’estate hanno ormai dato una misura eloquente dell’incidenza raggiunta dai mutamenti climatici. L’aumento dei fenomeni estremi era stato predetto da più di 30 anni fa da tutti gli studi sul riscaldamento globale di cui disponiamo. Il punto è che tendiamo a dimenticarci, ci si sorprende sull’onda emotiva delle cronache ma poi quando ci sono intervalli di tempo più o meno normali ci dimentichiamo di tutto. A impressionare è la frequenza inaudita di questi fenomeni: da fasi di grave siccità a grandi alluvioni.

A spiccare è stata la canicola più tardiva nella storia della nostra climatologia”. C’è, insomma, un “carattere d’urgenza” se ancora si vuole fermare quella che per molti è una “catastrofe annunciata”. Sotto accusa è il modo di affrontare l’emergenza climatica. Si può fare meglio e di più per ridurre la formazione e l’impatto delle emissioni? Sì, anche se non è facile perché, non solo in Italia, c’è la polarizzazione tra fazioni agguerrite (è stato così anche sul Covid ed è così sulle guerre in corso), c’è il braccio di ferro tra apocalittici e “climafreghisti”, tra chi vede già vicina la fine del mondo e chi fa spallucce, chiudendosi nel solito refrain: “questi fenomeni ci sono sempre stati”. Serve un approccio pragmatico e realista, non ideologico o propagandista. Serve razionalità e serenità di analisi. Non serve “buttarla in politica”. Sull’emergenza climatica, affermata o negata, ci sono interessi mediatici, politici, economici nazionali e internazionali. Non è questione nazionale, tanto meno locale, anche se molto si può fare e si deve fare per una maggiore tutela dei territori, come dimostrano anche i recenti devastanti effetti climatici in Toscana. C’è attesa per la Cop 28 (197 Paesi più l’Ue firmatari della Convenzione quadro sui cambiamenti climatici), la 28esima conferenza sul clima delle Nazioni Unite in programma a Dubai dal 30 novembre al 12 dicembre dove, con Capi di Stato e ministri dell’ambiente, è annunciata anche la presenza straordinaria di Papa Francesco.

Alla Cop28 di Dubai il tema cruciale della discussione riguarda un possibile accordo sull’eliminazione graduale dei combustibili fossili basandosi sul fatto che l’uso dell’energia derivata dai combustibili fossili rappresenta circa i due terzi delle emissioni globali. Ciò rende non realizzabile l’obiettivo di limitare il riscaldamento globale a 1,5 gradi. Ma fra i Paesi c’è divisione: c’è chi alla Cop28 punterà a un accordo che elimini gradualmente la combustione fossile legata all’utilizzo di carbone, petrolio e gas naturale che producono i gas serra e rappresentano la principale causa del cambiamento climatico e chi, la maggioranza degli Stati che “contano”, insisterà nel preservare un ruolo per i combustibili fossili. 

Si vedrà. Servono fatti, soluzioni internazionali. Vista l’aria che tira, con il rombo dei cannoni e il sibilare dei missili, con distruzioni ed eccidi, l’unica certezza è quella del “dovere del dubbio”.