Tutta d'Intelligenza Artificiale la decima sinfonia nel 250° di Beethoven

L’esperimento: un’Intelligenza Artificiale ha completato la sinfonia numero 10 di Ludwig van Beethoven, sulla base degli schizzi che il compositore ha lasciato. La prima è a Bonn è prevista per il 28 aprile. L’idea non piace a tutti.

Di Regina Krieger

18 marzo 2020

Il Beethovenhaus di Bonn, la casa natale del compositore, conserva tra i suoi originali un foglio di sua mano del 1822. In basso, sotto a un’altra composizione, ci sono degli schizzi. Il compositore è parsimonioso e la carta da musica è costosa ai suoi tempi a Vienna, quindi la usa più volte. Sono poche battute, sono le sue prime idee per la decima sinfonia.

Questa decima sinfonia non fu mai finita. Beethoven in quegli anni dopo il 1822 compose la Missa Solemnis e tre sonate per pianoforte. Il 7 maggio del 1824, a Vienna, nel Theater am Kärntnertor, il pubblico salutava con entusiasmo la prima esecuzione della Nona. La sua ultima composizione risale al 1825: il quartetto per archi n. 16 in Fa maggiore. Beethoven morì il 26 marzo del 1827, aveva 56 anni.

Per i 250 anni della nascita che si festeggiano quest’anno a Bonn e a Vienna il foglio con gli schizzi è stato tirato fuori dall’archivio. E per più di un anno esperti e musicologi di vari paesi hanno lavorato a un progetto innovativo: Con l’aiuto di una Intelligenza Artificiale, battezzata “Beethoven-KI (Künstliche Intelligenz)”, la decima sinfonia è stata completata. La prima esecuzione è prevista per il 29 aprile a Bonn.

La sinfonia ha solo due movimenti, in tutto sono 25 minuti di musica che l’Intelligenza Artificiale ha “composto” su indicazione degli studiosi. “La base è un programma di riconoscimento vocale per computer”, spiega Dirk Wende della Deutsche Telekom AG, il più grande colosso di telecomunicazione in Europa con sede a Bonn. Alla Telekom hanno avuto l’idea e hanno sponsorizzato il lavoro con una somma a sei cifre.

Per far capire alla IA il lavoro da fare, Matthias Röder, direttore dell’Istituto Karajan di Salisburgo, ha messo insieme un team di cinque persone, tre esperti di computer, Mark Gotham della Cambridge University, Ahmed Elgammal della Rutgers University e Nikolai Böhlefeld di Salisburgo, e due esperti di musica, il compositore di musica di film Walter Werzowa di Hollywood e il pianista Robert Levin, emerito di Harvard, che in passato aveva lavorato sulla “integrazione” del Requiem e della Messa in Do minore di Mozart.

Loro come primo passo hanno sviluppato un algoritmo e poi hanno nutrito l’IA di musica: le altre sinfonie di Beethoven, composizioni di contemporanei e anche tanto Bach che Beethoven aveva studiato e stimato sin da giovane. “Beethoven conosceva a memoria il Wohltemperiertes Klavier (clavicembalo ben temperato) di Bach molto prima che Bach fu riscoperto da Mendelssohn”, spiega il musicologo Giorgio Pestelli. “Non aveva la precocità di un Mozart, ma aveva già in età giovane il dono di trasportare ogni pezzo di Bach da una tonalità all’altra.”


I primi risultati erano abbastanza deludenti. “Dovevamo insegnare al programma ogni passo, come a uno studente, e dovevamo decidere noi che musica metterci dentro, definire i criteri per l’IA”, spiega Röder. Sulla base di questi dati la macchina “componeva”. Poi Röder e gli altri dovevano scegliere tra le proposte che il programma gli proponeva.

