La storia della matematica è fatta di grandi intelletti solitari, ma anche di gruppi, reti e istituzioni che nel corso del tempo hanno raccolto questi intelletti e ne hanno in qualche modo guidato, organizzato il lavoro. Pensando a simili istituzioni, l’immaginazione corre quasi naturalmente ai paesaggi di Oxford, Princeton, Gottinga, Parigi, Mosca: ma c’è stato un tempo, a cavallo fra il XIX e il XX Secolo, in cui lo sfondo dell’azione nella matematica superiore era siciliano, quando il grande teorico dei numeri tedesco Landau definiva Palermo “il centro del mondo matematico” (1914).
C’è, nello spirito siciliano, un delicato amore per l’incompiuto, che non si manifesta solo nei piloni monchi di autostrade mai costruite, ma (e in forma ben più nobile) nella capacità di tracciare vie nuove per la cultura e poi di lasciarle perdere: altri, dotati di più forte volontà e ingegno, percorreranno quelle vie fino in fondo e ne avranno meritata gloria. All’isola rimane, ogni volta, il ricordo di una fioritura straordinaria ed effimera, a nutrire il mito (o la fandonia) della sua eccezionalità.
Palermo in particolare ha conosciuto diverse di queste primavere memorabili, la più famosa delle quali rimanda all’epoca di Federico II di Svevia e della prima scuola poetica in volgare italiano, quella di Giacomo da Lentini, Cielo d’Alcamo e Pier delle Vigne. Gli elementi ci sono tutti: cosmopolitismo, anticipazione fulminante di strutture dell’Europa futura, rapporti tesi col resto d’Italia, e l’invenzione di una tradizione letteraria destinata ad essere ripresa e mille volte amplificata dai toscani nel secolo successivo.
La matematica non è poesia, ma ha in comune con essa alcune caratteristiche: il matematico spesso è mosso da motivazioni estetiche, compone opere che possono necessitare di molti anni per dispiegare compiutamente la loro influenza, lavora tipicamente da solo ma ha bisogno di confrontarsi con altri esperti, e il suo rapporto coi “colleghi” è improntato a un miscuglio di competizione e collaborazione a volte difficile da districare. Per questo, nei secoli i matematici hanno redatto lunghi epistolari e hanno formato numerosi cenacoli, a volte protetti da potenti mecenati - proprio come fanno i poeti.
Nell’epoca di cui parliamo, Palermo vive all’ombra delle sue alte palme l’ennesima primavera: i commerci sono vivaci nell’era dei Florio e dei Whitaker, l’Unità d’Italia (fortuna o sciagura della Sicilia, secondo lo storico che si consulti) sottrae al capoluogo isolano importanza politica ma non economica, il raffinato Teatro Politeama e gli eccentrici villini di quella che ora si chiama via Libertà dànno alla città una fisionomia moderna ed europea.
L’Università cittadina ospita studiosi di valore in varie discipline, ma, se si vuole studiare matematica al più alto livello, bisogna andare “in continente”: è la scelta del giovane Giovanni Battista Guccia, discendente di marchesi e avviato a studi di ingegneria, che intorno al 1875 si trasferisce a Roma per imparare la geometria dal celebre Professor Cremona. Benché autore di alcuni lavori pregevoli sulle superfici algebriche, Guccia non è destinato a entrare nella storia della matematica per qualche mirabolante teorema, bensì per le sue qualità di organizzatore culturale e (in un certo senso) di visionario.
Teatro Politeama Garibaldi di Palermo
Qui occorre una piccola digressione sullo stato dell’arte, la cui brevità e superficialità ci saranno (speriamo) perdonate dagli esperti.
Alla fine dell’Ottocento la matematica attraversa una delle sue stagioni più creative e complesse: principalmente su iniziativa dei tedeschi Dedekind, Weierstraß, Riemann l’analisi e la teoria dei numeri vengono rifondate come discipline assiomatiche; sempre in Germania, nasce la teoria degli insiemi a opera di Cantor; in Francia, Poincaré dà impulso alla topologia e alla fisica matematica, mentre Lebesgue e Borel gettano le basi per la moderna teoria della misura e dell’integrazione (nonché per la versione astratta del calcolo delle probabilità).
Non è facile trovare, in questo ribollire di nuove idee, una sintesi, specialmente una che sia accessibile ai non-iniziati. Proviamoci lo stesso: nell’ultimo quarto del XIX Secolo la matematica, pungolata dai problemi sempre più complessi della meccanica, dell’elettromagnetismo e della nascente fisica delle particelle, si separa dal visibile e dall’intuizione. È un divorzio doloroso, da molti accettato con riluttanza: il mondo dei concetti matematici aveva una sua confortante, platonica semplicità, che ora va rapidamente perduta.
Come s’impara al liceo, il concetto fondamentale dell’analisi matematica è quello di “funzione”, ovvero una relazione univoca che da ogni valore di una variabile indipendente fa discendere quello di un’altra variabile dipendente (la pressione di un gas come funzione della temperatura, il prezzo di una merce come funzione della domanda etc.): per secoli l’idea di funzione era stata associata a una formula esplicita, a una curva che si può disegnare su un foglio, a proprietà utili e ragionevoli come la continuità (a incrementi piccoli della variabile indipendente corrispondono incrementi comparabilmente piccoli della variabile dipendente). Alle funzioni i matematici applicano un gran numero di strumenti (operatori differenziali, integrali, trasformate di Fourier, sviluppi in serie), dando per scontato che il risultato sia sempre una funzione altrettanto regolare, ma non ci vuole molto a rendersi conto che in molti casi non è così.
Giovanni Battista Guccia
Per esempio, il “problema di Dirichlet” è un’equazione alle derivate parziali accoppiata a un vincolo (il “dato al bordo”), che ricorre in elettrostatica, termodinamica e nei fenomeni di trasporto: benché tale problema richieda, per essere formulato, l’uso di derivate parziali, in generale i suoi dati e la sua soluzione sono funzioni che non ammettono tali derivate (la soluzione arriverà negli anni ’30 a opera del fisico Dirac e degli analisti Sobolev e Schwartz, e prenderà il nome di teoria delle distribuzioni). Insomma, per inquadrare e risolvere le equazioni più interessanti bisogna ripensare il concetto stesso di “funzione” e generalizzarlo, come pure vanno generalizzate le nozioni di integrale, differenziale, misura etc.
Prende avvio, dunque, il grandioso programma di assiomatizzazione della matematica moderna che avrà in Hilbert il suo più noto e fervido sostenitore: le singole branche della matematica vengono riformulate come sistemi in cui, a partire da un nucleo di proposizioni fondamentali (gli assiomi), tutte le proposizioni secondarie (i teoremi) vengono ricavate in un numero finito di passaggi deduttivi. La prospettiva assiomatica inverte il tradizionale approccio problematico della matematica classica, e necessita di una discussione a livello mondiale: serve a poco stabilire una teoria “universale” se nell’Università accanto ne usano un’altra.
La matematica italiana a cavallo dei Secoli XIX e XX non è da meno, anche se forse più ancorata a concezioni classiche: la scuola italiana più famosa è quella di geometria, che grazie ai contributi di Enriques, Castelnuovo, Burali-Forti e del citato Cremona imprime un notevole progresso sia nel campo della geometria algebrica (in cui curve e superfici sono descritte globalmente attraverso polinomi), che in quello della geometria differenziale (in cui invece si pone l’accento sulle proprietà locali di curve e superfici quali curvatura e tangenti), senza trascurare lo sviluppo dell’elegante geometria proiettiva (una formalizzazione matematica dei punti di fuga della prospettiva pittorica, nata dall’intuizione del teorico seicentesco Desargues); nel campo dell’analisi, i teoremi di Volterra, Cesàro e Fubini sono pilastri nelle teorie delle equazioni integrali, delle serie e degli integrali multipli (che ancora si studiano nei corsi universitari dei primi anni); i lavori di Levi-Civita forniscono strumenti preziosi alla fisica moderna, dal calcolo tensoriale al “problema dei tre corpi”, e toccano temi squisitamente applicativi (come l’elettrostatica nei cavi); l’italiano forse più partecipe delle inquietudini della matematica moderna è il logico Peano, autore di un sistema di assiomi per i numeri naturali, di una delle prime teorie della misura (con Jordan), e ideatore di una “curva” mostruosa che si avvolge su se stessa fino a ricoprire interamente un quadrato!