Le prime battute scritte dall’IA furono pubblicate nell’estate del 2019, suonate non da un’orchestra, ma da un’armonica di calici e ricordavano più una melodia sintetica della pubblicità che Beethoven - noiosamente ripetitivo, pieno di sincopi, come quando un musicista pop usa un pianoforte elettronico con i programmi automatici di accompagnamento. “Sembrava piuttosto Strawinsky che Beethoven”, ammette Röder. Il motivo è semplice: l’IA non conosce le regole dell’armonia. Ma anche se queste vengono messe dentro, la macchina li usa, però non è in grado di inventare delle fratture – ciò che rende una composizione unica. Tutto rimane calcolabile e noioso, una eterna ripetizione.

Non solo. “Non sono molto convinto dell’iniziativa”, dice Bernhard Hartmann, musicologo e critico musicale a Bonn. “Non perché sono purista, ma qui non potrà mai uscire fuori una sinfonia di Beethoven. Ogni sua sinfonia era una cosa completamente nuova per la storia della musica, una cosa mai sentita prima.” Sarà molto difficile per lui giudicare il concerto del 29 aprile. Come lui la pensano la maggior parte degli specialisti. “Sono molto perplesso, per me non ha molto senso”, dice il musicologo Pestelli. “Non si può creare sulla base di frasi isolate e staccate. Non si può ricostruire la sua personalità”, dice. “Un’opera d’arte è un’esperienza individuale e non dipende da note e pause che possono essere sviluppate da altre persone.” Oppure di una IA.

“Bisogna rispettare come sono andate le cose”, dice, “Beethoven ha creato con ogni composizione un oggetto musicale unico, che solo lui aveva in mente”, spiega, “il senso della sua musica sta in quello che lui ha voluto dire”. E secondo l’esperto torinese non si può ricostruire la personalità del compositore sulla base di frammenti staccate.

Il CEO di Telekom Tim Hoettges, parla durante una presentazione di una parte della decima sinfonia di Beethoven presso la sede di Telekom a Bonn, Germania, il 13 dicembre 2019. Foto Credits: AFP / Ina Fassbender

A Bonn gli ideatori si difendono dalle numerose critiche degli esperti di musica classica e studiosi di Beethoven. “Certamente il genio Ludwig van Beethoven rimane unico e con questo progetto non lo mettiamo in dubbio”, dichiara il CEO della Telekom, Timotheus Höttges. “Vogliamo dimostrare come la collaborazione tra intelligenza umana e artificiale può mettere ali alla nostra fantasia.”

“Beethoven amava novità di ogni tipo, gli piaceva provare cose nuove e faceva molti sperimenti”, aggiunge Röder, il padre dell’IA. “Credo che avrebbe trovato l’idea della collaborazione di uomo e macchina molto eccitante.” Lo contraddice il musicologo Pestelli: “Qui siamo fuori della creatività di Beethoven, della sua originalità e per il pubblico non viene aggiunto niente.”

A pensarci bene l’IA fa qualcosa di diverso, ma non di veramente nuovo. E, come dice il critico Hartmann, è “un modo di presa sul pubblico per presentare le possibilità dell’intelligenza artificiale, una specie di pubblicità.” Dirk Wende della Telekom lo conferma. “Vogliamo scoprire fino a che punto siamo oggi con l’Intelligenza Artificiale e come si può procedere tra uomo e macchina”, spiega.

Una statua di Beethoven dell'artista tedesco Ottmar Hoerl si trova di fronte a un pianoforte durante la presentazione di una parte del completamento della decima sinfonia di Beethoven realizzata usando l'intelligenza artificiale presso la sede di Telekom a Bonn, Germania, il 13 dicembre 2019. AFP / Ina Fassbender

Che cosa prevale? Ricerca e futuro contro genialità ed eredità classica? Paul Lukowicz, il direttore scientifico del Centro di ricerca di Intelligenza Artificiale (DFKI) di Kaiserslautern, analizza l’impresa dal punto di vista scientifico. “Una IA, con tanto sforzo, è in grado di trovare uno schema, una matrice, che è caratteristica per la musica di Beethoven”, spiega. Si tratta di deep learning”. Ciò che però sorprende Lukowicz in questo caso “è il fatto che si possono generare formule matematiche che ingannano chi ascolta”. Secondo lui la musica generata sarà difficilmente da distinguere dall’originale.