Lontani dallo stereotipo dell’asceta assorto nella contemplazione di figure disegnate nella sabbia, i matematici italiani sono intellettuali versatili e attivi: si occupano anche di filosofia, pedagogia, linguistica, hanno spesso alle spalle studi di ingegneria e si industriano a risolvere problemi tecnici; più d’uno intraprende la carriera politica. Da quel che è dato capire dalle biografie, la maggior parte di questi studiosi condivide una mentalità positivista, idee politiche liberali o mazziniane, un diffuso anti-clericalismo (si contano fra di loro parecchi massoni), e occasionali interessi per progetti utopistici come le neo-lingue internazionali. Di diversa estrazione regionale, si concentrano nelle università del Centro e del Nord del Paese come Milano, Pisa e naturalmente Roma (anche se di lì a poco Napoli diverrà sede di una celebre scuola di analisi matematica e numerica a opera di un altro siciliano, Picone).
Questo è il panorama, o meglio questi i due panorami, in cui s’imbatte Giovanni Battista Guccia lasciando Palermo.
I matematici, s’è detto, tendono a formare dei cenacoli in cui sviluppare le loro discussioni senza l’assillo continuo della comprensibilità e dell’utilità immediata degli argomenti trattati: nel perfezionamento dei suoi studi, Guccia ha modo di entrare in contatto almeno con uno di questi club, quello animato a Parigi da Jordan (lo abbiamo nominato poco fa, è il coautore della teoria della misura con Peano). Esistono diverse società matematiche più o meno ufficiali in Inghilterra, Francia, Stati Uniti e perfino a Mosca, e naturalmente in Italia esiste da secoli l’Accademia dei Lincei, ma hanno tutte carattere nazionale: il giovane siciliano, forse influenzato dalla perenne tensione della sua terra fra provincialismo e cosmopolitismo, intuisce che il sistema delle “società” nazionali è superato, in un’epoca in cui la matematica ambisce (attraverso l’assiomatizzazione) a costituirsi in una disciplina universale con un linguaggio proprio e premesse unanimemente accettate da tutti gli studiosi del mondo.
Un’altra cosa di cui i matematici hanno bisogno sono le riviste: continuazione degli epistolari settecenteschi con altri mezzi, le riviste matematiche ospitano brevi articoli a esclusivo beneficio degli specialisti, che spesso si intitolano “Su un problema di Tizio”, “Risposta a Caio” e delineano pagina dopo pagina, formula dopo formula una conversazione a distanza che può durare anni. Ovviamente, nella seconda metà dell’Ottocento esistevano diverse importanti riviste di matematica (ricordiamo solo i solenni “Mathematische Annalen” dell’Università di Gottinga), ciascuna legata preminentemente a un’accademia nazionale o a una grande scuola.
L’intuizione di Guccia è questa: offrire ai matematici europei una società di nuova concezione, internazionale per vocazione e sostanzialmente delocalizzata (virtuale, diremmo oggi), in cui confrontarsi; e insieme un giornale dalla pubblicazione agile, relativamente informale e (perché no) tipograficamente elegante, in linea con l’estetica Liberty del tempo. Il duplice proposito si concreta nella fondazione del Circolo Matematico di Palermo, la prima società italiana di matematica (1884), e degli omonimi Rendiconti (1887), destinati a diventare nei trent’anni successivi uno dei palcoscenici principali su cui si rappresenterà la nascita della matematica moderna.
Il Circolo, ospitato da un’ala della casa di Guccia (che ne sarà il principale finanziatore fino alla morte), dispone di una ricca biblioteca, organizza riunioni quindicinali e periodici convegni, ma non è questo il pregio principale dell’associazione: grazie all’infaticabile attività organizzativa di Guccia, il Circolo diventa in breve una comunità internazionale di matematici del più alto livello, che annovera fra i propri soci quasi tutti gli studiosi citati finora, e molti altri, tutti coinvolti in visite a Palermo e scambi di corrispondenza scientifica. Strumento principale di comunicazione fra i soci (e gli ospiti occasionali) sono i Rendiconti, l’eredità principale del Circolo: una rivista che pubblica articoli in italiano, francese, inglese e tedesco su ogni settore della matematica pura e applicata.
Per un appassionato della materia è emozionante scorrere l’indice dei lavori pubblicati dalla prima serie dei Rendiconti (1887-1941): è come un compendio di storia della matematica, in cui compaiono, oltre ai nomi già citati, quelli non meno illustri degli italiani Righi, Scorza-Dragoni, Segre, Severi, Tonelli, Vitali; dei tedeschi Klein, Landau, Noether, Weyl e del greco-tedesco Carathéodory; dei francesi Fréchet, Hadamard, Picard; del belga de la Vallée-Poussin, dello svizzero Plancherel; e di Hardy, Littlewood e Pólya (due inglesi e un ungherese), il cui libro “Inequalities” prende polvere sugli scaffali dei matematici di tutto il mondo - e questo a una prima scorsa!
Il logo del Circolo Matematico di Palermo
Non si tratta di lavori secondari: Poincaré, per citare uno degli autori più importanti, pubblica nel 1904 sulla rivista palermitana uno dei complementi al suo classico trattato “Analysis situs”, in cui introduce l’uso di strutture algebriche per distinguere oggetti geometrici che non si possono ottenere l’uno dall’altro mediante deformazioni (si tratta degli albori della topologia algebrica, che include un famoso problema sulla geometria della sfera tridimensionale, posto proprio da Poincaré e risolto solo nel 2003 dal russo Perelman); nel 1906, sempre Poincaré affida ai Rendiconti una nota “sulla dinamica dell’elettrone” in cui discute le trasformazioni di Lorentz e il principio della contrazione della lunghezza, uno dei fondamenti della teoria della relatività speciale (il celebre lavoro di Einstein che avanza tale teoria da un punto di vista più fisico è praticamente coevo).
C’è un contributo, in particolare, che vorremmo ricordare (anche perché molto vicino al campo in cui si esercita la nostra modesta attività di ricercatore). Si tratta di tre lavori pubblicati da Tonelli, rispettivamente, nei n. 32, 35 e 39 dei Rendiconti (dal 1911 al 1915) e dedicati al “metodo diretto del calcolo delle variazioni”: il matematico italiano, professore a Parma e poi direttore della Scuola Normale Superiore di Pisa, vi affronta il problema della minimizzazione di una certa forma integrale (un’energia in termini fisici, un funzionale per i matematici) che dipende da una curva variabile con estremi fissati, cioè si propone di trovare, fra tutte le curve che congiungono due punti del piano, quella lungo la quale questo funzionale è il più piccolo possibile.
Il problema si può, in taluni casi, riformulare in maniera un po’ più ristretta sotto forma di un’equazione differenziale, detta di Eulero-Lagrange: e infatti, molti matematici affrontavano il problema a partire dall’equazione, che è diversa per ogni diverso funzionale. L’idea di Tonelli è di invertire la prospettiva: prima minimizzare il funzionale, poi provare che la soluzione soddisfa anche l’equazione differenziale (qui prende avvio la teoria della regolarità); a tal fine, lo studioso introduce e sviluppa la nozione di semi-continuità, qui usata per la prima volta nel contesto del calcolo delle variazioni e di importanza cruciale in tutte le varianti non lineari del problema. Il metodo esposto da Tonelli si fa immediatamente apprezzare e, opportunamente adattato, diventa in breve l’approccio standard per una famiglia vastissima di problemi (incluso quello di Dirichlet che ricordavamo prima), con applicazioni in fisica, chimica, e nelle scienze sociali.