Lukowicz ammette che bisogna sempre tener conto del fatto che una IA può soltanto applicare procedure matematiche complesse su date complesse. “Non ha niente da fare con la creatività umana”, dice. A Bonn ammettono che una IA non può mai avere l’empatia di Beethoven.

E qui si torna al genio di Beethoven. Che cosa poteva venire dopo la Nona sinfonia, questi 70 minuti di musica che hanno cambiato la storia della musica, come dice il direttore estone Paavo Järvi? Questo culmine della sua produttività come dice l’esperto Pestelli? La sinfonia era una novità assoluta, per la prima volta con un coro all’interno di una sinfonia e con il messaggio che tutti gli uomini devono diventare fratelli, le parole di Friedrich Schiller. Claude Débussy diceva nel 1901 che la Nona è paragonabile alla Gioconda di Leonardo. Pieno di fascino e pieno di segreti.


“Bisogna sentire tutto il ciclo delle sinfonie e percepirli nel loro insieme, non basta solo l’ascolto della Nona o la Quinta”, dice il direttore Järvi che ha inciso con la Kammerphilharmonie di Brema tutte sinfonie di Beethoven con dei tempi nuovi – un lavoro straordinario. “Non esiste il progresso logico nelle sinfonie“, dice, “ma esiste una logica interna, la sua, che non è facile da capire”.

Il maestro Järvi cerca di spiegare: dopo la Terza, “l’Eroica“, tutto il mondo avrebbe aspettato come passo successivo una nuova cosa straordinaria. Però la Quarta è molto simile alle Seconda. “È come se avesse fatto due passi indietro dopo il grande successo della Terza.” Dopo invece arriva un‘enigma con la Quinta “con la quale fa dieci passi in avanti rispetto all’Eroica” come la definisce Järvi. La Sesta poi è una Pastorale, “come una passeggiata nel parco”. La Settima è una sinfonia da ballo, l’Ottava un grande scherzo, divertente.

Frontespizio delle Sinfonie di Beethoven dal Gesamtausgabe

Quanto è realistico pensare che Beethoven voleva comporre e finire la sua decima sinfonia? Aveva il tempo e le idee sufficienti in questo periodo della sua vita che già stava male? Molti storici e biografi dicono che concentrava tutte le sue energie negli ultimi quartetti d’archi.

Secondo il musicologo Pestelli esiste un altro motivo ben preciso perché esistono solo degli schizzi della Decima. Beethoven era completamente sordo dal 1818. Per comunicare con il mondo si portava appresso già dal 1815 dei quaderni di conversazione dove scriveva i suoi pensieri e le dimostrava alle persone intorno a lui. “Ma Beethoven si portava dietro anche dei quaderni di lavoro, per la composizione, ed ha lasciato una quantità di schizzi”, spiega Pestelli. “Erano idee buttate giù durante le passeggiate nel bosco, ma non li ha mai utilizzati, così come gli schizzi per la Decima.”

Comporre una decima sinfonia è un problema per sé nella storia della musica. Bruckner, Schubert e Dvorák non ci sono arrivati. Gustav Mahler ha scritto ed orchestrato solo un primo movimento della sua Decima. Lui era superstizioso, scrivono i biografi, e temeva che dovesse morire dopo la Nona. Infatti la Nona era la sua ultima opera, morì nel 1911.

Nel 1912 Arnold Schönberg tenne un discorso per commemorare Mahler. “La Nona è un confine. Chi lo vuole superare deve allontanarsi”, disse. “Ci sembra che con una Decima ci si può raggiungere un messaggio per il quale non siamo ancora pronti, maturi. Quelli che hanno composto una Nona erano troppo vicini all’al di là. Forse gli enigmi di questo mondo sarebbero risolti se uno di quelli che li conoscono, avrebbe scritto una decima sinfonia.”

Questo sicuramente vale anche per Beethoven.