I tre "relativisti" Poincarè, Lorentz e Einstein
Il lavoro di Tonelli, che riprende e generalizza idee di Baire, Hadamard, Weierstraß, pone la matematica italiana al centro di questa innovativa branca della matematica, il calcolo delle variazioni - una posizione che essa non abbandonerà per tutto il XX Secolo. E non è forse un caso che l’autore decida di svilupparlo nel contesto del Circolo siciliano e sulle pagine della sua rivista, nati proprio con l’obiettivo di stringere legami informali e fruttuosi fra l’Italia e l’Europa nel campo della ricerca matematica.
Questo racconto ci porta alla fine della fase “eroica” della storia del Circolo Matematico di Palermo e dei suoi Rendiconti. Nel 1914 si tiene a Palermo una riunione, nella quale Landau tesse le lodi del Circolo e del suo fondatore Guccia, mentre definisce i Rendiconti “il miglior giornale matematico del mondo”. Nello stesso anno, tuttavia, Guccia muore e i paesi europei entrano in guerra, rendendo improvvisamente difficile il libero scambio di idee del trentennio appena trascorso. La storia del Circolo continua nei decenni successivi, sotto la presidenza di Albeggiani e di altri studiosi. La pubblicazione dei Rendiconti prosegue sotto il nuovo direttore De Franchis a un livello decisamente alto fino al 1941, per riprendere poi nel 1952: oggi i Rendiconti del Circolo Matematico di Palermo sono un’ottima rivista scientifica online pubblicata dall’editore internazionale Springer, sotto la guida di tre bravissimi matematici italiani (Ciliberto, Dal Maso e Vetro), e accettano solo manoscritti in inglese. La storia è stata raccontata, meglio che da noi, da A. Brigaglia e G. Masotto (Ed. Dedalo, bari, 1982), D. De Masi (Rivista IBM, n. 4, 1987) e U. Bottazzini (Il Sole 24 Ore, 9/11/2014).
Tuttavia, complice anche una certa scontrosità di carattere, Guccia non è riuscito a rendere la sua creatura cara alla città e all’Università di Palermo, che in qualche misura, dopo la sua morte, se ne disinteressano. Inoltre, nel periodo inter-bellico l’internazionalismo disinvolto della matematica Belle Époque non può rinascere interamente, per intuibili ragioni politiche, e le scuole nazionali riducono i mutui contatti, mentre la potenza organizzativa ed economica delle grandi università americane comincia a sottrarre alla matematica europea figure di primaria importanza. In Italia si affermano società matematiche di livello nazionale, come l’Istituto Nazionale di Alta Matematica di Severi e l’Unione Matematica Italiana di Pincherle, oltre all’Istituto per le Applicazioni del Calcolo di Picone (dedicato alla matematica applicata). Nel Dopoguerra, la comunità matematica internazionale riprenderà i suoi legami, sempre più come una società apolide, nube di intelligenze orbitanti come gli elettroni attorno al nucleo studiati da Poincaré - fino alla completa virtualizzazione nell’epoca di internet e delle pandemie.
L’esperienza siciliana, come al solito, non perde la sua importanza ma la sua unicità e centralità, e nel giro di una generazione diventa un ricordo dal vago contorno mitologico: di quando, come al tempo di Federico II, Palermo e la Sicilia furono brevemente centro e non periferia, laboratorio profetico di un pezzo di storia della cultura. È quasi difficile da credere, ma d’altra parte, come ha scritto Sgalambro, “solo nel momento felice dell’arte quest’isola è vera”.